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giovedì 21 marzo 2024

MARGINI DI RICCHEZZA O RICCHEZZA MARGINALE?
di Anna Rutigliano


 
Ibridismo sociolinguistico della Nuova coscienza Mestiza chicana

In uno dei più famosi capolavori artistici della pittrice messicana Frida Kahlo, risalente al 1932, e noto come “Autoritratto al confine fra Messico e Stati Uniti”, emblematica è la linea di confine che delimita due territori ricchi di cultura e storia propri: il Messico e l’America settentrionale, su cui la pittrice si erge dall’alto di un piedistallo, quasi a voler esprimere il suo forte attaccamento alle radici della amata terra messicana, ma anche a testimoniare il suo ingresso nella società americana, foriera di modernità, dove l’artista si è trasferita per amore di Diego Rivera. Il dipinto, concepito durante un periodo di disordini politici con il Messico, che subiva trasformazioni sociali e culturali per influenza dell’America del Nord, pone l’accento non solo sul tema del margine in senso geografico, quale divisione e delimitazione fra due territori, ma affronta, in particolar modo, il tema dell’identità sociolinguistica e culturale emergente proprio in terra di frontiera: uno spazio ricco di valori ibridi in cui, come afferma lo stesso filosofo indiano Bhabha, teorico degli studi post-coloniali, nel suo importante libro del 1994 “The location of Culture”, la produzione culturale è migliore quando coesiste in forme ibride, a partire proprio dagli spazi di frontiera, secondo un’ottica semiotica inclusiva. Concetto che lo studioso mutua dalla psicanalisi lacaniana, associandolo alla mimicry: la capacità degli esseri viventi di mimetizzarsi con l’altro, standone a contatto.



La frontiera, il margine, il confine, dunque, come spazio “altro”, empatico e ricco di valori possibili. Curiosa, a tal proposito, è l’etimologia della parola “Margine”, risalente ad una ipotetica radice indoeuropea merg” con il significato di confine, limite di una regione, (si pensi alla regione italiana Marche), ma anche bordo, spazio, che funziona in un certo modo. Si pensi ai margini di un foglio bianco, il cui spazio risulta essere funzionale a trasformazioni e nuove idee. Ed è proprio in questo spazio, disponibile e resistente ai cambiamenti, che prende vita la nuova coscienza “Mestiza chicana”. Il tema della “New Mestiza”, della coscienza meticcia, è il leit motiv dell’opera di una delle scrittrici chicane più importanti nel campo della letteratura postcoloniale: “Borderlands/La Frontera: The New Mestiza di Gloria Anzaldúa. Pubblicato nel 1987 a San Francisco, dalla piccola casa editrice Aunt Book Company, “Borderlands/La Frontera” è stato scelto dalle prestigiose riviste Hungry Mind Review e Utne Reader come uno dei migliori cento libri del secolo scorso. La studiosa italiana di letteratura postcoloniale chicana Paola Zaccaria, sostiene, infatti, quanto tale opera non sia solo un fenomeno passeggero legato a quello straordinario movimento letterario che va sotto il nome di “Rinascimento Chicano”, ma costituisca soprattutto una scrittura di decolonizzazione, che mostra come i soggetti appartenenti a comunità non egemoniche, in America, sono in condizioni affini a quelle dei soggetti post-coloniali di altri continenti.



I
l Rinascimento Chicano fiorisce in un momento particolare della storia americana, un periodo in cui forte era il sentimento anticoloniale: sono gli anni Sessanta e Settanta in cui la produzione letteraria chicana raggiunge il suo apice, e vedono la luce capolavori come il poema epico “I am Joaquín” di Rodolfo Gonzales e Florincanto en Aztlán” di Alurista, ma anche esperienze cruciali come quella del Teatro Campesino di Luis Valdez. Gli autori, appena citati, hanno una grande importanza per Anzaldúa e le loro sperimentazioni letterarie di quegli anni costituiscono, per l’autrice di Borderlands/La Frontera, un solido punto di partenza per elaborare la sua estetica di confine che nei versi seguenti così si esplicita: “To live in the borderlands means / you are neither hispana india negra española / ni gabacha, eres mestiza, mulata, / half-breed caught in the crossfire / between camps while carrying/ all five races on your back/ not knowing which side / to turn to, run from… /Cuando vives en la frontera/ people walk through you,/ the wind steals your voice…”. Vivere nelle terre di confine significa consentire le contraddizioni, abbracciare identità multiple. La coscienza meticcia rifiuta le nozioni di genere e razza come identità separate, ma le considera intrecciate. Un ibridismo concettuale ma anche politico, quello della Anzaldúa e degli altri scrittori chicani, che si manifesta linguisticamente attraverso lo “Spanglish” e il ricorso alla tecnica del “Code Switching”, in cui si utilizzano contemporaneamente la lingua Inglese e la lingua Spagnola, consentendo, sul piano semiotico, nuovi significati e valori non marginali ma forieri di identità multiculturali e multilingue. Una ricchezza assolutamente non marginale.