Sono trascorsi tredici anni da
quel giorno cruciale. Il 15 aprile 2011, il corpo di Vittorio Arrigoni fu
trovato senza vita, rapito il giorno prima. Per me, questa data è diventata un
momento di riflessione morale, un bilancio della mia vita. Il suo motto, “Restiamo
Umani”, pronunciato a Gaza sotto le bombe israeliane durante l’operazione
Piombo Fuso, è diventato il mio mantra. Durante quel periodo, mi trovavo in
Kosovo per la mia prima missione di pace. I post del suo blog “Guerrilla Radio”
mi colpivano ogni giorno. Come si può rimanere umani quando sembra non esserci
più nulla di umano? Le sue parole però acquistavano forza proprio in quelle
circostanze. Per Vittorio, quel conflitto non era un argomento da salotto, né
una semplice disputa storica tra due popoli; rappresentava la realtà quotidiana
di due milioni di persone, e lui scelse di restare lì con loro, più che per
loro. Il suo esempio ancor più delle sue parole è la sua eredità. Quando
appresi della sua morte, ero in viaggio da due anni intorno al mondo, diretto
verso quella terra a cui lui aveva dedicato gran parte della sua esistenza. Le
sue parole mi hanno sempre accompagnato nei miei viaggi. Tra le molte immagini
che ci ha trasmesso, c'è quella di un dialogo con un medico che desidero
condividere per continuare a riflettere insieme: “Prendi dei gattini, dei teneri
micetti e mettili dentro una scatola” mi dice Jamal, chirurgo dell’ospedale Al
Shifa, il principale di Gaza, mentre un infermiere pone per terra dinnanzi a
noi proprio un paio di scatoloni di cartone, coperti di chiazze di sangue.
“Sigilla la scatola, quindi con tutto il tuo peso e la tua forza saltaci sopra
sino a quando senti scricchiolare gli ossicini, e l’ultimo miagolio soffocato”.
Fisso gli scatoloni attonito, il dottore continua “Cerca ora di immaginare cosa
accadrebbe subito dopo la diffusione di una scena del genere, la reazione
giustamente sdegnata dell’opinione pubblica mondiale, le denunce delle
organizzazioni animaliste…” il dottore continua il suo racconto e io non riesco
a spostare un attimo gli occhi da quelle scatole poggiate dinnanzi ai miei
piedi. “Israele ha rinchiuso centinaia di civili in una scuola come in una
scatola, decine di bambini, e poi la schiacciata con tutto il peso delle sue
bombe. E quale sono state le reazioni nel mondo? Quasi nulla. Tanto valeva
nascere animali, piuttosto che palestinesi, saremmo stati più tutelati”. A questo punto il
dottore si china verso una scatola, e me la scoperchia dinnanzi. Dentro ci sono
contenuti gli arti mutilati, braccia e gambe, dal ginocchio in giù o interi
femori, amputati ai feriti provenienti dalla scuola delle Nazioni Unite Al
Fakhura di Jabalia, più di cinquanta finora le vittime. Vittorio Arrigoni -
Gaza.
Restiamo umani Oggi quell’ospedale
non esiste più, è stato completamente messo fuori uso dall’esercito israeliano.
La nostra indignazione si manifesta spesso in parole di disapprovazione o
tristezza di fronte alle notizie, ma senza un’azione concreta per opporsi alle
ingiustizie generate dal sistema. Il vero problema non risiede in Israele o
negli israeliani, ma nella cultura occidentale che tende a sopprimere ciò che è
diverso. L’umanità non dovrebbe essere preservata solo in tempo di guerra;
dovremmo praticarla ogni giorno per evitare di deumanizzare 2 miliardi di
persone che non hanno accesso all’acqua potabile. Per realizzare un
cambiamento, dobbiamo iniziare da noi stessi. I tristi eventi recenti ci
portano a sperare che, con l’escalation del conflitto alle porte dell’Europa e
le sue ripercussioni economiche, possiamo trovare lo stimolo per riconsiderare
le nostre vite e mettere fine a uno degli imperialismi più pericolosi: quello
del capitalismo, che sembra aver temporaneamente trionfato sulla nostra
umanità. È per questo che oggi, più che mai, dobbiamo ricordare Vittorio e il
suo messaggio.