Hanno paura della legalità. Dialogo itinerante n. 190 Atmosfera
nervosetta, ieri pomeriggio, davanti al portone del numero 1 di Via Cavour. Firenze,
sede della Prefettura. E dunque del Ministero dell’Interno. E dunque del
Governo nazionale, in città. Un via vai di divise, alti-in-grado e auto di
rappresentanza. Ci dev’esser qualcosa che succede su, al secondo piano. Un
cordone mobile e due agenti donne sull’ingresso, che aprono e chiudono il
cordone al passaggio degli invitati. Certo, un po’ scomodo, per loro, scendere
di macchina e trovarsi di fronte una denuncia così perentoria vergata a colori
addosso a questo manifestante che distribuisce volantini non meno espliciti. In
qualche modo sono costretti a passagli proprio davanti, non possono evitarlo.
La maggior parte respingono con un sorriso cortese o sfuggente il tentativo di
dialogo che lui abbozza. Imbarazzante per loro dover costatare che c’è chi dice
no, documentazione alla mano. Imbarazzante dover vedere messa in discussione, e
senza possibilità di replica, l’autorevolezza dell’autorità che li attende, al
secondo piano, per un incontro del quale il manifestante nulla sa, ma che una
favorevole coincidenza rende un pelino più problematico, forse. Imbarazzante dover
considerare la curiosa quanto naturale alleanza, nella disapplicazione della
legge, fra ministro nazionale e presidente regionale: il primo che non risponde
alle Pec di
segnalazione-emergenza-idraulica-non-contemplata-nella-Firenze-plurialluvionata,
il secondo che incede trionfante, casco bianco e pettorina gialla da protezione
civile, in un tunnel temerariamente in costruzione senza il minimo
coinvolgimento dei Vigili del Fuoco. Voi direte: ma ancora con questa storia
dei Vigili del Fuoco? È vero, di loro è bene parlare solo a tragedie consumate.
Solo dopo la Romagna, dopo il Mugello, dopo Campi Bisenzio, dopo via Mariti. A
parlarne prima, sembra di portar iella. Deve averlo pensato anche la funzionaria
della Prefettura che, martedì scorso, mi chiese giustamente di spostarmi per
poter entrare in un’altra macchina scura d’ordinanza parcheggiata accanto al
marciapiede. - Permesso, scusi…? - Ah, mi scusi lei!... prego, guardi… Le porgo il volantino. - No! Io sono della Prefettura, grazie!’ - Appunto: si parla di voi. Avete una Prefetto che non
osserva la legge. E questo è gravissimo! - Ecco, glielo vada a dire a lei! - Ma gliel’ho scritto sette volte…’ - È che lei poi me le rigira a me, capito? - Ah sì? - Grazie! Arrivederci! Ormai è seduta accanto all’autista. Perentoria, sbatte
la portiera. Fine della relazione.
Ieri, il peggio che mi è capitato da chi saliva su,
accento marcatamente laziale: - E non me lo dare a me! Fuori legge? E cosa? - No: è una domanda, è che noi abbiamo le prove… - Ma dico… - Noi abbiamo le prove! - Beati voi, che ci avete le prove…! - La vuole vedere, la prova? E gli mostro la fatidica lettera firmata Marisa
Cesario. - Guardi: Vigili del Fuoco che scrivono al Prefetto, a
luglio. E il prefetto non fa niente. - Eh… vabbè… - E che vuol dire ‘vabbè’? - Questo lo dice lei! - No, no, no, lo dicono i fatti! Mentre, perplesso, imbocca l’ingresso, un sorridente
dolce volto femminile (chissà! mi conosce?) mi saluta cortese anche lei
entrando: - Salve! - Buonasera!
Quando sono arrivato, una delle due agenti
all’ingresso, che ormai mi conosce a menadito, e già altre volte mi ha
‘identificato’, torna a chiedermi il foglio inviato in Questura, e rientra in
ufficio per la verifica. L’ultima volta, martedì scorso, scherzosamente l’avevo
salutata con queste parole: - La prossima volta, però, mi raccomando: mi faccia
vedere l’autorizzazione di Mattarella! - Cioè? - Sì! Quella che lui autorizza il prefetto a ignorare
la legge… La battuta era piaciuta, apparentemente. Oggi, invece, quando torna è a mani vuote: la mia
lettera dev’essere ancora ai raggi x. Tutto quel passaggio di divise e di
autorità deve aver causato qualche grattacapo, nel Palazzo. E allora, per sdrammatizzare: - Non eravamo rimasti,
ricorda? che lei mi procurava quella cosa di Mattarella che autorizza il
prefetto a far finta di nulla? Oggi è un’altra aria. Seria, replica: - Intanto,
dobbiamo vedere se è autorizzato lei! Perché quella che mi ha dato è soltanto
la comunicazione che ha fatto in Questura, non è l’autorizzazione a stare qua. - Ma è sempre così! Chieda alla Digos e vedrà. Anche le
altre volte, ricorda? E questa è la centonovantesima! Sta scritto su quel
foglio che le ho dato. La invio almeno tre giorni prima, come dicono le norme! - Forse non mi sono spiegata! Il foglio che lei mi ha dato
non è l’autorizzazione che lei può stare qua. Ho capito che all’Ordine
Pubblico, in Questura, dove ha mandato la Pec, la conoscono, lo sanno, sanno
che persona è, e sanno per che cosa manifesta. Giustamente, se non ci sono
problemi, lei è autorizzato. Ma l’autorizzazione non c’è, scritta! Insomma: stiamo spezzando il capello in quattro. E
allora provo a tornare dal serio al faceto: - Ma io volevo quella di
Mattarella… - Allora, lei deve andare a Roma - … perché qui la situazione è grave. Anche al Ministero
dell’Interno… - Guardi, con me non può parlare di queste cose: se
vuole dare i suoi volantini, faccia pure, ma non mi venga a parlare di governo
e cose simili… E torna via. Più tardi, il tono si è ulteriormente inasprito: -
Questo è il suo foglio. Però, la prossima volta, se possibile io voglio
un’autorizzazione scritta, sennò lei da qua si sposta! - Mi dispiace… - Di che? - Non lo farò! - E allora, la prossima volta che trova me, lei da qua
si sposta! - Vediamo. - Vedremo! Se ricordo bene, la divisa che indossa recita
‘Ministero dell’Interno’: lo stesso da cui dipende la Questura! Ma non posso pensare che questa improvvisa durezza
nasca dal cuore dell’agente. La penso come Pasolini: guai a identificare il
problema nel posto sbagliato. I potenti non si espongono, costruiscono
trappole: sta a noi - educatamente - metterle a nudo.