BECCARIA, CARCERE MINORILE DI MILANO di
Marco Vitale
Cesare Beccaria
Che
tristezza! Che desolazione! Che vergogna! Questi sono i sentimenti che mi hanno
profondamente turbato quando ho letto le parole con le quali la gip Stefania
Donadeo ha convalidato 13 arresti e 8 sospensioni dal servizio di altrettanti
agenti della polizia penitenziaria in servizio al Carcere Minorile di Milano
intitolato a Cesare Beccaria, tra i padri dell’illuminismo lombardo e maestro
di civiltà giuridica.Secondo la gip si
era dato vita ad un sistema consolidato di violenze reiterate, vessazioni,
punizioni corporali, umiliazioni e pestaggi di gruppo. I reati ipotizzati sono:
tortura, lesioni, maltrattamenti, falso, tentativo di violenza sessuale.
Oggi
i minori reclusi al Beccaria sono circa 70; al tempo degli atti di violenza
contestati erano tra i 30-40. Come non essere d’accordo con Gad Lerner (Il
Fatto Quotidiano, 25 aprile 2024) che si chiede: “Possibile che per tenere a
bada un numero così modesto di ragazzi senz’altro difficili, difficilissimi, si
ritenesse necessario il ricorso al terrore?” È possibile perché sembra
sia successo. Ma, allora, un’altra domanda incombe: è possibile che persone
certamente esperte potessero frequentare regolarmente il Beccaria per svolgere
i loro compiti, parlare con i giovani reclusi e con quelli che lasciavano il
carcere per completamento della pena, intrattenersi con le guardie carcerarie,
senza che dei comportamenti in atto ed ora scoperchiati nulla, ma proprio nulla
trapelasse? È possibile perché anche questo è successo. Ma si tratta di
cecità o di omertà? Di omertà o di menefreghismo? L’unica cosa certa è che le
spiegazioni sino ad ora fornite da alcuni personaggi interessati sono penose e
non credibili. Non ne ho sentito uno che abbia umilmente chiesto scusa per la
sua “disattenzione”.
La
questione è dunque persino più grossa di quanto appaia. Essa pone a tutti noi
la domanda cruciale: ma allora Milano non è la città civile che ci illudiamo
che sia? Il modo con cui, in una città, si trattano i giovanissimi reclusi non
fa parte del livello di civiltà di questa città? Intendiamoci bene: non bisogna
porre queste domande per diluire e confondere le responsabilità specifiche. Le
responsabilità specifiche e dirette ci sono e sono quelle dei responsabili
della gestione penitenziaria e dell’istituto e mi auguro che un’azione decisa
sui responsabili venga prontamente avviata. Ma poi, con varie gradazioni, c’è
la responsabilità non penale ma civile, istituzionale di chi, in varie vesti,
dovrebbe essere custode e partecipe del livello di civiltà della città. Vorrei
sentire la voce del Sindaco, del prefetto, del presidente del Tribunale
minorile, dell’arcivescovo, del cappellano allora responsabile del Beccaria,
del giornale della città (forse oggi non c’è più un giornale della città ma
allora c’era) e poi quella dei singoli cittadini che amano la nostra città e
vorrebbero contribuire a frenare il suo, sempre più evidente, imbarbarimento.
Io sono tra questi e per questo sono triste, desolato ed anche vergognoso per
quello che è successo al Beccaria, che io, come tanti, mi illudevo fosse un carcere
civile e gestito responsabilmente, degno del nome che porta e della nostra
città. E mi sento di dover chiedere scusa per la mia disattenzione e mi
dichiaro disponibile a collaborare con altri cittadini che condividono questi
sentimenti e che vorrebbero contribuire a migliorare la situazione o,
perlomeno, a sorvegliare che il carcere minorile di Milano non sia un bordello ed
un luogo di sevizie oppure cambi nome.