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giovedì 4 gennaio 2024

UNA SCUOLA PICCOLOBORGHESE


La copertina del libro

Ho appena finito la lettura di questo libro molto interessante, autobiografico ma con valore universale, di Luca Marchesini (Una scuola piccoloborghese, Bookabook edizioni, pagine 146 € 14,00), che ci racconta la scuola, da quando era piccolo e andava alle elementari, fino a quando in cattedra è andato lui, come professore di filosofia. Nato nel 1953, è ora in pensione e rievoca la scuola, che è sempre fonte di sapere, pur con tante incongruenze. Oltre ad essere insegnante Luca Marchesini è drammaturgo, autore di numerose commedie, alcune delle quali rappresentate, tra l’altro, al Teatro Parenti e al Teatro Libero. Infatti, nel descrivere la scuola e le sue esperienze, appare una vena sottile di teatrale umorismo, che permea tutta la narrazione. Mentre nel suo parlare della scuola elementare avvertiamo il profumo della nostalgia e del sentimento, quando si arriva alle superiori, con la contestazione giovanile, le vicende si fanno serie e anche un po’ drammatiche. Egli apprezza molto i due professori di filosofia, che tanto gli hanno dato con la loro vasta cultura, sebbene di stampo diverso, ma passa poi a descrivere il clima infocato degli studenti, che si riempiono la bocca e la mente di proclami di antifascismo, di comunismo, di diritti del proletariato (di cui peraltro conoscono ben poco), di rivoluzione, di giustizia sociale ecc.
Ed ecco alcune gustose scenette: il prof. S, così nominato, viene a dichiarare ai suoi studenti “guardate che il fascismo tornerà, ma non preoccupatevi, per il bracciante e per il contadino non cambierà nulla”.
L’ironia intelligente e grottesca del professore li smonta ferocemente e con lui l’autore allaccerà un’amicizia profonda, ormai come collega, benché l’altro resti sempre in fondo per lui uno sconosciuto. Il giovane protagonista segue con grande interesse le lezioni di filosofia e di letteratura, ma ciò non gli impedisce di andare alle manifestazioni e occupazioni politiche, alle assemblee non autorizzate di classe, di corso e di qualsiasi cosa - rientrando nei ranghi verso la fine dell’anno scolastico per evitare guai. “Mi vedo, garzoncello penoso, votare per l’occupazione alzando il braccio, naturalmente col pugno serrato, perché un po’ di retorica non guasta mai”. Poi si arriva alla laurea in lettere, all’insegnamento delle 150 ore agli operai (esperienza che rimarrà indelebile), infine alla scuola media superiore, dopo anni di precariato faticoso e stressante. E qui inizia un’analisi della scuola, di ciò che è diventata coi vari Progetti, Programmi formativi (il famoso POF), le varie incombenze soffocanti e inutili riunioni. L’autore ritorna quindi a insegnare agli adulti nel Corso Integrativo, un’integrazione per chi aveva frequentato solo i 4 anni delle magistrali (che poi diventarono 5 con la trasformazione in liceo pedagogico). Lì egli ripete un po’ l’esperienza delle 150 ore, con bei ricordi di adulti volonterosi e amichevoli.
Poi, ritornando ad insegnare al liceo pedagogico e delle scienze sociali, eccolo incontrare la figlia di un’allieva di tanti anni prima. Infine nelle ultime pagine, di cui non voglio svelare il finale, i ricordi si fanno lieti, e umoristici, se pur sempre critici verso un’istituzione soffocante.
La scuola piccoloborghese è sempre criticata, analizzata, ma anche goduta nei rapporti belli con alcuni allievi e colleghi, che non si interrompono neppure con la pandemia. Dunque un libro che consiglio a tutti, ai genitori, agli allievi, ai colleghi e a tutti quelli interessati al mondo del sapere e della scuola, vista anche come commedia umana.

Serena Accascina