Non c’era niente a cui potersi aggrappare La
mattina seguente, fatta colazione, si chiuse in stanza. Incontrando la robusta
cameriera ceca nel corridoio, le aveva comunicato che non c'era bisogno di
rifargli il letto. Lo sguardo fisso e la testa dolorante dallo sfinimento,
sedeva ora davanti alla portafinestra, che inquadrava uno squallido cortile
umido di pioggia. Aveva paura di incontrare gente, temeva di doverla guardare
negli occhi e di doverle parlare. E questa paura crebbe presto fino a
trasformarsi nell'assurda fissazione che non avrebbe più potuto abbandonare
quella stanza. Minze l'osservava con devota attenzione, troneggiando al centro
della trapunta rosso-vino, il pezzo forte dello scadente arredamento. Da quando
era arrivata a Monaco, non aveva fatto quasi altro che dormire, eppure
l'agitazione del padroncino non le era sfuggita. Doveva essergli accaduto
qualcosa di brutto. Se già a casa era sconvolto da far pietà e di umore
arcilunatico, il cambiamento di luogo sembrava avergli solo inferto il colpo di
grazia. La gattina che, quando in
passato aveva messo il naso nelle faccende di Gottfried, lo aveva fatto solo
per curiosità disinteressata, non riusciva a capire il perché di tutta
quell'inquietudine che lo travagliava da mesi e che, nel frattempo, poteva
degenerare, senza ragione apparente, in vero e proprio furore. E
l'impossibilità di venire a un franco scambio d'idee avrà innegabilmente avuto
la sua parte nel protrarsi di tale incomprensione. Ma contribuiva sicuramente a
complicare le cose, proprio la diversità dei loro caratteri.
In gioventù Minze aveva avuto
modo di sviluppare, con il pensiero logico, anche il senso di giustizia e il
senso estetico. Ciò nondimeno le era rimasta tutta un'altra percezione del tempo,
che, per esempio, le permetteva di sonnecchiare per l'intera giornata, se
l'ambiente circostante non aveva nulla di meglio da offrirle. E questa
imperturbabilità, in un certo qual modo indiana, ma non a sfondo mistico, non
si spiegava solo con l'essere esentata da preoccupazioni per il proprio
sostentamento; Gottfried godeva di questo stesso privilegio, eppure non era
capace di resistere sotto le lenzuola più di sette, otto ore. Questa peculiarità della
gatta si poteva forse spiegare col fatto che, essendo stata, fin da piccola,
esclusivamente osservatrice della vita umana, non era stata coinvolta in quelle
comuni beghe con coetanei e adulti che, attraverso esperienze di sconfitta e di
successo, ci fanno laboriosamente trovare noi stessi. Rimanendo al di fuori di
tutto ciò, e non subendo questo complicato processo di maturazione, che, in
ogni caso, solo raramente dà frutti di un qualche valore, essa aveva avuto modo,
non solo di conoscere il mondo, ma anche di preservare una sana
imperturbabilità nei confronti di quanto non la minacciasse direttamente. Ovviamente
ciò non può essere che una parte della verità, dato che Minze era, sì, un
essere pensante, ma non disponeva di quell'abilità manuale tipica dell’uomo,
che già da sola genera l'impulso all'azione e con questo anche,
inevitabilmente, l'irrequietezza.
Sia come sia, le tribolazioni
morali di Gottfried erano per lei di difficile penetrazione. Ma poiché,
malgrado la sua natura contemplativa, nel corso degli anni, gli si era venuta
affezionando, la pungeva ora una certa curiosità di sapere finalmente che cosa
lo perseguitasse e terrorizzasse fin nel sonno. L'improvviso peggioramento del
suo stato, così evidente al suo ritorno in albergo la notte precedente, le
aveva risvegliato subito il ricordo del bambino schiaffeggiato nel parco. E,
vedendolo ora accasciato sulla sedia come un condannato a morte, si prefisse di
approfittare della prima occasione, per lasciare in segreto l'albergo e correre
a dare un'occhiata ai giornali. Aveva appena preso questa
decisione che, come per telepatia, Gottfried si girò verso di lei. La fissò a
lungo con sguardo penetrante e insieme assente, poi domandò: "Me lo puoi
dire tu, me lo puoi dire, che cosa devo fare?" Dalla sua voce traspariva una
tenerezza triste e disperata. Allora la gatta, per
stimolarlo a continuare il discorso, emise un miagolio e protese verso di lui
una zampetta. Sperava infatti che un soliloquio con un animale potesse
indurlo a rivelazioni che avrebbero gettato un po' di luce sulla sua
situazione.
E davvero egli rispose al suo
gesto. Si piegò in avanti e, accarezzandola meccanicamente sulla nuca, mormorò:
"Mamma sosteneva sempre che oggi può scamparla solo chi possiede carattere
e cultura, che tutti gli altri finiscono irrimediabilmente sotto le ruote del frenetico
attivismo del nostro tempo... Ma non è proprio il contrario?" Minze ascoltava immobile, per
non distrarlo. "Mostrami una persona
perbene, una sola persona, che non rinneghi se stessa," proseguì con tono
di sfida. "Uno che sia in grado ancor oggi di impressionarci e di farci
vergognare con la sua nobiltà di spirito!" L'ultima frase l'aveva
pronunciata forte, con tono perentorio. Ma già dopo una breve pausa scoppiò in
un riso contratto: "Senti senti! Dove sono andato a pescare
quest'espressione astrusa? Nobiltà di spirito!... Nel libro di favole del
nonno." Ridacchiò scioccamente tra sé
e sé, e Minze, alla quale le sue carezze nervose cominciavano a dare fastidio,
si ritirò sul cuscino. Gottfried non vi fece caso. "Si può anche non essere
istruiti ed essere poverissimi, ma avere cultura...", la ammaestrò
imitando la voce della madre morta. E dopo aver atteso invano una
reazione, batté il pugno sul materasso, imprecando: "Ma se non è
riconosciuta e apprezzata da nessuno, la buona educazione non ha nemmeno più
valore! Ci fai un cavolo, ci fai!..." La gatta l'osservava con
diffidenza. In passato era già stata abbastanza spesso testimone, non vista, di
improvvise esplosioni emozionali di pazienti. Eppure non poteva fare a meno di
rimanere impressionata, quando uno sragionava con simile violenza.
Notando la sua paura,
Gottfried ebbe un sorriso amaro e prese a strofinarsi i pantaloni sulla gamba
sinistra. I muscoli del viso gli guizzavano, mentre impallidiva sempre più e
gli occhi gli si dilatavano in un'espressione d'indicibile orrore. "Come ho potuto farlo?
Come?...", mormorò infine cupamente. La respirazione gli si era
fatta rapida e irregolare, tremava tutto e scuoteva di continuo il capo con
forza, finché, andatagli di traverso la saliva, non corse tossendo
spasmodicamente al lavandino, dove vomitò. Ci volle un pezzo prima che
si fosse un po' ripreso. Si guardò, spossato e
nauseato, nello specchio. Dal viso gonfio e sudato, solcato da scure e profonde
occhiaie, ogni traccia dell'orgoglio di una volta era scomparsa. Come in coloro
che conducono un'esistenza dissoluta, quel viso esprimeva solo decadenza. Lo vinse un enorme sconforto.
Non c'era niente a cui potersi aggrappare. Né in lui né nel mondo esterno. La
sua stanchezza agognava disperatamente la pace e il suo desiderio più forte era
quello di dissolversi nel nulla. Assaporò a lungo la
disperazione e a lungo giocò con l'idea del suicidio, dipingendosi in tutti i
dettagli le possibili conseguenze che ne sarebbero derivate… Finché non fu
sazio anche di questo e si mosse per andare a ripulire il lavandino e
rinfrescarsi.
Il contatto con l'acqua fu
benefico. E mentre teneva le braccia conserte sotto il freddo getto, gli
vennero in mente gli amati artisti, dalle cui opere e biografie aveva tratto,
in passato, sollievo e conforto. All'epoca in cui era
studente, essi erano stati le sue guide spirituali. Gli avevano senza dubbio
insegnato più di tutti i tredici anni passati a scuola. Nelle ore difficili se
li era richiamati spesso alla memoria, per ritrovare se stesso all'esempio
della loro libertà di pensiero e del loro coraggio esistenziale. Così come
altri traevano forza e consolazione da Dio, egli, dalla semplice esistenza di
tali uomini, ricavava il diritto, anzi il dovere di vivere per sé stesso. Ma
quando ora immaginava cosa sarebbe accaduto, se, per magia, quei pittori,
compositori e poeti fossero ritornati in vita, non poteva fare a meno di
rabbrividire. Privi d'ogni sostegno morale da parte del pubblico e addirittura
della materia prima cui ispirarsi per dar forma a qualcosa che si potesse
chiamare Arte, avrebbero trascinato sconvolti e sfuggenti le loro esistenze in
solitudine, mentre il mondo intorno sarebbe stato tutto in movimento e nessuno
avrebbe preso nota di loro...