CONVENZIONI DI GINEVRA di Alessandro
Pascolini- Università di Padova
A 75 anni dalla
loro approvazione che cosa rimane? Padova. 75 anni fa, il 21 aprile 1949, iniziarono a
Ginevra, sotto la presidenza del consigliere federale svizzero Max Petitpierre,
i lavori per la redazione finale delle quattro Convenzioni di Ginevra
concernenti la protezione delle vittime di guerra e regole sulle modalità di
conduzione dei conflitti armati; saranno approvate il successivo 12 agosto per
entrare in vigore il 21 ottobre 1950. La prima e seconda Convenzione impegnano
i belligeranti a proteggere in modo particolare i malati, i feriti, i
naufraghi, il personale medico, le ambulanze e gli ospedali. La parte
belligerante, nelle cui mani si trovano le persone protette, deve garantire
loro cure e assistenza. La terza Convenzione contiene regole particolareggiate
sul trattamento dei prigionieri di guerra e la quarta protegge da atti di
violenza e dall’arbitrio i civili che si trovano in mano nemica o in territorio
occupato. L'articolo 3, comune alle quattro Convenzioni, estende le norme di
protezione dei civili e dei militari "fuori combattimento" anche alle
guerre di carattere non internazionale, destinate a divenire le più frequenti:
guerre civili tradizionali, conflitti armati interni che si estendono ad altri
stati o conflitti interni in cui stati terzi o una forza multinazionale
intervengono a fianco del governo. L'articolo 3, pur
essendo di fondamentale importanza, fornisce solo un quadro rudimentale di
standard minimi e non contiene molti dettagli. Il dettato delle
Convenzioni è completato dai Protocolli aggiuntivi del 1977, entrati in vigore
nel dicembre 1988; il primo Protocollo a precisa e dettaglia le disposizioni
sulla conduzione della guerra, in particolare il divieto di attaccare persone ed
entità civili e la limitazione dei mezzi e dei metodi impiegabili; il secondo
Protocollo tratta sinteticamente dei conflitti armati non internazionali. Alle
4 Convenzioni hanno aderito formalmente tutti i 196 paesi del mondo, per cui sono
di fatto e di diritto universali; invece alcuni stati non hanno aderito ai Protocolli
aggiuntivi, che hanno attualmente 174 e 169 parti, rispettivamente; lo statuto
di Roma della Corte penale internazionale (1998), che si occupa anche dei
crimini di guerra, ha solo 124 adesioni.
Il diritto
umanitario La guerra di fatto sospende la maggior parte
dei diritti umani riconosciuti internazionalmente, incluso lo stesso diritto
alla vita; nel processo dalla pace alla preparazione della guerra e al
conflitto armato i diritti via via diminuiscono e le norme umanitarie precisano
appunto quali diritti vanno preservati per i combattenti regolari, la
popolazione civile, i paesi neutrali e per i combattenti in formazioni
irregolari. Le Convenzioni di Ginevra sono il punto di arrivo dello sviluppo del pensiero umanitario giuridico e
dei principi di politica internazionale messi a punto nell'Ottocento e culminati
in precise convenzioni. Vanno ricordati in particolare il codice Lieber (1863),
la dichiarazione di San Pietroburgo (1866), i lavori dell'Istituto legale
internazionale (1880) e le conferenze internazionali svoltesi a Ginevra
e all’Aia negli anni 1864, 1899, 1906, 1907 e 1929, che sfociarono in diversi
accordi concernenti la protezione delle vittime di guerra e la regolamentazione
delle modalità di conduzione delle operazioni armate. Particolarmente importante (e di tragica
presente attualità) la clausola proposta dal diplomatico russo Friedrich Fromhold von Martens (1899): in attesa che venga enunciato un Codice più
completo delle leggi relative alla guerra, le Alte Parti Contraenti reputano
opportuno constatare che, nei casi non compresi nelle disposizioni adottate in
questa occasione, le popolazioni civili e i belligeranti restano sotto la
salvaguardia e l’imperio dei principi del diritto delle genti, quali risultano
dagli usi stabiliti fra le nazioni civili, dalle leggi dell’umanità e dalle
esigenze della pubblica coscienza. Cruciale anche il fondamentale principio generale
(articolo 22 della IV Convenzione del 1907) che i belligeranti non hanno un
diritto illimitato nell’impiego dei mezzi adottati per ferire e colpire il
nemico.
La Seconda
guerra mondiale venne combattuta a una scala senza precedenti e le leggi
raggiunte dalla comunità internazionale per limitare la violenza dei conflitti
furono regolarmente e massicciamente violate da tutti i belligeranti, fino al
pieno e deliberato coinvolgimento delle popolazioni civili, causato in parte
dalla spersonalizzazione della guerra, dovuta alla distanza e ai mezzi
meccanici interposti fra gli attori e le vittime. Si rendeva quindi necessario
rilanciare il diritto umanitario e ribadire e aggiornare i limiti all'azione
militare, in particolare contro la popolazione e i beni civili. Le Convenzioni di Ginevra (completate dai Protocolli)
soddisfano appunto tale esigenza, offrendo protezione
alle vittime di guerra e limitando i mezzi e i metodi di guerra consentiti; in
particolare, proibiscono esplicitamente violenze alle persone, tortura,
mutilazioni o trattamenti crudeli, la presa di ostaggi, deportazione, oltraggi
alla dignità personale, esecuzione di sentenze al di fuori della regolare
giurisdizione civile, forme di terrore. Rimanevano tuttavia due
importanti ostacoli all'applicazione di questi trattati agli correnti conflitti
armati. In primo luogo, i trattati si applicano solo agli stati che li hanno
ratificati.
Ciò comporta che differenti trattati di diritto internazionale
umanitario si applicano nei diversi conflitti armati, a seconda dei trattati
che gli stati coinvolti hanno ratificato. In secondo luogo, questa ricchezza legale
non regolamenta in modo sufficientemente dettagliato gran parte degli attuali
conflitti armati, che per la maggior parte non sono internazionali e sono
soggetti quindi a un numero molto inferiore di norme rispetto ai conflitti fra nazioni. Nel dicembre 1995, la
26a Conferenza internazionale della Croce rossa e della Mezzaluna rossa ha incaricato
il Comitato internazionale della Croce rossa (ICRC) di preparare un rapporto
sulle norme consuetudinarie di diritto internazionale umanitario applicabili sia
nei conflitti armati internazionali che quelli non internazionali. L'importanza
del diritto
consuetudinario sta nella sua validità per tutta la comunità mondiale, a
prescindere dalla ratifica formale da parte dei singoli stati, essendo
riconosciuto come "una prassi generale accettata come legge". La commissione internazionale di
giuristi incaricata dall'ICRC ha prodotto nel 2005 il corpo delle norme umanitarie
consuetudinarie da rispettare da ogni stato in ogni conflitto armato.
Le norme enfatizzano quattro principi fondamentali, che devono
venir rispettati universalmente: la necessità militare, la distinzione fra
civili e militari, la proporzionalità fra risultati militari e danni "collaterali"
e l’esigenza di umanità nella conduzione dei conflitti, a conferma del
sostanziale carattere limitato dell'uso lecito della forza militare, le necessità della guerra dovendo cedere di
fronte alle esigenze di umanità. A fronte della
maggiore partecipazione dei civili alle ostilità, è prevista la regola basilare
che essi beneficiano sempre della protezione contro attacchi "a meno che
non prendano parte diretta alle ostilità, e per la sola durata di tale
partecipazione". L'applicazione di
tale dettato è particolarmente delicata nella corrente situazione
caratterizzata da tre tendenze: il netto spostamento delle ostilità nei centri abitati,
compresi i casi di guerra urbana, con una commistione senza precedenti tra
civili e attori armati; l'aumento dell'esternalizzazione di funzioni militari
tradizionali a personale civile, come appaltatori privati o dipendenti governativi;
infine, le persone che partecipano direttamente alle ostilità evitano di
distinguersi adeguatamente dalla popolazione civile. Nel 2009, il Comitato
Internazionale della Croce Rossa ha emanato una guida ai governi su come
proteggere i civili nelle guerre contro attori non statali. Il documento dell'ICRC
stabilisce il principio secondo cui i civili che non prendono parte diretta
alle ostilità devono essere distinti non solo dalle forze armate, ma anche da
coloro che partecipano alle ostilità "solo su base individuale, sporadica
o non organizzata". Molti paesi hanno deciso di respingere la guida
dell'ICRC, fra cui Israele, Regno Unito e Stati Uniti.
La situazione attuale: verso la fine di un ordine basato
sulle regole? Il quadro del diritto umanitario raggiunto nel 1997 era
estremamente confortante, anche se con vari problemi ancora aperti, ma la
storia ci ha posto immediatamente di fronte a imbarbarimenti e ritorni a
situazioni che sembravano finalmente superate, con la conseguenza di guerre
ferocissime, sia civili che internazionali, coinvolgendo
in particolare i paesi del Sahel, del Corno d'Africa, del Medio-oriente
e, in Europa, del Caucaso e l'Ucraina. Il progresso scientifico in disparati
campi ha posto a disposizione degli eserciti attuali sistemi avanzatissimi di riconoscimento,
comando e controllo e armi "smart" in grado di colpire gli obiettivi
con altissima precisione; tali strumenti permettono di discriminare
efficacemente obiettivi civili da quelli militari, per cui si poteva sperare un
più attento rispetto della norma di distinzione e una maggiore
"umanità" nella condotta dei conflitti armati. Invece assistiamo ad
attacchi deliberati (e precisi) proprio contro le popolazioni civili e i loro
beni e mezzi di sussistenza e di vita sociale, con la distruzione di intere
città e causando enormi deportazioni e sfollamenti di milioni di persone.
Istituzioni internazionali e attivisti per i diritti
umani hanno rilevato in molte occasioni crimini sistematici: devastazioni di
città e villaggi, non giustificate da necessità militari; esecuzioni sommarie
extragiudiziali; torture, maltrattamenti e violazione della dignità umana;
stupri; detenzioni illegali; saccheggi e distruzione di proprietà civili e
pubbliche.Nelle varie guerre sono emerse
nuove forme di violazioni del diritto umanitario. Così nella seconda guerra cecena
(1999-2000) sono stati individuate esecuzioni di prigionieri (da entrambe le
parti), prese di ostaggi a scopo di riscatto, sequestro di cadaveri e prelievi
e commercio di organi. Nella guerra georgiana (2008), la popolazione civile è
stata sottoposta anche ad attacchi con bombe a grappolo. Le città e i siti
siriani hanno subito distruzioni rovinose nelle perduranti guerre che stanno
devastando il paese, e si sono documentati anche attacchi a civili con armi
chimiche.
Aleppo è stata praticamente distrutta da bombardamenti russi; tutte
le aree della città e i suoi principali monumenti, souk, khan e moschee hanno
subito gravi danni. La popolazione è stata pesantemente colpita, privata di
acqua, energia elettrica, servizi sanitari ed educativi, con due milioni di profughi
e oltre venticinquemila vittime.Investigatori delle Nazioni Unite hanno scoperto che la coalizione di
stati guidati dall'Arabia Saudita nella campagna contro gli Houthi yemeniti
(2015) ha colpito aree residenziali, mercati, funerali, matrimoni, imbarcazioni
civili e strutture mediche, compresi gli impianti di trattamento delle acque, causando
un'epidemia di colera che ha ucciso migliaia di persone, per la maggior parte
bambini.In Ucraina dobbiamo
assistere alla novità dell'occupazione militare della centrale nucleare di
Zaporizhzhia e la distruzione sistematica delle reti elettriche e impianti
energetici ucraini (strutture specificatamente protette dai trattarti e dalle
norme consuetudinarie), la deportazione di bambini e l'uccisione di amministratori
pubblici nelle zone occupate.
Il 7 ottobre 2023 militanti di Hamas (e altre
forze jihadiste) hanno attaccato Israele compiendo una strage (circa 1200
vittime e molti feriti), con violenze sessuali su donne e ragazze e il
sequestro di circa 240 ostaggi. Da allora, Israele sta reagendo con la
sistematica distruzione di Gaza, dei suoi ospedali, edifici di culto, scuole,
con moltissime vittime civili (per lo più donne e minori), e ha imposto un
blocco prolungato, negando ai palestinesi cibo adeguato, acqua potabile,
carburante, accesso a Internet, riparo e cure mediche, fino a colpire deliberatamente
anche soccorritori umanitari internazionali. Quasi due milioni di abitanti sono
stati forzati a sfollare. La violenza della rappresaglia israeliana ha portato
a una denuncia di genocidio davanti alla Corte internazionale di giustizia. L'organo indipendente di stampa palestinese-israeliano
+972 ha pubblicato in rete lo scorso 3 aprile un rapporto, realizzato con
l'agenzia stampa israeliana Local Call, sui metodi di guerra e le regole
d'ingaggio dell'esercito israeliano (IDF) nel corrente conflitto, che mette in
evidenza particolari violazioni del principio di distinzione e di
proporzionalità rispetto ai dettami del diritto umanitario. È stato trovato che
l'IDF utilizza un programma basato sull'intelligenza artificiale, noto come
"Lavender", per individuare fra la popolazione maschile di Gaza i
potenziali militanti di Hamas, e le loro case, per possibili attacchi aerei.
Inoltre, l'esercito israeliano ha sistematicamente attaccato le persone prese
di mira mentre si trovavano nelle loro case – di solito di notte, mentre erano
presenti le loro famiglie – piuttosto che nel corso di un'attività militare,
essendo le case bersagli più facili. Risulta inoltre che l'IDF segua una
particolare regola di proporzionalità: durante le prime settimane di guerra,
per colpire un singolo militante "semplice" di Hamas era lecito
uccidere anche fino a 15 o 20 civili, con quote di "danno
collaterale" crescenti a seconda del grado dei comandanti militari nemici
attaccati.
Le regole impiegate
dall'IDF a Gaza sono il punto estremo di arrivo del rifiuto del diritto
umanitario internazionale nei recenti conflitti a partire dal ricorso
all'artificio retorico della "guerra al terrorismo", a caratterizzare
operazioni militari "libere" dai vincoli internazionali. La
"guerra al terrorismo" utilizza la guerra come metafora per
descrivere una serie di azioni che non rientrano nella definizione tradizionale
di guerra. Il termine è stato coniato dal presidente americano George W. Bush
dopo gli attentati dell'11 settembre 2000, indicando come nemico "una rete
radicale di terroristi e ogni governo che li sostiene", e lanciando un conflitto
globale che abbraccia diverse guerre in vari continenti, una campagna che ha
normalizzato l'idea che quasi tutto sia lecito nel perseguire i
"terroristi". Al centro di questa forzatura del diritto umanitario
c'è il concetto delle cosiddette "entità a doppio uso". Secondo il
diritto internazionale, un dato sito è o militare o civile; non c'è una via di
mezzo. Le strutture normalmente dedicate a scopi civili, come i luoghi di
culto, le case o le scuole, si presumono civili, e possono perdere il loro
status civile solo se e quando vengono utilizzati per uno scopo militare. Invece,
secondo il concetto di doppio uso, ogni struttura utilizzata per scopi civili
(come una scuola o una raffineria di petrolio o persino un panificio) con una
plausibile potenzialità di contribuire in qualche modo all'azione bellica
diventa automaticamente un obiettivo militare legittimo e il danno a un tale
obiettivo, quindi, non rientra nel calcolo della proporzionalità. Si capisce
quindi come il "Rapporto annuale del Ministero della difesa americano per
il 2022 sulle vittime civili in connessione con le operazioni militari degli
Stati Uniti", reso noto per la parte non classificata il 25 aprile scorso,
possa concludere che in tale anno non ci sia stata alcuna vittima civile.
Negli ultimi 20 anni, gran parte dei governi mondiali
hanno adottato metodi simili di autodifesa contro "il terrorismo" e
le "forze ribelli": dagli alleati degli USA nelle guerre ad Al-Quaeda
e al Daesh, al Ruanda e la Costa d'Avorio contro gruppi non statali. Anche
l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia nel 2022 è stata giustificata come
"operazione militare speciale", con riferimenti spuri all'autodifesa
e a eccezioni al divieto dell'uso della forza. La Cina ha invocato la
"lotta al terrorismo" per giustificare la sua vasta repressione
contro gli uiguri, i kazaki e altre minoranze etniche prevalentemente musulmane
nello Xinjiang. Questi anni di continua erosione dello stato di diritto
internazionale e del sistema globale del diritto umanitario non solo stanno
rendendo più atroci le guerre e aggravando le sofferenze delle vittime ma sono
estremamente pericolosi per la stessa salvaguardia del principio che anche la
guerra, in ogni sua forma, è sottoposta alla legge internazionale e
all'imperativo di "umanità". Per la sopravvivenza del diritto di
guerra alle odierne sfide esistenziali, ogni paese deve trattarlo non come un
vincolo opzionale aggiustabile a seconda delle necessità, ma come un pilastro
inamovibile dell'ordine giuridico globale. La forza del diritto umanitario
risiede innanzitutto nella sua continua proclamazione e nella sua persistente
difesa: ogni sua violazione, da qualunque parte venga, deve venir denunziata
apertamente, stigmatizzata dall'opinione pubblica mondiale e sottoposta al
giudizio delle corti internazionali competenti, perché sia riconosciuta come
reato, condannata e i perpetratori perseguiti penalmente. Poiché la guerra è un
mostro che, purtroppo, può scatenarsi su ogni paese, tutte le popolazioni sono
interessate al mantenimento, se non al rafforzamento, della rete di protezione costituita
dalle leggi umanitarie e dovrebbero sentire come immediato interesse imporre ai
propri governi il rigido rispetto di tale legislazione in ogni conflitto.