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giovedì 16 maggio 2024

COMPIACERE BIDEN
di Luigi Mazzella


 
Premierato e separazione delle carriere
 
Dal momento in cui le due italiche “pulzelle”, la nera Giorgia Meloni e la rossa  Elly Schlein, entrambe imbracciando l’ascia di guerra per correre in soccorso, secondo il motto di Ennio Flaiano, del presunto vincitore (Joe Biden) contro l’odiato e sperato perdente Wladimir Putin, e ambedue indossando una stessa maglia (prevedibilmente con i colori di una rosso-nera) hanno deciso di fare squadra comune, pur restando  in competizione  per avere “del cor di Federico ambo le chiavi”, è diventato particolarmente difficile, per i commentatori politici, soddisfare le attese degli ultras dell’una e dell’altra “guerriera”, che sono rimasti, in modo acefalo, “nemici irriducibili”, come dimostrano gli scontri duri nelle piazze e lo scambio di epiteti feroci sui social.
In altre parole, per i giornalisti italiani, “Mala tempora currunt”, come mai sinora era avvenuto.
Negli anni della cosiddetta “guerra fredda” il gioco era stato per essi piuttosto facile. 
1) Usando la penna in direzione filo-statunitense si potevano confortare i propri, oltranzisti lettori con l’immagine rassicurante dell’ombrello protettivo a stelle e a strisce (nascondendo che esso divenisse sempre di più con il passare degli anni grondante del sangue di Coreani, Vietnamiti, Afghani, Libici e via dicendo). 
2) Usando, invece, la scrittura in direzione opposta si poteva dire che in base a una clausola del Trattato di pace, voluta dagli Americani, all’Italia non era consentito crescere economicamente e che quindi essa andava tenuta lontana dai Paesi possibili fornitori di fonti energetiche, come dimostravano chiaramente i tragici destini di Enrico Mattei (ricercatore autonomo e oppositore della politica delle “Sette Sorelle” petrolifere), di Aldo Moro e di Bettino Craxi (palesemente filo-arabi e attenti all’oro nero posseduto da paesi fuori dell’orbita statunitense come necessario allo sviluppo produttivo dell’industria italiana).



Un vero e sconvolgente “colpo di scena” si era avuto con il crollo dell’impero sovietico dovuto alle mine innescate dalla CIA, dal Vaticano (di Woytila ma soprattutto di Marcinkus) e secondo voci (incontrollabili) dallo stesso KGB, sensibile all’intento di ricchi oligarchi della Nomenklatura bolscevica di spendere i soldi accumulati in lunghi anni di attività svolta (a loro dire)  in favore del “comunismo ugualitario”.
I partiti occidentali, orfani di Stalin e dei suoi successori,   guidati dai loro riconosciuti leader, si erano recati in un’immaginaria processione a Washington per poter  chiedere di correre anch’essi in soccorso del vincitore nordamericano.
I giornalisti erano divenuti, ormai, consapevoli della mutata realtà e non s’aspettavano un ulteriore “coup de foudre”.
Ed invece, come Paolo di Tarso sulla via di Damasco, la voce insolitamente risoluta dell’incespicante Biden aveva convinto Giorgia Meloni, in procinto di diventare “Capo del governo” italiano, a non prendersela più con l’Unione Europea e con la NATO considerandole sue creature predilette, a smetterla con il pacifismo, lasciandolo all’Angelus di papa Bergoglio e alle “prediche inutili” di Guterres e a servirsi di un vero esperto di armi per il Dicastero della Difesa del suo nascente Consiglio dei Ministri.
Tutto chiaro, allora, per i giornalisti del “Bel Paese”?
No… solo fino a un certo punto.
Come nel romanzo di Luciano Zoccoli, un’acuminata “Freccia nel fianco” rende faticoso il cammino della Meloni: è un’arma micidiale a doppia punta, la prima, del tutto inutile anche per i suoi fautori, riguarda il “Premierato”, la seconda, ritenuta necessaria da tantissimi italiani, è “la separazione delle carriere in Magistratura”. Sotto questo secondo aspetto, la Presidente del Consiglio Italiana, nell’assecondare il suo Ministro, Carlo Nordio, nel suo pur nobilissimo intento di separare la carriera dei pubblici Ministeri da quella dei giudici, incontrerebbe molto verosimilmente il diniego di Biden.
Perché? Perché se la magistratura italiana, costituzionalmente proclamata indipendente e autonoma, con le sue sentenze e prima ancora con gli avvisi di garanzia a gogò dei pubblici ministeri ha  potuto, senza chiedere ai politici di promuovere riforme radicali della Costituzione, far passare l’Italia, come desiderato molto verosimilmente a Washington, da una prima repubblica (che si riteneva finita nelle mani poco controllabili di Craxi) a una seconda repubblica  più prona e malleabile e da quest’ultima a uno Stato governato addirittura dal principio minoritario in luogo di quello maggioritario, si può veramente credere che Giorgia Meloni, legata (a filo doppio) alla politica di Washington, voglia seguire Carlo Nordio e dare un dispiacere al Presidente nord-americano (anche se in più che probabile uscita) circa l’utilità di rendere sempre praticabile in tutto l’Occidente l’uso politico della giustizia?
Agli individui di sufficiente acume politico l’ardua sentenza.