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sabato 22 giugno 2024

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada


 
La sorte (cap. V)

Continuando le considerazioni sulle parole contenenti la lettera teta, occorre dire che i latini, oltre ad usare tantissime radici greche, trasformarono queste radici in calchi per elaborare altre parole. In altri termini, furono molto versatili nel coniare parole. Fra queste radici/calchi, mi voglio soffermare su ορθ, che, in greco, dette luogo a ρθός: retto (poi: in forma corretta), diritto, in linea retta. Ad litteram, ορθ si traduce: cresce lo scorrere dell’ho; se preceduta da ε diventa ουρθ: è ciò che consegue dall’ho lo scorrere il crescere; se preceduta da α diventa ωρθ: è ciò che genera lo scorrere dell’ho il crescere.
I latini nella costruzione di alcuni verbi furono veramente sorprendenti, ad esempio, nel formulare torqueo, torsi, tortum, torquere, da scrivere alla greca: τωρχουεω, τωρθι, τωρθουμ, che rappresenta il girarsi del flusso gravidico, dopo essersi legato alla madre, per, poi, avvoltolarsi per la crescita, che, sicuramente, vuole anche rendere la torsione/contorsione del filo di lana per rendere consistente il filo stesso, il pendere da un lato della soma, i tormenti della partoriente, al supino e al perfetto si avvalsero di ωρθ. Il pastore latino coniò l’aggettivo tortus: avviene il torto/il contorto/l’attorcigliato che indica com’è la legatura del filo che cresce. Dal supino tortum fu dedotto il deverbale: tortus tortus: avvolgimento, torcimento, spira. Molto probabilmente il torto degli italici, nel senso di avere torto, rimanda ad una verità del processo di formazione: il crescere è sempre frutto di un mancare, non di un legare.  Da qui, in dialetto e in italiano: gai turt’ (hai torto)! si sturt’ (sei storto)! C’è da aggiungere che torto (come contorto, come tortuoso) degli italici può considerarsi una sorta di contrario di ρθός: retto, in linea retta.



Da ουρθ gli italici dedussero: urto e urtare.
S-ωρς (genera il legare madre-figlio lo scorrere dell’ho il crescere) sωρθis (l’andare a mancare). In modo ironico il pastore latino definisce la condizione di vita (la vita) della creatura in grembo: dopo che è cresciuto il flusso gravidico, la madre lega a sé il figlio, che va a mancare.
Gran bella sorte quella del bambino in grembo! Per crescere dev’essere legato e, mentre lega, manca! In dialetto si dice: ch’ bella sciort’ che tengh’! Anche i greci avevano indicato sorte/ventura/caso con τύχη (tende il passare della creatura quando resta legata): durante il preparto, tutto dipende dal legare, che è la stretta finale. Da τύχη fu dedotto il verbo toccare, nel senso di ciò che mi spetta, perché stabilito dalla sorte.
Con questo/questi tassello/tasselli elaborarono f-ωρς, ablativo f-ωρθe: caso, avventura, per caso (forte), fωρθuna: in chi nasce, dopo essere cresciuto in grembo, si riscontra la fortuna, che si evidenzia con le difficoltà del parto; quindi, dedussero: fωρσan (forse: non è mica detto che, da dentro, l’ho lo scorrere il crescere si generi il nascere!), fωρθis fortis, che è la creatura che, cresciuta, vince la battaglia del travaglio.
Inoltre, dalla radice ορ di ορνυμι dedussero orior e, al perfetto, utilizzando ωρθ, formularono ortus sum, poi, da m-orior dedussero m-ωρς mortis (genera il rimanere lo scorrere del crescere l’andare a mancare).
P-ωρθa, la porta consegue alla creatura, che, cresciuta, deve uscire (anche i greci avevano usato la stessa immagine con θύρα), mentre p-ωρθ-us: il porto è metafora del grembo: dal flusso gravidico inizia la partenza della creatura su una barca. Portare è, per eccellenza, metafora del grembo; infatti, è della gestante caricarsi di ciò che cresce. Da porta fu dedotto portico, da quel portare, che cresce divenendo, scaturisce il portento. Da port fu elaborata portio portionis: da tutto (il grembo) si evince la porzione, da cui, poi, proporzione, che è la porzione in rapporto a: è tutto proporzionato! Voglio precisare che anche insula così come νσος sono metafore del grembo. L’isola contestualizza la fase iniziale della formazione della creatura, quando il nucleo ((che rappresenta la crescita iniziale)) è circondato dal liquido!



Da portare e dai dedotti, quanti concetti furono rielaborati! Questo fu possibile perché il grembo è una realtà viva, che diviene. I latini diedero a importare il significato di portare dentro, che è non solo ciò che porto dentro, ma quel portare è il frutto di un’intromissione. M’importa è più del mea interest. M’importa indica un coinvolgimento affettivo, m’interessa indica l’attenzione per avere un profitto, non tanto per affetto. In italiano, poi, si deduce importante, in quanto si tratta di un essere che, in quanto mamma, amo, desidero, cui sono tutta dedita. Quel portare mi permette di non considerare i dolori e i patimenti: tutto sopporto, mentre in dialetto si dice, in negativo: on lu cumpurt’ (non lo sopporto). In funzione di quel portare mi comporto, c’è un comportamento in relazione a quell’essere che porto. Quale rapporto stretto, unico, intimo c’è tra la madre e quella creatura! Poi, quel grembo porta fuori una merce, per cui esporta. Quindi, il grembo diventa un contenitore e si conia sporta ecc. ecc.
C’è un altro calco, talvolta anche radice, presumibilmente l’aoristo 2 ηλθ-ον (dal generare lo sciogliere il crescere) di ερχ0μαι, che compare in diversi verbi, modificato, talvolta, dai latini nella forma ουλθ, anche assibilato in ουλς, per la crasi di omicron e η, su cui voglio soffermarmi. Il significato standard della nuova perifrasi dovrebbe essere: dall’ho lo sciogliere il crescere, che, però, acquisisce, di volta in volta, nuovi significati. Questo fa pensare che i latini non solo possedessero perfettamente il codice greco, le radici greche, ma che interpretassero i simboli fonici secondo logiche un po’ particolari, molto diverse da quelle dei greci. Sono portato a congetturare che ci fossero delle persone preposte (studiosi) alla formazione dei paradigmi verbali, soprattutto di quelli irregolari. Da ηλθ, gli italici formularono: elsa, i latini ex-c-ελσ-us, praecelsus



Dalla radice πηλ (fa dal generare lo sciogliere), che era servita ai greci per formulare l’aoristo (έπηλα) di πάλλω (agito, vibro), i latini formularono pello is, pepuli, p-ουλσ-um (ha fatto dall’ho lo sciogliere il crescere dall’ho il rimanere), a cui attribuirono i seguenti significati: batto, percuoto, allontano, scaccio, mentre al participio perfetto p-uls-us fu assegnato il significato: (colui/ciò che ha/è stato) battuto, percosso, allontanato, scacciato, sulla base della seguente perifrasi: ha fatto dall’ho lo sciogliere il crescere l’ho il mancare (in chi è cresciuto mancando/nascendo, è avvenuto che è stato battuto, percosso ecc.). Poi, fu coniato il deverbale pulsus pulsus: urto, spinta, impressione, polso, quindi: pulsare, da pulsato pulsazione, quindi, in italiano, pulsione. Poi, da impello/impulsum: metto in moto spingendo fu dedotto il deverbale impulso, poi: repello/repulsum repulsione. Si evidenzia che il calco oult è presente in diversi verbi: ultus sum (mi sono vendicato) perfetto di ulciscor, mediante la seguente perifrasi: è ciò che si verificato in chi dall’avere avuto lo sciogliere il crescere ha già mancato/generato/vendicato quanto aveva legato (i torti subiti). È presente in adultus di adolesco: cresco. Il pastore latino vede nel processo di formazione dell’essere la crescita e dice che è cresciuta la creatura prossima a nascere. Anzi, l’adulto, come cresciuto, si rinviene nel nato: in chi è mancato/nato, dopo aver legato (preparto) dallo sciogliere il crescere. Poi, da adουλθ (il prefisso ad, qui, si traduce: dal mancare) fu dedotto adουλθ-er/adultera: drudo, amante, anche: falso, quindi: adulterare, anche nel senso di ciò che è stato alterato per crescita (il vino diventa aceto), adulterio



Con lo stesso calco fu ricavato il supino ind-ult-um di indulgeo: sono accondiscendente, sono indulgente. Con indulgeo il pastore latino dice che con la gravida è accondiscendente e che in chi è stato accondiscendente c’è l’indultus: grazia, permesso, concessione.  Da emulgeo/emulsum: smungere, prosciugare, fu dedotta in italiano: emulsione, dal significato tutto nuovo.
Questo calco è servito per formare il participio di colo is, colui, c-ult-um, colere: coltivo, venero, ho il culto. La perifrasi alla greca dovrebbe essere: καολω/κ-ουλθ-um, al presente: dal generare l0 sciogliere dell’ho (come incubazione dopo il disfacimento del seme), al participio passato: in ciò che è avvenuto a seguito dell’incubazione per nascita di quanto cresciuto, c’è ciò che viene coltivato e, quindi, la coltivazione. Da questo verbo sono stati dedotti tanti concetti: col-ono, col-onia, quello di culto, ad indicare la venerazione degli dèi per favorire le coltivazioni, per preservare dalle calamità e dalla morte, ma, soprattutto, gli elementi costitutivi dell’aggettivo: cultus: curato, coltivato, colto (non solo nel senso di ciò che è stato raccolto), adorno, raffinato, educato, per cui in cultura confluisce non solo l’arte del coltivare, ma anche i campi ben coltivati, in latino: culta, e, in modo particolare, il superamento dell’istintività, per acquisire un modo di vivere (cultus cultus) educato e affinato. L’aggettivo cultus s’invera mediante i contrari: silvester (l’uomo della foresta), neglectus (trascurato, trasandato, sciatto), incultus, che indica colui che non ha coltivato, che, quindi, vive allo stato di natura. Colui che è colto sa, perché sa fare, perché ha superato le condizioni di vita dell’uomo di natura, perché coltiva persino il bello.
Nella forma assibilata uls, ricordo solo vello/vulsum: tiro, strappo, svello, che rimanda a βέλος: freccia e, quindi, a: estraggo la freccia, così come ho estratto la creatura alla nascita (vulsus/vulsa), poi: avulso, convulso (ho provocato spasimi) ecc.
Per concludere dalla radice ult fu dedotto l’avverbio/preposizione: ult-ra: oltre; l’andare oltre si evince dalla crescita del grembo, come divenire della creatura in formazione, come incessante divenire della storia dell’uomo.