CINQUANT’ANNI FA: IL 18 APRILE ROVESCIATO di Franco Astengo
13Maggio 1974, un lunedì, si chiudono le urne aperte il giorno
precedente 12 Maggio: l’Italia ha votato per il primo referendum abrogativo
nella storia repubblicana. Si tratta di decidere se conservare o meno la legge
sul divorzio introdotta nel 1971 grazie all’iniziativa di due parlamentari
laici, il socialista Fortuna e il liberale Baslini e approvata dal parlamento
con una maggioranza comprendente tutti i partiti dal gruppo del Manifesto al
PLI, contrari soltanto DC e MSI. La legge sul divorzio, lungamente attesa e segno evidente
dell’avvio di un processo di modernizzazione nei costumi, era stata messa in
discussione dall’iniziativa di gruppi cattolici oltranzisti che avevano
raccolto le firme proprio per arrivare alla consultazione elettorale. Ricostruendo così, con esattezza quella vicenda, si comincia a
sfatare un mito: quello del referendum voluto dai radicali, che sicuramente
rappresentarono un piccolo gruppo molto vivace a difesa della legge, ma che non
ne furono i promotori, non disponendo all’epoca neppure di una rappresentanza
parlamentare.
Il risultato di quella consultazione con il 69% di sì
alla conservazione della legge dimostrò, peraltro, come il cosiddetto “paese
reale” si collocasse ben oltre nella modernità della sua cultura e dei suoi
costumi rispetto al quadro istituzionale: erano state forti, ad esempio le
incertezze del gruppo dirigente del PCI ad accettare lo scontro referendario
voluto dai cattolici, anzi si può dire che le elezioni anticipate svoltesi per
la prima volta nel 1972 fossero state determinate anche dalla volontà dello
stesso partito comunista di prendere tempo, per arrivare a una mediazione su
questo argomento del divorzio che appariva come scottante per di più in
un’epoca dove stava maturando, la strategia berlingueriana del “compromesso
storico”.
Fu la segreteria democristiana, retta da Fanfani, a volere lo
scontro diretto nella convinzione di riuscire a mobilitare la parte più oscura
e conservatrice del Paese, quella che nel 1948 aveva dato alla DC la più grande
vittoria della sua storia, anche grazie ai Comitati Civici di Gedda, alle
Madonne Pellegrini di Pio XII, al grido dall’allarme sul “pericolo rosso”. Fanfani, però si trovò a fianco soltanto il MSI di Almirante e non
comprese per tempo le grandi trasformazioni verificatesi nella vita culturale e
sociale del Paese, in seguito alla fase del “miracolo economico” e poi della
ventata del’68, rivelatasi alla fine più importante su questo terreno del
costume e dei diritti civili che non su quello più propriamente politico. Si
trattò di una grande vittoria, la prima, di uno schieramento progressista nato
più dal basso, nella realtà sociale che non dai vertici dei partiti: ma quelli
erano tempi in cui i vertici dei partiti sapevano catalizzare e aggregare il
consenso, e il risultato, sul piano politico, fu sicuramente quello di uno
spostamento a sinistra che determinò anche, 12 mesi dopo, il risultato delle
amministrative del 15 giugno 1975. Si stavano
rompendo le barriere e si stava, finalmente, secolarizzando la società italiana:
un balzo in avanti dal punto di vista della vita quotidiana, della libertà di
pensiero e di comportamento cui diedero un forte contributo anche i cosiddetti
“cattolici del dissenso”, la CISL dell’unità sindacale, le ACLI della scelta
socialista di Vallombrosa.
Un processo di
secolarizzazione della società cui non corrispose, però, la proposta di
un’alternativa maggioritaria da parte della politica, dello schieramento di
sinistra: la linea del compromesso storico, l’esplosione del terrorismo, la
crisi economica derivante dallo “shock” petrolifero dell’inverno 73-74, le
difficoltà d’aggregazione di una nuova sinistra, la retrocessione dal progetto
di unità sindacale furono i fattori principali per i quali quella grande spinta
venne meno e si arrivò, due anni dopo, alla triste soluzione del monocolore
democristiano di Andreotti, con l’astensione di PCI e PSI: seguì, poi, il
rapimento Moro e così il processo di secolarizzazione del paese prese più la
strada del documento di Rinascita Nazionale di Gelli (1975) che quella
dell’alternativa di governo da parte delle sinistre. Eppure quella del 13 Maggio 1974 fu una grande vittoria
della morale laica e della politica progressista, e come tale va ricordata. Nell’occasione allora è il caso, per comprendere meglio il clima
dell’epoca, di ripubblicare l’editoriale scritto da Luigi Pintor per il
Manifesto il martedì 14 Maggio per commentare il risultato. Il
Manifesto, nel suo “sommarione” caratteristico dell’epoca aveva titolato:
“È la più grande vittoria contro la DC e la destra
dalla fine della guerra: 59% no, 41% sì. Vuol dire che l’Italia è cambiata per
la forza ideale delle lotte di questi anni. Fanfani ne esce a pezzi. Noi lo
avevamo detto. Ora lo dicono le masse e chiamano la sinistra unita a proporre
al paese un nuovo orizzonte”. E l’editoriale di Pintor titolò: “Un 18 aprile
rovesciato”.