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mercoledì 29 maggio 2024

SCAFFALI
di Renzo Vidale


 
Villa Belloni 
 
Mariacristina Pianta raggiunge in Villa Belloni l'apice del suo lungo percorso di scrittura, smentendo l'idea che con il procedere del tempo la creatività si indebolisca e la poesia inizi a latitare. Con un linguaggio piano caratterizzato dall'uso di termini comuni orchestrati con sapiente sobrietà, Pianta è giunta ad assimilare sul piano dello stile la lezione di Giampiero Neri nell'arte di levare e nella ricerca dell’essenzialità e, attraverso una voce inconfondibile, si confronta con il tema del passato in modo originale. I disegni di Emilio Palaz, che completano sul piano iconografico il libro, lo rendono ancora più prezioso.
La villa Belloni è il luogo dell'infanzia e del tempo trascorso. La scrittura si incarica di restituire un po' di vita alle ombre del ricordo che sbiadisce, come nel rito che Circe insegna ad Ulisse per rendere possibile il dialogo con le ombre dei morti.
La raccolta presenta una notevole affinità con l'haiku giapponese, non tanto sul piano metrico (quantunque siano molti versi di 5 o 7 sillabe) quanto su quello dell'intenzione poetica: fissare l'attimo in un'istantanea in grado di sospendere la fuga del tempo. Alcuni titoli di questi haiku (“Airolo”, “Varzi”, “Sul Terdoppio”) mettono in contrasto, come se ci si volesse aggrappare alla realtà, la precisione della toponomastica con l'impermanenza dei ricordi legati ai luoghi in questione.
La memoria è fisiologicamente destinata prima a sbiadire, e poi a svanire. Cristina rappresenta nei suoi versi questo processo descrivendo in modo vago, quasi sempre privo di dettagli, gli episodi legati al passato. Essi si sostanziano soprattutto di suoni e di voci, che sono tra i termini più ricorrenti nella raccolta. E questo vago brusio a fare da basso continuo in Villa Belloni.


Cristina dipinta da
Emilio Palaz

Nell’istantanea qualcosa sfugge sempre alla presa della scrittrice: i ricordi rimangono pur sempre ombre. I protagonisti della bellissima poesia "In cortile" intuiscono che la loro contemplazione del paesaggio è turbata dall'impermanenza: le erbacce cresciute sui binari, le nuvole all’orizzonte, le ombre che iniziano ad allungarsi. Questa drammaticità della vita, appena accennata, viene accettata dall'autrice che non si rifugia nel passato: vuole solo rievocarlo e rievocandolo fare i conti con esso nella dimensione del presente, anche se ciò è faticoso e difficile, nella consapevolezza che il nostro viaggio è “incerto” e “privo di coordinate” (pag.54) e di “una meta” certa (pag.35). Ci troviamo a procedere in un sentiero “rischiarato da un debole bagliore di fanali” (pag.58). In “Senza meta” (pag.35) “si procede lenti”, ma si continua comunque a procedere, nonostante tutto.
In “Binari” (pag.60), questo quieto ottimismo della volontà si fonda sulla certezza che qualcosa resiste e non muore mai del tutto. In un correlativo oggettivo del tempo che passa, i binari del treno sono ora nascosti da fitti cespugli, ma si avverte ancora un lontano “movimento di scambi”.
Leggendo “Airolo” (pag. 31) diventa impossibile non richiamare alla mente Guido Gozzano e la Signorina Felicita, come giustamente fa Alessandro Quasimodo nella sua introduzione. Qui c’è il salotto delle Signorine Rossi “con i colori d’altri tempi”. E questa è senz’altro la poesia più gozzaniana di Cristina Pianta, anche se poi nell'insieme della raccolta le differenze con il poeta piemontese appaiono evidenti (e naturalmente non si vuole qui istituire giudizi di valore).
Gozzano tempera ed esorcizza in parte la nostalgia, e soprattutto la tristezza che deriva dal suo sentirsi estraneo alla vita, con l'ironia, seppure spesso amara. In Villa Belloni si respira invece, come abbiamo visto, un’aria di partecipazione alla vita, nonostante tutte le difficoltà ineludibili a essa connesse, rappresentate dal “tracciato accidentato” di cui parla “La telefonata”, a pag.48.
Proprio grazie a questo atteggiamento positivo, la poesia di Cristina Pianta non ha bisogno dell'ironia, e la nostalgia è sempre un sentimento pacato, che non si compiace di se stesso e che non indulge al sentimentalismo. Un'altra differenza consiste nell'abbondanza di dettagli in Gozzano, estremamente funzionale al dispiegarsi dell'ironia nel linguaggio (“… la pirografia /sui divani corinzi dell'Impero /la cartolina della bella Otero/…).


Mariacristina Pianta

In Villa Belloni invece i ricordi sono caratterizzati quasi sempre dalla vaghezza, spesso sostanziati solo, come abbiamo visto, da suoni e voci. Unica eccezione la prosa poetica “Duetto” (pag.46), dove la situazione evocata viene precisata dal particolare del “grembiule a scacchi” e dal titolo della musica suonata, la “Marcia turca” di Mozart.
Rivolgendosi al proprio padre (pag.41), in un’altra delle quattro prose poetiche presenti nella raccolta, Pianta dice: “Più non riesco a chiederti i particolari, storie del tuo passato, ma comprendo scelte incertezze, errori”. Infatti i ricordi tendono nel tempo a indebolirsi e a sgranarsi, i particolari diventano sempre più sfocati, ma il trascorrere degli anni ha permesso alla poetessa di raggiungere una comprensione del passato su un piano più profondo, quello esistenziale, in grado di perdonare anche gli errori delle persone che ci hanno amato. Alla vaghezza dei ricordi corrisponde anche nel presente la vaghezza del paesaggio reale: “Trascorre il viaggio tra alberi e asfalto in un passaggio di vaghe sembianze” (pag.26). Mariacristina Pianta sembra volersi richiamare alla celebre affermazione di Shakespeare “Siamo fatti della stessa materia dei sogni” con un’aggiunta: siamo fatti anche della stessa materia dei ricordi. Ma per fortuna, ed è importante ripeterlo, in questa materia effimera qualcosa resiste. L’ultima roccaforte della speranza è un ossimoro, la persistenza nell’impermanenza, e la poesia di Villa Belloni si incarica di rintracciarne i segni con un umile atto di fede nella vita, nel solco di una completa riconciliazione con il passato.