Passeggiando
la scorsa settimana nel sempre affascinante centro antico di Genova, Tiziana
Canfori mi ha fatto scoprire la libreria di via del Campo in cui è di casa Fabrizio
De André con tutti i cantautori genovesi. Qui ho casualmente scoperto un libro
di Bruno Morchio di cui neppure sospettavo l’esistenza: Nel cuore di Genova.
Viaggio nella città di Bacci Pagano, con fotografie di Patrizia Traverso e
Gianni Ansaldi (Canneto editore, Genova 2022). L’ho subito preso, attratto
dalle fotografie e dalle didascalie ad esse apposte: brevi parole, tratte tutte
dalle opere di Morchio pubblicate entro il 2022. In esse ripercorre i luoghi frequentati
nelle sue scorribande da Bacci Pagano, il noto protagonista dei romanzi di
Morchio, tutti ambientati a Genova e dintorni. Le fotografie sono molto belle,
anche se non sempre belli sono i luoghi che ritraggono, anche a Genova la
speculazione edilizia non ha mancato di lasciare segni. Nell’Introduzione
leggiamo che la “fortuna letteraria” di Bacci Pagano “è profondamente
compenetrata con la città, con la sua geografia e la sua memoria, le sue
bellezze e le sue magagne”, con scorci incantevoli e anfratti da
dimenticare.
Via del Campo
Per
forza di cose non è presente in Nel cuore di Genova alcun rinvio a Le
ombre della sera. Un’indagine senza capo né coda, che Morchio ha pubblicato
da Garzanti nel 2023. Questo “romanzo” (così è indicato nella copertina), è in
realtà assai variegato, di difficile catalogazione; non tenterò dunque di
raccontarlo, neppure per sommi capi: davvero la vicenda, come il titolo stesso
forse ironicamente dice, è “senza capo né coda”. Qui Morchio persegue con
maggior determinazione quell’erosione dall’interno di un genere (noir, giallo,
thriller…), già rasentata in alcune tra le sue opere più recenti. L’enigmatico
esergo, di Le ombre della sera - “A tutti/e quelli/e che ho smarrito per
strada” - già a suo modo lo segnala. Semplicemente, che sia un “romanzo” è ben
probabile; a tutta evidenza non è un giallo, la stessa conclusione problematica,
e non provata, lo esclude. Mi soffermerò solo su pochi punti, sparsi, che più
mi hanno coinvolto. Neppure questa mia segnalazione, del resto, può essere una
plausibile recensione: raccolgo solo qualche notazione sparsa. La prima
riguarda certa insistita presenza di affermazioni che non saprei definire se
non come “filosofiche” (esistenziali, o relative a personali visioni del
mondo), evidenti nei dialoghi con Giulia e ritornanti qua e là; mai svolte
ovviamente in modo sistematico.
Non mancano sottili notazioni psicologiche (la
psicologia è stata il lavoro cui Morchio si è a lungo dedicato).E soprattutto socio-politiche: “La gara era
aspra e in palio c’era la palma della radicalità rivoluzionaria, tant’è che riformista
e socialdemocratico suonavano come i peggiori insulti che si potessero
affibbiare a un militante della sinistra, alludendo a una condizione che
assommava malafede, mancanza di coraggio e stupidità”, è un’affermazione che
trova un perfetto riscontro nei miei ricordi degli anni Settanta, nello
specifico padovani. Da condividere è che “era arrivato il tempo in cui anche i
figli degli operai” potevano ambire “a frequentare il liceo e l’università”. Tra
gli scrittori citati segnalo Dostoevskij (già nel nome di Aglaja, ma anche nel
rinvio soprattutto ai Karamazov). Ci accomuna forse una spiccata
preferenza per lui tra i grandi scrittori russi. Ricorrente è poi, più di
altri, Patrick Modiano, in particolare Via delle Botteghe Oscure.