E PER
MANGIARSI L’ITALIA LA FANNO A PEZZI
di Pino Aprile
Se l’Italia è un boccone troppo grosso per poterlo
ingoiare come si è fatto con la Grecia, l’idea che l’argomento basti a
dissuadere chi vuole spolparsela è sbagliata. Una soluzione possibile c’è: la
si fa a pezzetti e la si mangia un pezzetto alla volta. Ricordate certi timori
dopo la spoliazione e il saccheggio della Grecia, da parte della Germania,
tramite l’Unione europea e la Banca centrale europea (allora guidata da Mario
Draghi), al servizio dei più forti?
“E adesso tocca
all’Italia”.
Si ebbero serie obiezioni
del tipo: l’Italia non è la Grecia, che non ha una vera economia, turismo a
parte. L’Italia è un’economia complessa, nonostante tutto, una delle prime al
mondo: industria, agro-alimentare, elettronica, cantieristica, moda, turismo,
costruzioni, cinema e intrattenimento…
Il che rende il pasto più
difficile, ma anche più interessante. Perché divenga possibile, però, il Paese
va fatto a pezzetti. E poteri disposti a farlo, per creare colossali
opportunità di investimento a loro vantaggio e a nostro danno ci sono, come
sempre e come ovunque. Ma da noi sono facilitati dalla debolezza del Paese, e
dal fatto che già si spezzetta da sé, e chissà se proprio conto terzi.
Le scelte dell’attuale
governo (i precedenti andavano nella stessa direzione, ma questi hanno più
fretta, forse per guadagnare punti agli occhi di quei potentati) hanno dato
un’accelerata che potrebbe essere definitiva e scoperto il gioco, di cui si può
tentare una lettura.
Detta in sintesi brutale,
con l’Autonomia differenziata, il Nord pensa di porsi in salvo, portandosi via
la cassa comune e il Sud viene dato da sbranare ai pescecani: già si son presi
petrolio ed energia da fonti rinnovabili, basterebbe dichiarare di interesse
nazionale anche le spiagge, l’agroalimentare, poniamo, le riserve idriche e
agli enti locali del Sud resterebbe solo pagare gli stipendi ai dipendenti
pubblici, perché il resto verrebbe deciso e contrattato sulla testa dei
meridionali, altrove.
Apparentemente a Roma,
avendo il governo, per bocca del ministro del Sud, Raffaele Fitto, trasformato
il Mezzogiorno in una Zona economica speciale, Zes, unica. Una follia, perché
le Zes sono territori ad alta capacità di sviluppo (aree portuali, industriali…),
di estensione molto ridotta, perché sottoposte, per dirne una, a controlli
anticrimine di grande efficacia, in modo che azioni illegali per speculare
sulla ricchezza che si produce siano impossibili o di esito troppo incerto.
Le Zes hanno facilitazioni
di vario tipo, incluso fiscali, dirette da un commissario con notevoli poteri e
con procedure burocratiche snellite, per non dissuadere o ritardare gli
investimenti.
Che senso ha estendere
qualcosa del genere dal porto di Gioia Tauro, per fare un esempio, al 41 per
cento dell’intero territorio nazionale (ché tanto è vasto il Sud)?
Non per essere maliziosi
(per quanto si possa esserlo, si rischia di star comunque sotto al vero), ma se
tutto il Mezzogiorno è Zes, e le Zes fanno capo a un commissario, chi governa
la Zes Sud governa, con poteri speciali, il 41 per cento del territorio
italiano. Significa che se vuoi aprire un supermercato a Metaponto, devi
chiedere il permesso al commissario Fitto (o chi per lui). Con il risultato che
confluendo ogni cosa a Roma da tutto il Sud, i tempi non si accorciano, si
allungano.
Ma il Mezzogiorno Zes
unica vuol dire anche che tutte le risorse a esso destinate passeranno, in un
modo o nell’altro, dalle mani del commissario. Esempio: quelle del Pnrr, il
piano per la ripresa e la resilienza per spendere gli oltre duecento miliardi
europei del Recovery Fund? Chi è incaricato, nel governo, di occuparsi di soldi
e progetti del Pnrr? Ancora Fitto.
Perché tutto sia chiaro,
va ricordato che il governo rivendica a sé la gestione dei fondi europei (non
solo quelli del Pnrr, tutti). E chi è il ministro incaricato dei rapporti con
Bruxelles? Fitto, sempre lui. Che ha espunto dal Pnrr i progetti che riguardano
il Sud e, d’intesa con “Gioggia”, sta facendo strame (a favore del Nord) dei
Fondi Coesione e Sviluppo, che per legge, all’80 per cento, devono essere spesi
nel Mezzogiorno.
Mentre si costruisce la
figura del dittatore del Sud (non crederete sia davvero lui a comandare! Per i
poteri che disegnano scenari di questo genere, i potentuzzi di casa nostra sono
poco più di impiegati di concetto), il governo asseconda il percorso della
leghista Autonomia differenziata, la Secessione dei ricchi, con cui le Regioni
del Nord mirano a divenire sorta di staterelli indipendenti, ma portandosi via
la cassaforte. Il disegno di legge è già stato approvato al Senato, con i voti
delle truppe cammellate coloniali dei parlamentari meridionali, e sta per
passare alla Camera dei deputati, salvo rinvii a dopo le elezioni europee.
Rischiando l’Autonomia differenziata
di non essere applicata, se i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, non
saranno finanziati (non ci sono soldi), il solito Fitto ha offerto i Fondi
Coesione e Sviluppo anche per questo, sottraendoli agli impieghi già previsti o
comunque obbligati nel Sud.
Da tutto questo appare
evidente che lo stato di colonia da saccheggiare sino alle ultime risorse è la
condizione ufficiale del Mezzogiorno: nessuna autonomia (altro che
differenziata) e dipendenza totale da Sua Eccellenza il Commissario, il quale
gestirà anche i fondi destinati al Sud. E come?
Secondo la regola
consolidata, c’è ragione di temere: dandoli a chi, in un Sud così impoverito,
vorrà acquistare, a prezzi di saldo, tutto quello che vale qualcosa. Si
compreranno il Sud con i soldi rubati al Sud. Magari agro-alimentare agli
olandesi, aeroporti ai tedeschi, turismo, spiagge a…
Gli interessi di grandi
gruppi internazionali e ascari locali coincidono. È il sistema coloniale: non
riguarda solo il nostro Paese e il Sud, ovunque i poteri colonizzatori si
alleano con parte della classe dirigente indigena (la più corrotta) che, per
vantaggi personali, consegna ai saccheggiatori la propria gente.
Chi ha letto “Adulti nella
stanza”, dell’allora ministro ellenico all’economia Yanis Varoufakis, sa come
il governo di Atene fu infiltrato da esponenti di primo piano che sabotavano
dall’interno i suoi sforzi, per rendere il proprio Paese aggredibile.
Una lunga serie di provvedimenti (complici parlamentari terroni e presidenti
delle Regioni del Sud, proni al partito) conferma l’orientamento
anti-meridionale di questo governo: ha iniziato togliendo il pane agli ultimi,
con l’abolizione del reddito di cittadinanza, sino a svuotare il fondo di
perequazione, mentre condonavano le tasse agli evasori e le riducevano ai più
ricchi.
In alcuni Paesi, la
criminalità si oppone e ostacola speculazioni “forestiere”, cercando di gestire
l’economia locale in regime di monopolio. Vedi in Corsica, per dire, dove la
criminalità organizzata è nazionalista, tanto che è difficile capire dove
finisca la mafiosità e inizi l’amor di patria. Nel Paese Basco, i nazionalisti
si finanziavano con il pizzo.
Non così in Italia, dove
le mafie gestiscono lo smaltimento, nei loro stessi paesi, di rifiuti tossici
del Nord. Nel grande affare “spolpiamo il Sud”, le troviamo in società di fatto
con i saccheggiatori.
Quanto alle Regioni del
Nord, con l’Autonomia differenziata contano di portarsi via il bottino e ognuno
per sé. Ma per quanto solide, sarebbero comunque un boccone possibile e debole,
data la dimensione dei poteri di cui, per complicità o imbecillità, fanno il
gioco.
Viene fatta l’ipotesi di
una sorta di confederazione fra le Regioni settentrionali dopo l’Autonomia
differenziata. Possibile, ma si dimentica che non sono omogenee: quattro su
sette sono “assistite”, se vogliamo chiamare così quelle che ricevono più di
quanto versino: Liguria, Val d’Aosta, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia
Giulia. I temi del divario irrisolto fra Nord e Sud, si sposterebbero tutti al
Nord. Che, comunque, perderebbe il mercato esclusivo delle sue produzioni, il
Mezzogiorno. Secondo i più avvertiti osservatori, a rimetterci di più sarebbe
il Nord.
L’Italia è un boccone
troppo grosso se unita. Ma se cominci a farla a pezzetti…
E questo lo abbiamo già
detto. L’esistenza dell’Italia come Paese unico, tutto sommato, rischia di
ridursi a una breve e burrascosa parentesi nella plurimillenaria storia della
Penisola, perché la nostra è una storia di pezzetti, non di unità.
Con lo spaventoso bagno di
sangue che ancora viene negato, fu messa per la prima volta insieme (non era
mai stata una, dall’arrivo dell’uomo di Neanderthal al 1861) dalle trame
britanniche, con uso di Garibaldi, e dall’esercito sabaudo; la dittatura
fascista esasperò il mito risorgimentale dell’Italia che doveva “ritrovare” se
stessa e gli allori dei Cesari.
Con i quali, però,
l’Italia “stava insieme” non come tale, ma quale parte dell’impero (quando fu
riorganizzato, “Italia” si chiamò solo la parte settentrionale della pianura
padana e da lì in giù era “Apulia”). E per questo, paradossalmente, dovette
smettere di essere Italia: Roma non aveva un’idea identitaria, di popolo,
nazione. La patria si identificava con l’essere cittadino romano, con la città,
e non era necessario esservi nato: chiunque, persino se schiavo liberato poteva
divenirlo.
L’idea di Italia era dei
sanniti, che misero insieme i loro popoli di comune origine, fecero la
federazione che andava dalle Marche alla Calabria e aveva una sua moneta,
“italiana”. Furono i romani a distruggerla (Roma era una società costruita
sugli interessi di una oligarchia di latifondisti e commercianti, e l’economia
si reggeva sulla schiavitù. Mentre i sanniti erano allevatori e piccoli
coltivatori in comunità locali alleate con altre “parenti e indipendenti”. La
schiavitù, da loro, era poco più che nominale: tanto che gli schiavi erano
chiamati “famuli”, termine da cui deriva la parola “famiglia”, il che fa capire
come erano trattati.
I romani combattevano per
il potere e la sottomissione degli altri al rango di tributari; i sanniti per
la libertà. Persero e furono sterminati (un vero genocidio) da Silla. E il
progetto dell’Italia finì con loro. Non aveva i confini che conosciamo, viste a
Sud le colonie greche e in Sicilia anche la presenza dei fenici, ma a Messina,
da dove stavano allargandosi nell’isola e in Calabria, i sanniti mamertini
furono sul punto di consolidare un loro stato potentissimo.
Lo stato chiamato Italia
deciso a tavolino dagli inglesi (dopo il decisivo intervento francese per la
conquista di gran parte del Nord-Est, ceduto ai Savoia), e realizzato con
Garibaldi e il Regno di Sardegna (più l’intelligenza di Cavour e la ferocia
delle truppe sabaude) non era mai esistito. Le identità locali furono
avversate, per imporne una “italiana” che se pur esisteva a livello culturale,
non aveva grandi radici popolari (lo stesso Cavour e Vittorio Emanuele II
dovettero studiare l’italiano, che non sapevano parlare e non impararono mai
davvero a scrivere senza strafalcioni).
Lega, Forza Italia, Fratelli d'Italia...
svendono l'Italia
svendono l'Italia