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mercoledì 1 maggio 2024

BECCARIA, CARCERE MINORILE DI MILANO
di Marco Vitale


Cesare Beccaria
 
Che tristezza! Che desolazione! Che vergogna! Questi sono i sentimenti che mi hanno profondamente turbato quando ho letto le parole con le quali la gip Stefania Donadeo ha convalidato 13 arresti e 8 sospensioni dal servizio di altrettanti agenti della polizia penitenziaria in servizio al Carcere Minorile di Milano intitolato a Cesare Beccaria, tra i padri dell’illuminismo lombardo e maestro di civiltà giuridica.  Secondo la gip si era dato vita ad un sistema consolidato di violenze reiterate, vessazioni, punizioni corporali, umiliazioni e pestaggi di gruppo. I reati ipotizzati sono: tortura, lesioni, maltrattamenti, falso, tentativo di violenza sessuale.

Oggi i minori reclusi al Beccaria sono circa 70; al tempo degli atti di violenza contestati erano tra i 30-40. Come non essere d’accordo con Gad Lerner (Il Fatto Quotidiano, 25 aprile 2024) che si chiede: “Possibile che per tenere a bada un numero così modesto di ragazzi senz’altro difficili, difficilissimi, si ritenesse necessario il ricorso al terrore? È possibile perché sembra sia successo. Ma, allora, un’altra domanda incombe: è possibile che persone certamente esperte potessero frequentare regolarmente il Beccaria per svolgere i loro compiti, parlare con i giovani reclusi e con quelli che lasciavano il carcere per completamento della pena, intrattenersi con le guardie carcerarie, senza che dei comportamenti in atto ed ora scoperchiati nulla, ma proprio nulla trapelasse? È possibile perché anche questo è successo. Ma si tratta di cecità o di omertà? Di omertà o di menefreghismo? L’unica cosa certa è che le spiegazioni sino ad ora fornite da alcuni personaggi interessati sono penose e non credibili. Non ne ho sentito uno che abbia umilmente chiesto scusa per la sua “disattenzione”.

La questione è dunque persino più grossa di quanto appaia. Essa pone a tutti noi la domanda cruciale: ma allora Milano non è la città civile che ci illudiamo che sia? Il modo con cui, in una città, si trattano i giovanissimi reclusi non fa parte del livello di civiltà di questa città? Intendiamoci bene: non bisogna porre queste domande per diluire e confondere le responsabilità specifiche. Le responsabilità specifiche e dirette ci sono e sono quelle dei responsabili della gestione penitenziaria e dell’istituto e mi auguro che un’azione decisa sui responsabili venga prontamente avviata. Ma poi, con varie gradazioni, c’è la responsabilità non penale ma civile, istituzionale di chi, in varie vesti, dovrebbe essere custode e partecipe del livello di civiltà della città. Vorrei sentire la voce del Sindaco, del prefetto, del presidente del Tribunale minorile, dell’arcivescovo, del cappellano allora responsabile del Beccaria, del giornale della città (forse oggi non c’è più un giornale della città ma allora c’era) e poi quella dei singoli cittadini che amano la nostra città e vorrebbero contribuire a frenare il suo, sempre più evidente, imbarbarimento. Io sono tra questi e per questo sono triste, desolato ed anche vergognoso per quello che è successo al Beccaria, che io, come tanti, mi illudevo fosse un carcere civile e gestito responsabilmente, degno del nome che porta e della nostra città. E mi sento di dover chiedere scusa per la mia disattenzione e mi dichiaro disponibile a collaborare con altri cittadini che condividono questi sentimenti e che vorrebbero contribuire a migliorare la situazione o, perlomeno, a sorvegliare che il carcere minorile di Milano non sia un bordello ed un luogo di sevizie oppure cambi nome.