MARGINI DI RICCHEZZA O RICCHEZZA MARGINALE? di
Anna Rutigliano
Ibridismo sociolinguistico della Nuova coscienza Mestiza
chicana
In uno dei più famosi capolavori
artistici della pittrice messicana Frida Kahlo, risalente al 1932, e noto come
“Autoritratto al confine fra Messico e Stati Uniti”, emblematica è la linea di
confine che delimita due territori ricchi di cultura e storia propri: il
Messico e l’America settentrionale, su cui la pittrice si erge dall’alto di un
piedistallo, quasi a voler esprimere il suo forte attaccamento alle radici
della amata terra messicana, ma anche a testimoniare il suo ingresso nella
società americana, foriera di modernità, dove l’artista si è trasferita per
amore di Diego Rivera. Il dipinto, concepito durante un periodo di disordini
politici con il Messico, che subiva trasformazioni sociali e culturali per
influenza dell’America del Nord, pone l’accento non solo sul tema del margine
in senso geografico, quale divisione e delimitazione fra due territori, ma
affronta, in particolar modo, il tema dell’identità sociolinguistica e
culturale emergente proprio in terra di frontiera: uno spazio ricco di valori
ibridi in cui, come afferma lo stesso filosofo indiano Bhabha, teorico degli
studi post-coloniali, nel suo importante libro del 1994 “The location of
Culture”, la produzione culturale è migliore quando coesiste in forme ibride, a
partire proprio dagli spazi di frontiera, secondo un’ottica semiotica
inclusiva. Concetto che lo studioso mutua dalla psicanalisi lacaniana,
associandolo alla mimicry: la capacità degli esseri viventi di mimetizzarsi con
l’altro, standone a contatto.
La frontiera, il margine, il confine, dunque,
come spazio “altro”, empatico e ricco di valori possibili. Curiosa, a tal
proposito, è l’etimologia della parola “Margine”, risalente ad una ipotetica
radice indoeuropea “merg” con il significato di confine,
limite di una regione, (si pensi alla regione italiana Marche), ma anche bordo,
spazio, che funziona in un certo modo. Si pensi ai margini di un foglio bianco,
il cui spazio risulta essere funzionale a trasformazioni e nuove idee. Ed è
proprio in questo spazio, disponibile e resistente ai cambiamenti, che prende
vita la nuova coscienza “Mestiza chicana”.
Il tema della “New Mestiza”, della coscienza meticcia, è il leit motiv
dell’opera di una delle scrittrici chicane più importanti nel campo della
letteratura postcoloniale: “Borderlands/La
Frontera: The New Mestiza”
di Gloria Anzaldúa. Pubblicato nel 1987 a San Francisco, dalla piccola casa
editrice Aunt Book Company, “Borderlands/La Frontera” è stato scelto dalle
prestigiose riviste Hungry Mind Review e Utne Reader come uno dei migliori
cento libri del secolo scorso. La studiosa italiana di letteratura
postcoloniale chicana Paola Zaccaria, sostiene, infatti, quanto tale opera non
sia solo un fenomeno passeggero legato a quello straordinario movimento
letterario che va sotto il nome di “Rinascimento Chicano”, ma costituisca
soprattutto una scrittura di decolonizzazione, che mostra come i soggetti
appartenenti a comunità non egemoniche, in America, sono in condizioni affini a
quelle dei soggetti post-coloniali di altri continenti.
Il Rinascimento Chicano fiorisce in un momento
particolare della storia americana, un periodo in cui forte era il sentimento
anticoloniale: sono gli anni Sessanta e Settanta in cui la produzione
letteraria chicana raggiunge il suo apice, e vedono la luce capolavori come il
poema epico “I am Joaquín” di Rodolfo
Gonzales e “Florincanto en Aztlán” di Alurista, ma
anche esperienze cruciali come quella del Teatro Campesino di Luis Valdez. Gli
autori, appena citati, hanno una grande importanza per Anzaldúa e le loro
sperimentazioni letterarie di quegli anni costituiscono, per l’autrice di
Borderlands/La Frontera, un solido punto di partenza per elaborare la sua
estetica di confine che nei versi seguenti così si esplicita: “To live in the borderlands means / you are
neither hispana india negra española / ni gabacha, eres mestiza, mulata, / half-breed
caught in the crossfire / between camps while carrying/ all five races on your
back/ not knowing which side / to turn to, run from… /Cuando vives en la
frontera/ people walk through you,/ the wind steals your voice…”. Vivere
nelle terre di confine significa consentire le contraddizioni, abbracciare
identità multiple. La coscienza meticcia rifiuta le nozioni di genere e razza
come identità separate, ma le considera intrecciate. Un ibridismo concettuale
ma anche politico, quello della Anzaldúa e degli altri scrittori chicani, che
si manifesta linguisticamente attraverso lo “Spanglish” e il ricorso alla
tecnica del “Code Switching”, in cui si utilizzano contemporaneamente la lingua
Inglese e la lingua Spagnola, consentendo, sul piano semiotico, nuovi
significati e valori non marginali ma forieri di identità multiculturali e
multilingue. Una ricchezza assolutamente non marginale.