Riprendo le
considerazioni sul conio ωθ/ως, per
dimostrare che la parola è una perifrasi che significa, meglio, a cui si
assegna un significato. Con ωθ/ωςfu formulata
la parola osossis (osso), di genere neutro, per cui al plurale
diventa ossa, conseguente all’esplicitazione della seguente perifrasi:
genera il crescere dell’ho il mancare l’andare a legare. Anche os oris: bocca
è da collegare ωθ: genera la crescita dell’ho, va a scorrere il
mancare. Quante sciocchezze si dicono con la bocca! Nel mio dialetto si dice: vucca
grann’!(bocca grande!), ad indicare chi magnifica ciò che è suo. Dalla
radice or furono formulati: l’aggettivo or-ale, che è pertinente
con bocca, e le orazioni di Cicerone. Anche h-os-tis hostis contiene lo
stesso stampino. Il pastore latino, che ha in sé la tendenza ad essere
bellicoso, vede nel grembo la metafora del nemico, che sicuramente genera una
spinta propulsiva (legando risentimenti/rancori), che cresce sempre più a
causa del mancare, che è la forza che genera la creatura per nascere. Il
crescere dei torti subiti, legando (in quanto non si dimenticano), fa nascere
il nemico, che si manifesta con la spinta che tende continuamente. Il nemico ha odio, che traduce in una spinta
che cresce con molta intensità, determinando il mancare: distruzione e
morte. Il nemico è ostile e, quando vuol far conoscere il suo stato
d’animo, inizia le ostilità.
Anche d-os dotis: dote, inizialmente
come qualità personale/identitaria,contiene questo piccolo tassello. Il
pastore latino asserisce: nel processo formativo avviene questo: dal mancare si
genera il crescere (a seguito della formazione del flusso gravidico) per poi
legare, che è il periodo della formazione della creatura, quando si evidenziano
capacità e attitudini per fare/realizzare. Da ricordare che, in greco, uno dei
modi per indicare dote è: ἀρετή. Successivamente,
passò ad indicare un’usanza della civiltà agro-pastorale, quella di dotare con
beni, per lo più mobili, la figlia da maritare. C’è, sicuramente, un’altra radice, in cui compare lo
stampino ωθ: p-ωθ (fa generare
l’ho il crescere), da cui fu dedotto: p-os-sum: posso, sono
capace di, ho la capacità di, omologo di δύναμαι (posso, ho forza, ho valore), in quanto con sum fu aggiunto:
determinando il mancare il rimanere. Il pastore latino, dicendo possum,
asserisce che l’essere fecondo lo mette nelle condizioni di poter procreare
(ho la capacità di).
La radice πωθ, da parte
dei latini, generò un fiume di parole: l’aggettivo potis/pote: che
può, capace di, il comparativo potior: migliore, il
superlativo potissimus: il migliore, poi: possibile, pot-ens,
pot-entia, da cui potenziale, potestà, spodesto,
quindi: possiedo, possesso, possedimento ecc. C’è, infine, un calco: osus: genera l’ho
il crescere il legare (tra madre e figlio), che servì a formare molti
aggettivi, per cui da fructus fu dedotto: fruttuoso, che è ciò
che si rinviene nel grembo: genera la crescita del flusso gravidico il legame
con frutto, per cui si genera la formazione abbondante del frutto. Da voluptas
fu dedotto voluttuoso: è colui che legando determina la crescita/nascita
della voluttà. A proposito di voluttà si ricorda che, come volontà,
discende da volo, che esprime la bramosia per qualcosa che si vuole per scelta
deliberata. Nel mio dialetto, se un giovane dice: a vugli’ (la
voglio!), intende affermare che quella ragazza è oggetto delle sue bramosie. Tornando al suffisso osus, c’è da ribadire
che questo calco è proprio della lingua italiana, per cui abbiamo: spinoso,
lattiginoso, permaloso, scivoloso, oggi anche: petaloso
ecc.
Per concludere su questo suffisso, voglio
soffermarmi su geloso, che ha un suo antecedente in zelus latino,
che, a sua volta, è da collegare a ζῆλοςζῆλους: ardore, amore (ardente), emulazione,
rivalità, invidia. Per gli italici zelo indicò la cura
appassionata,dispiegata per realizzare la grande opera del grembo.
Tornando a zelo dei greci, bisogna dire che, senza crasi e assibilazioni,
ζῆλοςζῆλους si sarebbe dovuto scrivere θjεαλοδθjεαλεοδ, la cui traduzione potrebbe suonare così: la crescita genera il legame
da cui nasce (manca) l’invidia o la passione d’amore.Il geloso della cultura italica è
colui che alimenta questo ardore, come fuoco d’amore, che determina la
voglia di possesso e/o il timore che un rivale possa insidiare quell’oggetto
di continuo desiderio. Mi piace sottolineare che a ζηλόωi greci
attribuirono questi significati: desidero ardentemente, porto gelosia,
porto invidia.
I greci, con questa perifrasi: ὕστερος: posteriore,
seguente, dietro (ὕστερον acquisì funzione avverbiale), dopo, dissero:
il grembo cresce a seguito del flusso gravidico, che, dopo, stando dietro,va a legare. Nel mio dialetto p-ystur-iv’, contrario di primitivo
(primaticcio), significa tardivo. I latini, che conobbero questo
aggettivo/avverbio, coniarono, in modo molto stringato, l’avverbio con funzione
anche prepositiva: p-ως-t: dopo,
dietro, asserendo: il grembo che cresce fa generare il tendere, stando dietro,
successivamente, quando si lega alla madre. Da post furono
dedotti: posteriore, postremo, i posteri. Nella lingua
italiana, fu dedotto post-iccio, ad indicare ciò che viene legato,
applicato, aggiunto successivamente. Nel mio dialetto c’è la parola sciωςcia
(scioscia), che indica la sorella maggiore, degna di amorevole rispetto, da
parte dei fratelli minori da lei cresciuti. I greci, nella creatura in grembo, avevano
rappresentato anche l’ospite, lo straniero/l’esule, per cui coniarono
l’aggettivo: ξένος, parola che
si può considerare la cifra della cultura e della civiltà greca, da cui i
latini dedussero xenia, in quanto quello straniero, accolto
ospitalmente, si trasforma in dono. I latini rappresentarono lo stesso
concetto, in forma più esplicita, coniando: hospes hospitis (alla greca:
χωσpes), metafora della creatura in grembo per cui dissero: genera il
passare (del viandante) il legare, in quanto dal crescere si genera il mancare.
Per il pastore è un dovere accogliere chi ha bisogno (bisogna legare/sostenere
chi cresce mancando), al punto che ne fa un protetto da Giove!