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domenica 31 marzo 2024

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada


 
L’ozio (cap. III)

Continuando le considerazioni sulle parole formulate con la teta, piace soffermarmi su ωθ/ως, perifrasi usata dai latini, come radice, ma anche come conio, che, con il senno di poi, sono riuscito, dopo errori di lettura, ad individuare in diversi contesti. I greci, come ho già più volte detto, fecero delle deduzioni (εω), da αοθ/ωθ (genera l’ho il crescere), asserendo, con θ-έω: spingo, respingo, espello. Quindi, dedussero lo spingere dalla crescita della creatura nel grembo. Da θ-έω non solo dedussero il deverbale: σμός: spinta, da cui, in italiano, osmosi, ma ne fecero un conio: ωσις/ωσεος (genera il crescere l’andare a legare da cui consegue il mancare/nascere, a voler dire: la crescita del flusso determina il legame della madre con il figlio, causandone, dopo la formazione, la nascita di), per formare molti deverbali. Ad esempio, dalla radice γν (genera dentro) di γιγνώσκω: conosco, riconosco, comprendo, elaborarono: γνσις: cognizione, conoscenza, scienza, gnosi. Quindi si ebbero: gnostico e il contrario agnostico e agnosticismo. Da ricordare che i latini dedussero cognizione da cognitus di cognosco, che è ciò che stato conosciuto, ad indicare conoscenza consapevole, approfondita, fino a giungere a una conoscenza scientifica, in quanto verificata, anche se, oggi, cognizione rimanda ad un sentore di conoscenza. Da γνσις furono rielaborate: diagnosi, prognosi ed anche: μετά-γνωσις: mutamento di opinione, pentimento, in quanto il prefisso μετά proietta in avanti la realtà del grembo, che, frattanto, è divenuta, da qui il mutamento di opinione, mentre altri interpretarono alla lettera εος (dall’ho il mancare) del genitivo, prefigurando la morte da parto, che determina il pentimento. Da βίος: vita furono dedotte: βιώσις: condotta di vita, tenore di vita e συμ-βίωσις: convivenza, coabitazione, intimità, che rimanda al legame madre-figlio nel grembo. Da φλόξ φλογ-ός: fiamma, fu dedotta φλόγ-ωσις: incendio, infiammazione, flogosi.



Tornando a cognosco, bisogna dire che, in latino, c’è anche nosco/notum (alla greca: n-ωθ-co/n-ωθ-um) con i seguenti significati: mi accorgo, vengo a conoscenza, riconosco, per cui dal participio passato (n-ωθ-us) notus: mi sono accorto, sono venuto a conoscenza, riconosciuto, fu dedotto anche l’aggettivo noto come da tutti conosciuto, da cui furono ricavate tante parole: notare, annotare, la nota a pie’ di pagina, la nota musicale, notazione, notabile, ma, soprattutto, nozione, come conoscenza elementare, senza la quale non c’è costruzione di sapere!
I latini, come già detto, conobbero la radice αοθ/ωθ (genera il crescere dell’ho), da cui elaborarono: ωθ-ium: riposo, tempo libero, ozio, quasi omologo di σχολή, che, insieme ad altri significati, acquisì anche quello di otium, per cui il sigma, che si lega alla χ, si deve leggere θ (crescere). Greci e latini trovarono nei processi formativi dell’essere una pausa dal legare (dalla fatica di tutti i giorni), perché la crescita della creatura si era completata, per cui non si doveva lavorare. Questa concezione dell’ozio (dall’ho il crescere nasce il rimanere dell’ho), come frutto del benessere raggiunto, è stata la disgrazia dei latini e della cultura dei popoli neolatini, che preservarono dalle fatiche comuni i nobili e gli abbienti, riservando ai diseredati e ai commercianti il compito di praticare il non-ozio (negotium nell’accezione più ampia). Probabilmente, anche os di honos honoris è da collegare a ωθ. Il concetto originario di onore, per il pastore latino, discende dal compito importante, grandioso, di responsabilità, che uno riceve. I latini, nel coniare questo lemma, dissero: l’onore si genera da dentro il passare il crescere, dallo scorrere il legare. Quindi, avere l’incarico di realizzare la creatura è un grande onore. A conferma di quanto detto si ricorda che il significato di honorarius rimanda a honoris causa, a titolo d’onore. Mentre il concetto moderno di honorarium è da collegare al pagamento all’erario per svolgere un incarico, una funzione dello Stato. Successivamente l’onore comprese anche ciò che attiene alla dignità e al decoro della persona.



Anche m-ως moris contiene ωθ, ma tutta la perifrasi: (dal rimanere la crescita, come flusso spermatico, genera l’andare a legare) porta, invece, alla fatica come fatto quotidiano, abituale, all’etos (l’etica) dei greci, ma anche al costume come abito, in quanto il grembo diventa una coperta (un abito) per la creatura, che, per pudore, non deve mai dismettere davanti agli altri. Anche la parola cos-θυμ-e degli italici rimanda a etos e a mos, in quanto è, sì, abito, ma, essenzialmente, fatica abituale per favorire la crescita di quello che deve nascere.
Il contadino latino, elaborando fl-ως floris, disse: nasce dallo sciogliere il crescere (dal flusso, in questo caso linfatico) che determina il legame (il fiore), propedeutico alla formazione del frutto. Il contadino greco, coniando νθός νθους, era stato più preciso, dicendo: da dentro il crescere avviene il legame che fa nascere (il fiore). Ricordo che gli italici da νθός dedussero: pi-νθ-a.



Il pastore latino, coniando mov-eo (muovo, metto in moto), elaborò questa perifrasi (moab): dall’andare è ciò che rimane (in grembo) per me, ovvero: la partenza della creatura genera per me il mettere in moto. Per coniare il supino motum e, poi, il participio perfetto motus (mosso, messo in moto) utilizzò ωθ, in questo modo: m-ωθ-us, in chi è rimasto a generare il crescere si prefigura chi si è mosso. Inoltre, da motus motus (dal rimanere il crescere è ciò che lega): moto/movimento, gli italici dedussero: motivo come causa del processo di formazione. Per quanto riguarda motum, i latini potrebbero aver usato anche μόθος: tumulto (come sussulto del grembo), da cui in italiano: i moti (del 20/21), ma il significato non cambia. Nel mio dialetto: n’han’ pigliat’ i mot’ (ha avuto una crisi epilettica) indica il sussultare di una vita, che sembra spegnersi. Da mob/mov e da mot furono dedotte tantissime parole: mobile, mobilità, immobile, smobilito, motore, smosso, con collegamento evidente a: θ-έω, quindi: rimosso, commosso, commozione del pastore per il sussulto della creatura, promoveo: faccio avanzare, faccio progredire, quindi: è promosso, veramente, chi ha fatto dei progressi, altrimenti, si può mandare avanti anche con un calcio nel sedere! Poi: promotore, mentre Dante formulò: permotore, che è colui che ha suscitato/destato/indotto il movimento. Inoltre, nell’avanzare del grembo, il pastore intravede una sorta di smottamento. Sicuramente anche os-tendo: metto in mostra contiene ωθ: è ciò che genera il crescere, da dentro il tendere il legare, che indica il grembo proteso. Qui s’interrompe l’analisi del conio ωθ
per riprenderla con le considerazioni denominate: La dote.