Pagine

martedì 14 maggio 2024

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada
 



La dote (Cap. IV)


Riprendo le considerazioni sul conio ωθ/ως, per dimostrare che la parola è una perifrasi che significa, meglio, a cui si assegna un significato.
Con ωθ/ως fu formulata la parola os ossis (osso), di genere neutro, per cui al plurale diventa ossa, conseguente all’esplicitazione della seguente perifrasi: genera il crescere dell’ho il mancare l’andare a legare. Anche os oris: bocca è da collegare ωθ: genera la crescita dell’ho, va a scorrere il mancare. Quante sciocchezze si dicono con la bocca! Nel mio dialetto si dice: vucca grann’! (bocca grande!), ad indicare chi magnifica ciò che è suo. Dalla radice or furono formulati: l’aggettivo or-ale, che è pertinente con bocca, e le orazioni di Cicerone.
Anche h-os-tis hostis contiene lo stesso stampino. Il pastore latino, che ha in sé la tendenza ad essere bellicoso, vede nel grembo la metafora del nemico, che sicuramente genera una spinta propulsiva (legando risentimenti/rancori), che cresce sempre più a causa del mancare, che è la forza che genera la creatura per nascere. Il crescere dei torti subiti, legando (in quanto non si dimenticano), fa nascere il nemico, che si manifesta con la spinta che tende continuamente.  Il nemico ha odio, che traduce in una spinta che cresce con molta intensità, determinando il mancare: distruzione e morte. Il nemico è ostile e, quando vuol far conoscere il suo stato d’animo, inizia le ostilità.



Anche d-os dotis: dote, inizialmente come qualità personale/identitaria, contiene questo piccolo tassello. Il pastore latino asserisce: nel processo formativo avviene questo: dal mancare si genera il crescere (a seguito della formazione del flusso gravidico) per poi legare, che è il periodo della formazione della creatura, quando si evidenziano capacità e attitudini per fare/realizzare. Da ricordare che, in greco, uno dei modi per indicare dote è: ρετή. Successivamente, passò ad indicare un’usanza della civiltà agro-pastorale, quella di dotare con beni, per lo più mobili, la figlia da maritare.
C’è, sicuramente, un’altra radice, in cui compare lo stampino ωθ: p-ωθ (fa generare l’ho il crescere), da cui fu dedotto: p-os-sum: posso, sono capace di, ho la capacità di, omologo di δύναμαι (posso, ho forza, ho valore), in quanto con sum fu aggiunto: determinando il mancare il rimanere. Il pastore latino, dicendo possum, asserisce che l’essere fecondo lo mette nelle condizioni di poter procreare (ho la capacità di).  



La radice πωθ, da parte dei latini, generò un fiume di parole: l’aggettivo potis/pote: che può, capace di, il comparativo potior: migliore, il superlativo potissimus: il migliore, poi: possibile, pot-ens, pot-entia, da cui potenziale, potestà, spodesto, quindi: possiedo, possesso, possedimento ecc.
C’è, infine, un calco: osus: genera l’ho il crescere il legare (tra madre e figlio), che servì a formare molti aggettivi, per cui da fructus fu dedotto: fruttuoso, che è ciò che si rinviene nel grembo: genera la crescita del flusso gravidico il legame con frutto, per cui si genera la formazione abbondante del frutto. Da voluptas fu dedotto voluttuoso: è colui che legando determina la crescita/nascita della voluttà. A proposito di voluttà si ricorda che, come volontà, discende da volo, che esprime la bramosia per qualcosa che si vuole per scelta deliberata. Nel mio dialetto, se un giovane dice: a vugli’ (la voglio!), intende affermare che quella ragazza è oggetto delle sue bramosie.
Tornando al suffisso osus, c’è da ribadire che questo calco è proprio della lingua italiana, per cui abbiamo: spinoso, lattiginoso, permaloso, scivoloso, oggi anche: petaloso ecc.



Per concludere su questo suffisso, voglio soffermarmi su geloso, che ha un suo antecedente in zelus latino, che, a sua volta, è da collegare a ζλος ζλους: ardore, amore (ardente), emulazione, rivalità, invidia. Per gli italici zelo indicò la cura appassionata, dispiegata per realizzare la grande opera del grembo. Tornando a zelo dei greci, bisogna dire che, senza crasi e assibilazioni, ζλος ζλους si sarebbe dovuto scrivere θjεαλοδ θjεαλεοδ, la cui traduzione potrebbe suonare così: la crescita genera il legame da cui nasce (manca) l’invidia o la passione d’amore.  Il geloso della cultura italica è colui che alimenta questo ardore, come fuoco d’amore, che determina la voglia di possesso e/o il timore che un rivale possa insidiare quell’oggetto di continuo desiderio. Mi piace sottolineare che a ζηλόω i greci attribuirono questi significati: desidero ardentemente, porto gelosia, porto invidia.



I greci, con questa perifrasi: στερος: posteriore, seguente, dietro (στερον acquisì funzione avverbiale), dopo, dissero: il grembo cresce a seguito del flusso gravidico, che, dopo, stando dietro, va a legare.
Nel mio dialetto p-ystur-iv’, contrario di primitivo (primaticcio), significa tardivo. I latini, che conobbero questo aggettivo/avverbio, coniarono, in modo molto stringato, l’avverbio con funzione anche prepositiva: p-ως-t: dopo, dietro, asserendo: il grembo che cresce fa generare il tendere, stando dietro, successivamente, quando si lega alla madre. Da post furono dedotti: posteriore, postremo, i posteri. Nella lingua italiana, fu dedotto post-iccio, ad indicare ciò che viene legato, applicato, aggiunto successivamente.
Nel mio dialetto c’è la parola sciωςcia (scioscia), che indica la sorella maggiore, degna di amorevole rispetto, da parte dei fratelli minori da lei cresciuti.
I greci, nella creatura in grembo, avevano rappresentato anche l’ospite, lo straniero/l’esule, per cui coniarono l’aggettivo: ξένος, parola che si può considerare la cifra della cultura e della civiltà greca, da cui i latini dedussero xenia, in quanto quello straniero, accolto ospitalmente, si trasforma in dono. I latini rappresentarono lo stesso concetto, in forma più esplicita, coniando: hospes hospitis (alla greca: χωσpes), metafora della creatura in grembo per cui dissero: genera il passare (del viandante) il legare, in quanto dal crescere si genera il mancare. Per il pastore è un dovere accogliere chi ha bisogno (bisogna legare/sostenere chi cresce mancando), al punto che ne fa un protetto da Giove!