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mercoledì 15 maggio 2024

LA FUNZIONE DEL POETICO
di Fabio Dainotti 


Un primo piano di Annitta Di Mineo
 
Annitta Di Mineo. Del tempo disumano
 
La poesia nella raccolta Del tempo disumano di Annitta Di Mineo ha un tono esortativo, parenetico; nel tono oratorio e vibrante di tanti componimenti domina l’azione perlocutoria. Lo scopo è infatti quello di persuadere alla pace, a non “uccidersi”, e non solo. È quello il messaggio («termine quanto mai anacronistico, ma necessario», scrive Vincenzo Guarracino nella sua dotta prefazione; la postfazione è di Alberto Mori che osserva che “un epos di pace non è mai stato scritto), il testamento-messaggio lasciato dal padre di Annitta Di Mineo riportata nella prima poesia, sulla soglia, dunque importante come insegna la critica semiotica, del libro edito da Montabone Editore nel 2023, nella collana Sfera dall’autrice diretta. La poesia in oggetto conquista anche la gloria di occupare la 4° di copertina. E merita di essere riportata almeno nella parte finale, nell’explicit: Padre ancora oggi si uccide come allora. / E ti rivedo…in groppa alla mula / portare profumo di menta e di rose.


 
La copertina del libro

Sembra di risentire l’eco di un verso di Quasimodo.
Questa funzione trova riscontro nell’uso della seconda persona singolare o plurale (Voi potenti, con quell’anafora martellante: “cessate” che ricorda Ungaretti (facile riconoscere l’intertesto) e che ritorna spesso, con la funzione di ribadire un concetto, sottolinearlo, in modo che venga assimilato e memorizzato) e, in qualche componimento, del “tu”, che presuppone un allocutore; ma il vero destinatario è sempre il lettore.  Uno dei messaggi sicuramente riguarda l’antimilitarismo, con una nota dolente sulla cifra della morte giovane: Cenere sull’Adamello, Odore di guerra, Clown volontario. Non per niente la prima sezione, delle sei che compongono il libro (le altre sono “Vittime di mafia”, “Migrazione”, “Voci di donne”, “Natura”, “Shoah”) è riservata alla pace. La seconda sezione è particolarmente sentita dalla poetessa che vive al Nord ma è orgogliosamente siciliana d’origine, sicula non sicana, (la Sicilia dell’infanzia Annitta rievoca in versi struggenti (In spiagge sicule), e usa anche gli strumenti della dialettalità (A picciridda) e non certo per il colore locale. Fino ad adottare la scelta dell’andamento dialogico e teatralizzato in Scelta differente, una composizione ecoica di Jacopone, con un dialogo finale tra Madre e Figlio. Nella parte finale della sezione la sicilianità di Di Mineo traspare nella critica a un istituto, un’usanza tipicamente meridionale, quella del matrimonio riparatore. Per fortuna, sembra dirci l’autrice, le usanze cambiano (Lunga chioma rosso tiziano). Di stringente attualità la tematica presente nella sezione “Migrazione”, dove si istituisce un distinguo tra chi fugge “per ricostruire altre vite” e i “trafficanti/di vite umane”. Ma chi scrive è una donna e giustamente la tematica femminista ha una sua centralità all’interno delle problematiche contemporanee affrontate e le voci erompono con furore incontenibile sin dalla prima lirica, eponima della sezione, con il dettaglio efficace della “mano feroce/contro parole celate”; il grido “erompe” anche in Sguardo spento. La condizione femminile è riassunta nella catacresi del titolo, Gabbia dorata. C’è quasi un pudore nell ’appuntarsi sulla violenza esercitata contro le donne, e allora il dettato si fa più vigile, ermetico. Da notare che l’io non è solo quello poetico ma si dirama in altri personaggi (il figlio che assiste ai maltrattamenti della madre, financo gli Alberi che si lamentano, in una prosopopea attorno al fuoco”. 



Anche un solo albero che cade è una disgrazia, e giustamente si ribella (Albero ribelle); è questo il componimento che dà il la alla penultima sezione, dove assistiamo a un’apostrofe che in modo imperativo esorta a “salvare la specie” nel tempo del Coronavirus, un tempo in cui “i lavoratori restano senza paga” e “si ritrovano sulla zattera della Medusa”, che è anche un richiamo a una nota opera pittorica; è il tempo “slabbrato” della derelizione. Un saggio di bravura è Red carpet, dove la struttura filiforme dei versicoli anche univerbici mima la forma del ‘tappeto’ del titolo. Il montare della commozione nel rievocare la Shoah comporta ancora una volta un dire chiuso, quasi a circoscrivere con una cortina cose innominabili per la loro terribilità, con una circospezione già riscontrata per le voci di donne. Un vero e proprio “spiazzo d’inferno terrestre” si trova in Vulcani artificiali, una delle vette dell’intera silloge. In Binario 21 la pietas si raccoglie in quel diminutivo vezzeggiativo “piccini”. Una poesia, quella di Annitta Di Mineo, senza orpelli, tutta presa dal compito di testimoniare e denunciare una condizione umana: una poesia civile.