L’odierna
perdita di memoria lascia dei vuoti dentro i quali trova rifugio l’indifferenza
per le catastrofi epocali che già viviamo a pezzi. Pensiamo alla guerra
mondiale nucleare. È oggi nelle cose possibili, quasi scontata, anche se il
nostro cervello non riesce a considerarla tale. Pensiamo alla crisi climatica e
idrica. Direttamente o indirettamente, ne vediamo la minaccia e l’accantoniamo.
Ci dice che le risorse, i Beni Comuni fondamentali alla vita: Aria - Acqua - Terra,
si vanno degradando o esaurendo, in una parola vengono a mancare alla
produzione di cibo e alle attività economiche. Guerra
e scarsità delle risorse strettamente combinate ci danno la dimensione dell’odierno
contesto in cui viviamo. Entrambe ci chiedono un ribaltamento culturale nell’approccio
ai nostri bisogni e al consumo delle risorse. E ci chiedono soprattutto una
cultura della condivisione: nella loro gestione, nella loro distribuzione,
nella proprietà, nella visione di una politica collettiva globale. Ci chiedono
di guardare al mondo. È una riflessione che ritengo si debba fare attraverso un
recupero collettivo della memoria troppo frettolosamente perduta nell’ultimo
decennio. Chi si ricorda? Meno di quindici anni fa, la guerra mondiale e un nuovo
possibile genocidio non erano l’incubo incombente. Chi si ricorda che nello
stesso tempo una narrazione come quella dell’Acqua e dei Beni Comuni, generava
nel mondo un forte movimento di persone: di donne e uomini, di giovani e
anziani che imposero all’ONU la dichiarazione: “l’acqua è un diritto umano
fondamentale, condizione per accedere a tutti gli altri diritti. Lo stesso
movimento affermò, in Italia e con un referendum, che l’acqua: è un bene comune
e pubblico. Si
dirà: sono cose note. Certo, però sicuramente abbiamo scordato quanto questo
movimento determinò tra la gente una inedita coscienza della condivisone dei
beni comuni e manifestò una loro altrettanta inedita partecipazione diretta.
Chi
ricorda lo straordinario “moto popolare” che si determinò dal basso,
autonomamente e che sempre autonomamente, determinò reti nazionali e
internazionali percorse dal sentimento solidale, collettivo, umanitario e
universale che l'accesso a questi beni è un diritto di tutti, che va garantito,
governato attraverso politiche condivise? Tutto ciò non poteva che esaltare e
diffondere la cultura della Pace. Eppure questo “moto di popolo”, fu prima
contrastato da tutti i grandi partiti, sindacati, associazioni ambientaliste e
media e poi umiliato dagli stessi, alla fine: cancellato. Qui sta la grande
colpa della politica, in particolare della sinistra L’occasione perduta di
tracciare una nuova alternativa al fallimento delle grandi speranze del ’900, quella
dei beni comuni. Ricordate? Quel movimento visse di comitati locali, che
diventarono un corpo sociale capace di produrre politica e cultura, alternative
alla corsa al riarmo, al disastro e alla guerra mondiale. Facciamo uno sforzo
per ricordare i comportamenti della gente tenendo l’acqua come paradigma. Ebbene
15 anni fa le scuole, i quartieri, i paesi, i fedeli nelle parrocchie
promossero assemblee e dibattiti su questo. I banchetti si formarono
spontaneamente per raccogliere le firme. C’erano file davanti ai comuni per
ritirare i moduli, i bambini imparavano a chiudere i rubinetti per non
consumare acqua, ne parlavano le famiglie, proliferavano le casette dell’acqua,
fiorivano le mille attività di solidarietà con il Sud del mondo e la pressione
sui governi e sull’ONU. In una parola emerse nel popolo la sua parte solidale.
Guardiamoci
ora. Viviamo
indifferenti ai massacri a agli assedi per un fazzoletto di terra chiamato
Gaza. Diamo per scontato il precipitare in una guerra mondiale nucleare e ad
ogni siccità misuriamo il drammatico ridursi della produzione agricola. In 80
anni abbiamo ridotto di ben 4 volte la disponibilità d’acqua per persona al
giorno. Il Pontefice ci manda messaggi inascoltati e nel 2019 ci ammonì: “che
in mezzo alla terza guerra mondiale a pezzi, stiamo andando verso la grande
guerra mondiale dell’acqua”. E attorno a noi? La maggioranza sembra chiudersi
in una paura silenziosa, nell’individualismo, nel tribalismo moderno, nei
nazionalismi. Un mondo teso alla conquista, all’appropriazione delle risorse,
siano esse: petrolio, gas, acqua o terra e ciò che racchiude.
Cessiamo
per un attimo di guardare alle guerre con l'occhio, assolutamente necessario,
dell'esperto di geopolitica e chiediamoci: la Guerra in Ucraina, non è anche
guerra per il possesso di un grande territorio fertile? Per l’acqua del fiume
Dneper, (il terzo bacino idrico europeo) e del cibo, grano, olio di girasole? Pensiamo
alla dipendenza totale della Crimea da questo fiume attraverso i 400 km del
North Crimean Canal, che l’Ucraina ha minacciato di chiusura? E la guerra
Israele Palestina? Non è forse il paradigma della guerra per l’acqua e per la
terra rubate? Non è forse il paradigma del moderno orrore? Possiamo parlare di
Kurdistan, di Siria, di Iraq attraversate da guerre e terrorismi, senza vedere
il destino del Tigri e dell’Eufrate? E che dire delle guerre infinite del
Sudan, dell’Etiopia senza vedere e pensare al grande Nilo e al proliferare
delle dighe? Che dire della ignorata guerra nel Kashmir con la minaccia di
guerra nucleare tra due colossi come India e Pakistan?
Il
rapporto dell’Unesco del 2019 parla di 262 conflitti nel mondo per conquistare
l’accesso all’acqua, ci parla di 1000 bambini al giorno che muoiono per
mancanza di acqua potabile e ci avverte dell’Africa, del destino dei suoi
grandi fiumi, delle sue terre rare, della sua popolazione destinata a
raddoppiare entro il 2050 e dell'insanabile fame di risorse delle grandi
potenze. Ecco, ricordiamolo ancora: nel 2010 l’ONU dichiarava l’acqua un
diritto umano. E oggi? L’ONU e tutti noi, assistiamo impotenti all’uso dell’acqua
come arma di distruzione di massa, all’assedio Medioevale dell’esercito di
Israele a Gaza. Nel 2024 l’acqua è negata per uccidere. Che
fare? Non ho risposte politiche o scientifiche. Vorrei solo contribuire a
recuperare la perduta memoria dei Beni Comuni, della condivisione e quindi
della Pace. Penso sia la sola capace di dare una alternativa al genere umano.