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lunedì 25 marzo 2024

GIOVAN BATTISTA MORONI
di Claudio Zanini
 

Alle Gallerie d’Italia di Milano
 
Il sarto esemplare
Abituati ad ammirare ritratti di personaggi illustri, dove l’attenzione è richiamata, soprattutto, dalla magnificenza del loro status sociale, del loro ruolo, della loro autorità, (vedi monarchi, ecclesiastici e condottieri); qui, uno dei capolavori della mostra è il ritratto d’un artigiano bergamasco del 1500. L’autore è Giovan Battista Moroni (1521 – 1580), pittore del rinascimento lombardo, noto appunto per la sua attività di eccellente ritrattista. I suoi soggetti sono spesso persone comuni, borghesi, rappresentate in quelli che sono chiamati “ritratti in azione” poiché fissano il soggetto in una posizione mai statica, frontale. Invece, attraverso dettagli come gli accurati tratti fisiognomici, l’abbigliamento e gli oggetti in scena, ne fissano l’azione cogliendone la psicologia, quindi la personalità. Roberto Longhi scrive che quei ritratti, fissati dallo sguardo penetrante del Moroni, apparivano così “veri, semplici, documentarii da comunicarci addirittura la certezza d’aver conosciuto i modelli.”

 
In uno dei dipinti più noti e conclusivo della mostra, Il Sarto (1572) appunto, si vede un giovane uomo dalla barba ben curata – un artigiano – che sembra sorpreso mentre sta lavorando. Tiene, infatti, in una mano una forbice, nell’altra il pezzo di stoffa nera, segnata dal gessetto, che sta tagliando. È abbigliato elegantemente e rivolge allo spettatore uno sguardo d’intesa: lo sguardo di chi è fiero del proprio ruolo, ben consapevole e orgoglioso della propria posizione sociale. Anche lo sfondo non è neutro, uniforme, bensì attraversato da una luce morbida e mutevole. Un altro dipinto di grande finezza, noto per il raffinato cromatismo, è il Ritratto di Giovanni Gerolamo Grumelli (Il Cavaliere in Rosa), (1560). Il soggetto indossa un magnifico abito color corallo dai particolari accuratissimi, come d’altra parte i lineamenti del volto posto di tre quarti, mentre il suo sguardo ci osserva. Sullo sfondo grigio su cui spicca la figura, si apre una finestra con un luminoso spicchio d’azzurro cielo; sul pavimento vediamo, reclinato, un torso classico con altri frammenti scultorei che rivelano gli interessi del personaggio effigiato.

 
 
Un altro esempio che testimonia l’importanza dell’ambiente lo si nota nel Ritratto di M. A. Savelli, (1545/48) dove quest’ultimo ci osserva mentre sta sfogliando un libro. Tuttavia, gran parte dello spazio è occupato da una colonna mozza e una venere classica mutilata. Dunque, rovine e reperti archeologici che, naturalmente, alludono alla biografia del Savelli. Accanto alla cura per il set di posa dei dipinti non si può trascurare la maestria nella rappresentazione d’una gran varietà di cappelli, abiti di fogge e stoffe sontuose e accessori con merletti e ricami, come anche nel ritratto della poetessa, Isotta Barbara Grumelli.


Una cosa che mi ha particolarmente colpito visitando la mostra, oltre alla capacità introspettiva nei modelli ritratti, è la mirabile sapienza sia coloristica, sia nella resa di una spazialità aperta, atmosferica della scena dipinta; questo non solo nella pittura del Moroni, ma anche in quella del Moretto, suo maestro; come nei raffinati dipinti del Savoldo – ammirevole nel ritrarre stoffe e abiti - altro rappresentante del rinascimento lombardo. In mostra, al loro fianco si possono ammirare diversi capolavori del Veronese, di Tintoretto, Tiziano e Lotto; la loro presenza stimola l’osservatore nel trovare debiti, differenze e affinità, in particolare nella sottigliezza dell’analisi psicologica e nell’impianto spaziale del dipinto, seppure risolti secondo le diverse personalità; si resta tuttavia stupiti dalla ricchezza e varietà linguistica elaborata in quel periodo aureo dell’arte italiana. 
 
 
Non molto tempo prima, avendo potuto vedere il Greco a Palazzo Reale, e pur tenendo conto dei diversi ambiti sociali e temperie culturale, non ho potuto fare a meno di paragonare gli esiti conseguiti dai pittori del rinascimento lombardo (e, in generale, di quello italiano) da quelli coevi europei, seppur eccellenti, notando una differenza sostanziale, sia nel trattamento dello spazio, sia nell’analisi psicologia dei tratti del viso e dell’atteggiamento.
Del Greco (1541 – 1614), che ha ben conosciuto la pittura italiana dell’epoca, è interessante la foga quasi espressionista della pennellata fluida che delinea le sue forme allungate traendole dallo sfondo spesso oscuro e tempestoso; si tratta di nudi o figure avvolte in eccessivi e sontuosi panneggi dai colori fiammanti, entro uno spazio affollato e quasi privo di profondità (vedi la rappresentazione della fantasmatica veduta di Toledo in diverse opere). Si sente l’influenza delle icone bizantine che ispira spesso i volti. Si tratta, credo di soddisfare le esigenze di una pittura edificante e devozionale che – in una temperie drammatica -, accanto a una fervente passione mistica comprende anche l’orrore del peccato e della dannazione.

 
Nel Rinascimento italiano, l’intima esigenza razionale di comprendere il reale, spinge all’indagine fisionomica dei volti e dei corpi e dei moti dell’animo (un nome per tutti, Leonardo); quindi apre lo spazio, sia quello naturale, sia quello urbano e architettonico, lo spalanca. Cerca di dominarlo e di misurarlo, anche se ha ben presente nella costruzione razionale della prospettiva albertiana il concetto ambiguo e inafferrabile dell’infinito. Cui forse non è azzardato pensare che risalgano i fondi oscuri di Caravaggio che, formato nella stessa scuola di tradizione lombarda, entrerà sulla la scena poco tempo dopo.