Premierato
e separazione delle carriere Dal
momento in cui le due italiche “pulzelle”, la nera Giorgia Meloni e la rossa Elly Schlein, entrambe imbracciando l’ascia di
guerra per correre in soccorso, secondo il motto di Ennio Flaiano, del presunto
vincitore (Joe Biden) contro l’odiato e sperato perdente Wladimir Putin, e
ambedue indossando una stessa maglia (prevedibilmente con i colori di una
rosso-nera) hanno deciso di fare squadra comune, pur restando in competizioneper avere “del cor di Federico ambo le
chiavi”, è diventato particolarmente difficile, per i commentatori politici, soddisfare
le attese degli ultras dell’una e dell’altra “guerriera”, che sono
rimasti, in modo acefalo, “nemici irriducibili”, come dimostrano gli scontri duri
nelle piazze e lo scambio di epiteti feroci sui social. In
altre parole, per i giornalisti italiani, “Mala tempora currunt”, come
mai sinora era avvenuto. Negli
anni della cosiddetta “guerra fredda” il gioco era stato per essi piuttosto
facile. 1)
Usando la penna in direzione filo-statunitense si potevano confortare i propri,
oltranzisti lettori con l’immagine rassicurante dell’ombrello protettivo a
stelle e a strisce (nascondendo che esso divenisse sempre di più con il passare
degli anni grondante del sangue di Coreani, Vietnamiti, Afghani, Libici e via
dicendo). 2)
Usando, invece, la scrittura in direzione opposta si poteva dire che in base a
una clausola del Trattato di pace, voluta dagli Americani, all’Italia non era
consentito crescere economicamente e che quindi essa andava tenuta lontana dai
Paesi possibili fornitori di fonti energetiche, come dimostravano chiaramente i
tragici destini di Enrico Mattei (ricercatore autonomo e oppositore della
politica delle “Sette Sorelle” petrolifere), di Aldo Moro e di Bettino Craxi
(palesemente filo-arabi e attenti all’oro nero posseduto da paesi fuori
dell’orbita statunitense come necessario allo sviluppo produttivo
dell’industria italiana).
Un
vero e sconvolgente “colpo di scena” si era avuto con il crollo dell’impero
sovietico dovuto alle mine innescate dalla CIA, dal Vaticano (di Woytila ma soprattutto
di Marcinkus) e secondo voci (incontrollabili) dallo stesso KGB, sensibile
all’intento di ricchi oligarchi della Nomenklatura bolscevica di spendere i
soldi accumulati in lunghi anni di attività svolta (a loro dire) in favore del “comunismo ugualitario”. I
partiti occidentali, orfani di Stalin e dei suoi successori,guidati dai loro riconosciuti leader,
si erano recati in un’immaginaria processione a Washington per poter chiedere di correre anch’essi in soccorso del
vincitore nordamericano. I
giornalisti erano divenuti, ormai, consapevoli della mutata realtà e non
s’aspettavano un ulteriore “coup de foudre”. Ed
invece, come Paolo di Tarso sulla via di Damasco, la voce insolitamente
risoluta dell’incespicante Biden aveva convinto Giorgia Meloni, in procinto di
diventare “Capo del governo” italiano, a non prendersela più con l’Unione
Europea e con la NATO considerandole sue creature predilette, a smetterla con il
pacifismo, lasciandolo all’Angelus di papa Bergoglio e alle “prediche inutili”
di Guterres e a servirsi di un vero esperto di armi per il Dicastero della
Difesa del suo nascente Consiglio dei Ministri. Tutto
chiaro, allora, per i giornalisti del “Bel Paese”? No…
solo fino a un certo punto. Come
nel romanzo di Luciano Zoccoli, un’acuminata “Freccia nel fianco” rende
faticoso il cammino della Meloni: è un’arma micidiale a doppia punta, la prima,
del tutto inutile anche per i suoi fautori, riguarda il “Premierato”, la
seconda, ritenuta necessaria da tantissimi italiani, è “la separazione delle
carriere in Magistratura”. Sotto questo secondo aspetto, la Presidente del
Consiglio Italiana, nell’assecondare il suo Ministro, Carlo Nordio, nel suo pur
nobilissimo intento di separare la carriera dei pubblici Ministeri da quella
dei giudici, incontrerebbe molto verosimilmente il diniego di Biden. Perché?
Perché se la magistratura italiana, costituzionalmente proclamata indipendente
e autonoma, con le sue sentenze e prima ancora con gli avvisi di garanzia a
gogò dei pubblici ministeri ha potuto,
senza chiedere ai politici di promuovere riforme radicali della Costituzione, far
passare l’Italia, come desiderato molto verosimilmente a Washington, da una
prima repubblica (che si riteneva finita nelle mani poco controllabili di Craxi)
a una seconda repubblicapiù prona e malleabile
e da quest’ultima a uno Stato governato addirittura dal principio minoritario
in luogo di quello maggioritario, si può veramente credere che Giorgia Meloni,
legata (a filo doppio) alla politica di Washington, voglia seguire Carlo Nordio
e dare un dispiacere al Presidente nord-americano (anche se in più che
probabile uscita) circa l’utilità di rendere sempre praticabile in tutto
l’Occidente l’uso politico della giustizia? Agli
individui di sufficiente acume politico l’ardua sentenza.