Continuando le considerazioni sulle parole formulate con la teta, piace
soffermarmi su ωθ/ως, perifrasi
usata dai latini, come radice, ma anche come conio, che, con il senno di poi,
sono riuscito, dopo errori di lettura, ad individuare in diversi contesti. I
greci, come ho già più volte detto, fecero delle deduzioni (εω), da αοθ/ωθ(genera l’ho il crescere), asserendo, con ὠθ-έω: spingo,
respingo, espello. Quindi, dedussero lo spingere dalla crescita
della creatura nel grembo. Da ὠθ-έω non solo
dedussero il deverbale: ὠσμός: spinta, da cui, in italiano, osmosi, ma ne fecero un
conio: ωσις/ωσεος (genera il
crescere l’andare a legare da cui consegue il mancare/nascere, a voler dire: la
crescita del flusso determina il legame della madre con il figlio, causandone,
dopo la formazione, la nascita di), per formare molti deverbali. Ad esempio,
dalla radice γν (genera dentro) di γιγνώσκω: conosco, riconosco, comprendo, elaborarono: γνῶσις: cognizione,
conoscenza, scienza, gnosi. Quindi si ebbero: gnostico e
il contrario agnostico e agnosticismo.
Da ricordare che i latini dedussero cognizione da cognitus di cognosco,
che è ciò che stato conosciuto, ad indicare conoscenza consapevole,
approfondita, fino a giungere a una conoscenza scientifica, in quanto
verificata, anche se, oggi, cognizione rimanda ad un sentore di
conoscenza. Da γνῶσιςfurono
rielaborate: diagnosi, prognosi ed anche: μετά-γνωσις: mutamento di opinione, pentimento,
in quanto il prefisso μετά proietta in
avanti la realtà del grembo, che, frattanto, è divenuta, da qui il
mutamento di opinione, mentre altri interpretarono alla lettera εος (dall’ho il mancare) del genitivo, prefigurando la morte da
parto, che determina il pentimento. Da βίος: vita furono dedotte: βιώσις: condotta
di vita, tenore di vita e συμ-βίωσις: convivenza, coabitazione, intimità, che rimanda al
legame madre-figlio nel grembo. Da φλόξφλογ-ός: fiamma, fu dedotta φλόγ-ωσις: incendio, infiammazione, flogosi.
Tornando a cognosco,
bisogna dire che, in latino, c’è anche nosco/notum (alla greca: n-ωθ-co/n-ωθ-um) con i
seguenti significati: mi accorgo, vengo a conoscenza, riconosco,
per cui dal participio passato (n-ωθ-us) notus:
mi sono accorto, sono venuto a conoscenza, riconosciuto,
fu dedotto anche l’aggettivo noto come da tutti conosciuto, da
cui furono ricavate tante parole: notare, annotare, la nota a
pie’ di pagina, la nota musicale, notazione, notabile, ma,
soprattutto, nozione, come conoscenza elementare, senza la quale non c’è
costruzione di sapere! I latini, come
già detto, conobbero la radice αοθ/ωθ (genera il
crescere dell’ho), da cui elaborarono: ωθ-ium: riposo,
tempo libero, ozio, quasi omologo di σχολή, che, insieme ad altri significati, acquisì anche quello di otium,
per cui il sigma, che si lega alla χ, si deve leggere θ (crescere).
Greci e latini trovarono nei processi formativi dell’essere una pausa dal legare
(dalla fatica di tutti i giorni), perché la crescita della creatura si era
completata, per cui non si doveva lavorare. Questa concezione dell’ozio
(dall’ho il crescere nasce il rimanere dell’ho), come frutto del benessere
raggiunto, è stata la disgrazia dei latini e della cultura dei popoli
neolatini, che preservarono dalle fatiche comuni i nobili e gli abbienti,
riservando ai diseredati e ai commercianti il compito di praticare il non-ozio
(negotium nell’accezione più ampia). Probabilmente, anche os di honos
honoris è da collegare a ωθ. Il concetto
originario di onore, per il pastore latino, discende dal compito importante,
grandioso, di responsabilità, che uno riceve. I latini, nel coniare questo
lemma, dissero: l’onore si genera da dentro il passare il crescere, dallo
scorrere il legare. Quindi, avere l’incarico di realizzare la creatura
è un grande onore. A conferma di quanto detto si ricorda che il significato di honorarius
rimanda a honoris causa, a titolo d’onore. Mentre il concetto
moderno di honorarium è da collegare al pagamento all’erario per
svolgere un incarico, una funzione dello Stato. Successivamente l’onore
comprese anche ciò che attiene alla dignità e al decoro della
persona.
Anche m-ωςmoris contiene ωθ, ma tutta la perifrasi: (dal rimanere la crescita,
come flusso spermatico, genera l’andare a legare) porta, invece, alla fatica
come fatto quotidiano, abituale, all’etos (l’etica) dei greci, ma anche
al costume come abito, in quanto il grembo diventa una coperta
(un abito) per la creatura, che, per pudore, non deve mai dismettere davanti
agli altri. Anche la parola cos-θυμ-e degli
italici rimanda a etos e a mos, in quanto è, sì, abito,
ma, essenzialmente, fatica abituale per favorire la crescita di
quello che deve nascere. Il contadino
latino, elaborando fl-ωςfloris, disse:
nasce dallo sciogliere il crescere (dal flusso, in questo caso linfatico)
che determina il legame (il fiore), propedeutico alla formazione del
frutto.Il contadino greco, coniando ἄνθόςἄνθους, era stato
più preciso, dicendo: da dentro il crescere avviene il legame che fa nascere
(il fiore).Ricordo che gli italici da ἄνθός dedussero: pi-ἄνθ-a.
Il pastore
latino, coniando mov-eo (muovo, metto in moto), elaborò questa perifrasi
(moab): dall’andare è ciò che rimane (in grembo) per me, ovvero: la partenza
della creatura genera per me il mettere in moto. Per coniare il supino motum
e, poi, il participio perfetto motus (mosso, messo in moto)
utilizzò ωθ, in questo modo: m-ωθ-us, in chi è
rimasto a generare il crescere si prefigura chi si è mosso. Inoltre, da motus
motus (dal rimanere il crescere è ciò che lega): moto/movimento,
gli italici dedussero: motivocome causa del processo di
formazione. Per quanto riguarda motum, i latini potrebbero aver usato
anche μόθος: tumulto (come sussulto del grembo), da cui
in italiano: i moti (del 20/21), ma il significato non cambia. Nel mio
dialetto: n’han’ pigliat’ i mot’ (ha avuto una crisi epilettica) indica
il sussultare di una vita, che sembra spegnersi. Da mob/mov e
da mot furono dedotte tantissime parole: mobile, mobilità,
immobile, smobilito, motore, smosso, con
collegamento evidente a: ὠθ-έω, quindi: rimosso,
commosso, commozione del pastore per il sussulto della creatura,
promoveo: faccio avanzare, faccio progredire, quindi: è
promosso, veramente, chi ha fatto dei progressi, altrimenti, si può
mandare avanti anche con un calcio nel sedere! Poi: promotore, mentre
Dante formulò: permotore, che è colui che ha suscitato/destato/indotto
il movimento. Inoltre, nell’avanzare del grembo, il pastore intravede una sorta
dismottamento. Sicuramente anche os-tendo: metto in
mostra contiene ωθ: è ciò che
genera il crescere, da dentro il tendere il legare, che indica il grembo
proteso. Qui s’interrompe l’analisi del conio ωθper
riprenderla con le considerazioni denominate: La dote.