C’è la lettera teta (θ) che, con molte difficoltà, si stenta a riconoscere
nella lingua latina, a causa delle assibilazioni e perché è omografa della tau
(τ). C’è da dire anche che ricostruire il suono, quello
di τe θ, quello delle assibilazioni delle due δe della θ, potrebbe aiutare
a spiegare l’origine della esse aspra/dolce e della zeta aspra/dolce nella
lingua italiana. Il fatto che
i latini abbiano usato moltissime radici greche aiuta a disvelare la lettura
della tau: αλς (prima dell’assibilazione: αλθ, da cui: αλθ-us) per metatesi σαλ, λαθ, μαθ, παθ, καθ, ωθ, θηρ, μεθdiversa da μετ, μοθ, θα, θεα/θη, ορθ, μουθ, σαθ, ραθ, θα, παρθ, εθ, ηθecc. ecc. Molte di queste
radici sono state decodificate e ne sono state tratte le deduzioni. Da παθ (fa generare il crescere), i greci elaborano πάσχω: soffro, sopporto (fa generare il crescere il passare, che
indica il travaglio), mentre i latini, oltre a patior, passus passus
(da cui le parole della lingua italiana: passare e passato),
sicuramente dedussero: pasc0, pavi, pastum, pascere:
faccio pascere, faccio crescere e il deponente: pascor/pastus
sum: mi pasco, mi nutro. Per quanto riguarda pascor si rammenta
che questo verbo deponente esprime cosa si verifica per chi fa pascere: dà
nutrimento. Da pasc-o furono dedotti: pascolare e il
pascolo, mentre da past-us (ha fatto pascere)di pasco
furono dedotti pastore, che è colui che ha fatto crescere pascendo, pastorizia;
invece, da pastus sum: mi sono nutrito, furono dedotti: pastuspastus (pasto, nutrimento/alimento), pasta, impasto. Si
ricorda che dalla radice παθ, i latini
avevano già dedotto: pateo: sono aperto, sono visibile, mi
estendo (man mano che mi vado formando) e, quindi, patente, nel
significato originario di ben visibile.
Come espansione
logica di παθ, i greci avevano formulato σπάθη (il ςsi traduce: mancare): stecca larga, da
cui, in italiano, spatola, spazzola, spazzare, spazzino,
mentre i latini si servirono di σπαθper formulare:
σπαθium (spatium), che indica il luogo (in greco: τόπος) dove alberga la creatura, che se lo crea man mano che cresce: fa il mancare
dal crescere generare la permanenza della creatura, quindi: l’ambiente
che si forma man mano che cresce la creatura e in cui questa è allocata. I greci
avevano coniato, da σπάω (fa generare
il legare): tiro, il deverbale σπάθις/σπάσις: trazione, da cui, poi, σπάσμα: stiramento,
rottura di fibre muscolari e σπασμός: convulsione,
spasimo, quindi, in italiano: spasimare e spasimante. Da παθ, inoltre, fu dedotto l’aggettivo passo/appassito (uva
passa), mediante questa circonlocuzione: è ciò che lega (us) il far il mancare
dal crescere (pass), da cui: appassire, passola (in dialetto: passua,
appassuut’). Si aggiunge che da παθi latini
dedussero patior/passus sum (sopporto) e da chi ha
sopportato fu desunta: passio Domini nostri! Anche l’italica passione,
come amore totale per rimanda alla stessa radice, contestualizzando l’amore
sconfinato della madre per il figlio, sentimento in parte presente in πάθος. Da μαθ (genera il rimanere il crescere), che dette luogo a μανθάνω: imparo, osservo, interrogo, comprendo, i
greci avevano dedotto: μάθημαμαθήματος: scienza, disciplina, al plurale neutro: μαθήματα (scienze matematiche) da cui μαθηματικός: matematico,
astrologo. Inoltre, dedussero μαστός: mammella,
μασάομαι: mastico, verbo (mastico) pervenuto, attraverso deduttivi logici,
nella lingua italiana. Anche mastice è da collegare a questa radice: dal
rimanere il crescere va a generare il tendere il mancare (la fessurazione) l’andare
a legare (l’azione del mastice). Nella cultura
meridionale, da μαθ che rimanda a μανθάνω(imparo), fu
elaborato mastro, che è colui da cui s’impara. Incidentalmente
rilevo: è peccato pensare che master degli inglesi abbia avuto lo stesso
percorso logico?
In latino, da
μαθ fu dedotta materia/materies,che è la sostanza con
cui sono fatte le cose (dal rimanere il crescere, durante l’incubazione, è ciò
che viene assemblato), ma anche l’argomento/la materia di studio
(per imparare)degli italici. In dialetto, la materia è anche il
pus, in quanto, crescendo ciò che è contenuto nella bolla (in dialetto: ambull’),
fuoriesce come marcia. I latini
dedussero anche: μαθ-urus, ad indicare che è maturo, ciò che, in
natura, ha terminato la crescita, avendo legato/formato tutto
quanto è necessario alla formazione del frutto. Nel mio dialetto, un sinonimo
di maturo è fatto, nel senso che è tutto completo e, se si dice: fatt’
fatt’, si vuol indicare che è un frutto prossimo allo sfatto. Il non
maturo fu reso con acer, in dialetto agrach’/(g)aspr’,
e con amaro, che rimanda a ciò che precede l’acerbo. Per quanto
riguarda μαθto (matto), tengo a precisare che la parola acquista
sempre il significato convenuto, per cui sono del matto le mattane.
Per il pastore italico è matto colui che asserisce una balzana, che non
trova riscontro nei processi formativi del grembo, cioè: durante il legare
avviene il mancare, non il crescere, per come dice la perifrasi. C’è da
aggiungere che da questo contesto, altri dedussero: mattone, che è il λαθerizio (laterizio) per far crescere la costruzione del grembo.
Anche in (plinthos) πλίνθος: mattone c’è
la teta che indica la crescita! Anche ammazzare
contiene il tassello μαθ!
I latini elaborarono,
ulteriormente, μαθ, per assibilazione μας, formando mas maris: maschio, che è chi feconda, in
quanto, a seguito dell’erezione (dal crescere), va a scorrere il mancare
(ris), inseminando; quindi, rafforzarono il concetto, elaborando: masculus.
Da mas: masturbazione, anche masnada, che è il gruppo, che
si rinsalda (lega) per spadroneggiare crescendo, e masnadiero, che è un
componente della combriccola. Sembrerà
strano, ma la parola maschera, molto usata nel mio dialetto con tante
sfumature di significati, è una perifrasi che assembla μαθ/μας (genera il rimanere il crescere) e la radice χειρ, che aveva dato luogo a mano. L’intera perifrasi rimanda ad una
gravidanza, che genera un mancare, meglio: disdoro/disonore, volendo
indicare, soprattutto, il deturpare, irrimediabilmente, le sembianze, con il
nerofumo delle mani. Invece, la maschera dei greci: πρός-ωπον è quella degli attori, definiti pertanto ipocriti,
in quanto si coprono il volto, per impedire l’espressività naturale. I
latini denominarono la maschera persona, da cui: impersonare un
ruolo, un tipo. I latini utilizzarono
la teta, per esempio, formulando ut, da scrivere alla greca: εοθ, poi, per crasi/assibilazione, ουθ/ους, da tradurre qui: dall’ho il crescere, per avere la crescita,
che è il fine del processo di formazione degli esseri animali e vegetali. In
dialetto l’affinché viene sostituito dalla congiunzione per (fa
dal generare lo scorrere).
Poi, out divenne
non solo un calco, stampino fisso, come in cap-out e m-ους-tum (mustum), ma anche radice come in: ut-or/usus sum. Quando i latini
formularono cap-ut capitis, in cui la ch rimanda a χ con il
significato di passare, elaborarono la seguente perifrasi: fa generare
il passare dall’ho il crescere quella che tendendo/spingendo fa generare il
mancare, che è la testa, che, come un ariete,fa nascere. Con mustum
dissero: quando rimane il crescere (il ribollir dei tini, dice il
Carducci), l’ho rimane, si ha il mosto. Per quanto riguarda
musciu, in italiano moscio, dai tanti significati: sostanza poco
consistente fino ad ammosciarsi, essere moscio, lento e poco
pratico o anche: essere sovrappensiero del dialetto, rimanda ai tasselli ουθ/ωθ: dall’ho il crescere, dal generare il
crescere, che servono a completare la perifrasi: dal rimanere dal generare la
crescita dell’essere in formazione va il legare, che, nel processo formativo, ha
queste tre letture: il grembo floscio (quello appena abbozzato, perché ha
legato da poco), la persona non abile, perché legata/impacciata, la persona
preoccupata per un parto che si può presentare difficile: la creatura cresciuta
(troppo) è legata, come statio preparto. Anche la
desinenza us (alla greca: ουθassibilata in
ους) di virtus virtutis (alla greca: ουηρτουθουηρτουθιδ) rimanda a ουθ: dall’ho
il crescere, per cui tutta la perifrasi suona così: dall’ho lo scorrere il tendere
dall’ho il crescere, che contestualizza e la crescita del flusso spermatico e la
crescita della creatura prima del parto (nella stasi del preparto/travaglio),
va a scorrere il generare il legare (iris). Questo legare contestualizza
il legame madre-figlio che rappresenta la metafora del fare creativo:
perdurando il legame, con il poco e tanta perizia, si concretizza la creatura
per l’abilità di mani virtuose. Nella contestualizzazione del
preparto/travaglio il legare,come morsa, evidenzia la virtus (il
valore) pueri strenui. Da una parte si indica la virtù come capacità
creativa (la realizzazione della creatura durante la gestazione), dall’altra
come valore, in quanto il legare del travaglio prefigura il valore
bellico (fino alla morte)nella lotta per la nascita. Il concetto, espresso
in pondus ponderis, rimanda al peso che porta la gravida, da cui: pondero,
ponderato imponderabile. I latini dissero: è ciò che si riscontra dentro
il legare (la formazione dell’essere) dall’ho il crescere, dallo scorrere il
nascere/mancare. Inizialmente, onus oneris fu sinonimo di pondus,
da cui: onustus, successivamente fu dedotto il significato attuale di onere,
come la realizzazione (compito del grembo) costosa e di
responsabilità, quindi: oneroso. Il concetto
di decus decoris: decoro, ornamento, lustro, dignità
è una sorta di deverbale di deceo/decet: si addice, si
confà, è acconcio, è giusto, che rimanda ad un fare per
realizzare qualcosa d’importante, che si evince dal legare del grembo.
L’avverbio frustra:
invano contiene, nella perifrasi, ουθ/ους, per cui tutta la locuzione suona così: è ciò che nasce dallo scorrere
il crescere, generando il tendere lo scorrere. Per il pastore latino, pensare
che il processo di formazione dell’essere sia il risultato di una crescita e
non di un mancare è una vacuità/ vanità, anzi, con sottile umorismo intende
dire: inutilmente attendi! In latino, poi, da frustra fu dedotto: frustror/frustatus
sum: inganno, rendo vano, deludo, da cui i moderni: frustrante,
nel senso di chi accumula in sé la vacuità/ inanità/inutilità del suo agire, frustrato
e frustrazione, che si riscontra in chi ha provato ripetutamente l’inutilità
del suo operare. Si vuole ricordare che gli italici con ous formularono
anche la frusta ad indicare lo scudiscio, con cui si sollecita la
crescita del tendere. Invece frustum: pezzetto, boccone rimanda
alla crescita graduale del grembo, per cui Dante disse: “Indi partissi
povero e vetusto;/ e se il mondo sapesse il cor ch’elli ebbe, /mendicando
sua vita frusto a frusto, / assai lo loda … “ I latini,
coniando la congiunzione vel (ouηl: dall’ho dal generare lo sciogliere, che indica l’inseminazione da parte
dei due maschi del gregge), fecero riferimento a una duplice possibilità: l’uno
oppure l’altro; quando elaborarono aut aut (o l’uno o l’altro)
dissero che la a (genera) e outh (εοθ: dall’ho il crescere), nel processo formativo dell’essere, si
escludono, in quanto il generare è il risultato del mancare e non del
crescere, per cui Cicerone disse: quod est verum, aut falsum (o
è vero o è falso).
Tutti stratagemmi
per arricchire e precisare gli strumenti comunicativi. Quando i
latini formularono: ut-or/usus sum: uso, adopero, mi
servo, si avvalsero della seguente perifrasi: dall’ho il crescere,
consegue per me pastore che, a seguito dell’incubazione, ci sia il
mancare, inteso come nascita vantaggiosa. Il pastore latino, da questo
verbo, dedusse: utente, utile, l’astratto: utilità, utensilis:
necessario, indispensabile, formulò al plurale: utensilia:
cose necessarie. Da usus (che hausato) ricavò l’uso,
l’usanza, usare, usuale, inusuale, disuso. Da ut furono
formulati: uter utris, che, per noi, è l’otre, ma anche: uter
utrius (quale dei due?), che rimanda ai due maschi del gregge, da cui neuter:
né l’uno né l’altro, indifferente, da cui (indifferente), poi, il
dedotto neutrale e neutralità,
ma anche: utero, in greco: ὑστέρα, da un originario: ὑθτέρα, la cui perifrasi si può rendere: è l’organo che
cresce, generando il mancare, che è sicuramente l’organo, ma anche
quello che genera la nascita, dopo che si è completata l’incubazione(dal
tendere lo scorrere). Dalla radice φουθ(nasce dall’ho
il crescere), per i greci φυθdi φύσις, furono dedotti il termine volgare fottere, fususfusi,
il futuro, che si evince nel divenire prestabilito della creatura in
formazione, mentre da φουθ-ao (futo
futas): abbatto, fu dedotto il verbo confutare, nel senso di abbattere
le argomentazioni/dimostrare la nullità, l’irrazionalità, in quanto,
nella logica del pastore, non si può accettare che nasca qualcosa dal crescere
e non dal mancare. Gli italici dedussero fiuto, che è proprio del
pastore, che annusa l’ingravidata, quando c’è un cenno di crescita. Proseguono
queste considerazioni sulla lettera teta nel capitolo intitolato: “L’ozio”.