La
separazione delle carriere in magistratura. Senza tema
di smentite posso affermare di essere stato il primo ad invocarela separazione delle carriere di pubblico
ministero e digiudice in un articolo
pubblicato oltre un decennio prima di “Tangentopoli” su “Mondoperaio”, temendo
ciò che si poteva verificare. Oggi sento di poter dire che non vorrei stare nei
panni di Carlo Nordio a causa della condizione in cui il medesimo, come
Ministro della Giustizia, è costretto ad affrontare, come riformatore, lo
stesso tema. Se è vero, infatti, che
l’uso politico della giustizia, iniziato negli anni Novanta per promuovere il
passaggio dalla prima alla cosiddetta “seconda Repubblica” (sotto la probabile
spinta di “manine misteriose” non estranee all’influenza dei servizi segreti)
ha compiuto tali e tanti misfatti da rendere il tema più maturo che nei tempi
delle mie pessimistiche previsioni, è altrettanto incontestabile che due
condizioni rendono oggi il percorso del Ministro della Giustizia irto di
ostacoli. Esaminiamole: 1) Il clima di progressive illiberalità instaurato
dai neofascisti, ritornati al governo del Paese (per limitarci a due esempi:
giudizio contro Canfora avviato dalla Presidente del Consiglio, censura al
monologo di Scurati per il 25 aprile) fa gridare: No al bavaglio alla
magistratura! in un modo oltremodo aggressivo che sarebbe stato
impensabile appena qualche anno fa in pieno clima di evidente e continuato uso
politico della giustizia; 2) L’esempio dei due Paesi anglosassoni che hanno
piegato l’indipendenza e l’autonomia dei magistrati a instrumentum regni per
eliminare dalla scena politica gli avversari resisi responsabili di
intrattenimenti erotici in decenni e decenni precedenti fa intendere che
ostilità al progetto di riforma del governo Meloni proverrebbero anche dai due Stati di Oltreoceano e di
Oltremanica,che non vorranno certamente
rinunciare a continuare ad essere gestori occulti delle fortune dei nostri
uomini politici. Ciò premesso, mi auguro
di essere smentito dai fatti!