Continuando le considerazioni sulle parole contenenti la lettera teta, occorre
dire che i latini, oltre ad usare tantissime radici greche, trasformarono
queste radici in calchi per elaborare altre parole. In altri termini, furono
molto versatili nel coniare parole. Fra queste radici/calchi, mi voglio
soffermare su ορθ, che, in greco, dette luogo a ὀρθός: retto (poi:
in forma corretta), diritto, in linea retta. Ad litteram, ορθ si traduce: cresce lo scorrere dell’ho; se preceduta da ε diventa ουρθ: è ciò che consegue dall’ho lo scorrere il crescere; se preceduta da α diventa ωρθ: è ciò che genera lo scorrere dell’ho il crescere. I latini
nella costruzione di alcuni verbi furono veramente sorprendenti, ad esempio,
nel formulare torqueo, torsi, tortum, torquere, da
scrivere alla greca: τωρχουεω, τωρθι, τωρθουμ, che rappresenta il girarsi del flusso
gravidico, dopo essersi legato alla madre, per, poi, avvoltolarsi per la
crescita, che, sicuramente, vuole anche rendere la torsione/contorsione del
filo di lana per rendere consistente il filo stesso, il pendere da un lato
della soma, i tormenti della partoriente, al supino e al perfetto si
avvalsero di ωρθ. Il pastore latino coniò l’aggettivo tortus:
avviene il torto/il contorto/l’attorcigliato che indica com’è la
legatura del filo che cresce. Dal supino tortum fu dedotto il deverbale:
tortus tortus: avvolgimento, torcimento, spira.
Molto probabilmente il torto degli italici, nel senso di avere torto,
rimanda ad una verità del processo di formazione: il crescere è sempre frutto
di un mancare, non di un legare.Da qui,
in dialetto e in italiano: gai turt’ (hai torto)! si sturt’ (sei
storto)! C’è da aggiungere che torto (come contorto, come tortuoso)
degli italici può considerarsi una sorta di contrario di ὀρθός: retto,
in linea retta.
Da ουρθ gli italici dedussero: urto e urtare. S-ωρς (genera il legare madre-figlio lo scorrere dell’ho il crescere) sωρθis (l’andare a mancare). In modo ironico il pastore latino definisce la
condizione di vita (la vita) della creatura in grembo: dopo che è cresciuto
il flusso gravidico, la madre lega a sé il figlio, che va a mancare. Gran bella
sorte quella del bambino in grembo! Per crescere dev’essere legato e, mentre
lega, manca! In dialetto si dice: ch’bella sciort’ che tengh’!
Anche i greci avevano indicato sorte/ventura/caso con τύχη (tende il passare della creatura quando resta legata): durante il
preparto, tutto dipende dal legare, che è la stretta finale. Da τύχηfu dedotto il
verbo toccare, nel senso di ciò che mi spetta, perché stabilito
dalla sorte. Con
questo/questi tassello/tasselli elaborarono f-ωρς, ablativo f-ωρθe: caso,
avventura, per caso (forte), fωρθuna: in chi nasce, dopo essere cresciuto in grembo, si riscontra la
fortuna, che si evidenzia con le difficoltà del parto; quindi, dedussero: fωρσan (forse: non è mica detto che, da dentro, l’ho lo scorrere il
crescere si generi il nascere!), fωρθis fortis,
che è la creatura che, cresciuta, vince la battaglia del travaglio. Inoltre, dalla
radice ορdi ορνυμιdedussero orior
e, al perfetto, utilizzando ωρθ, formularono
ortus sum, poi, da m-orior dedussero m-ωρςmortis (genera il rimanere lo scorrere del crescere l’andare a mancare). P-ωρθa, la porta consegue alla creatura, che, cresciuta, deve uscire
(anche i greci avevano usato la stessa immagine con θύρα), mentre p-ωρθ-us: il
porto è metafora del grembo: dal flusso gravidico inizia la partenza
della creatura su una barca. Portare è, per eccellenza, metafora
del grembo; infatti, è della gestante caricarsi di ciò che cresce. Da porta
fu dedotto portico, da quel portare, che cresce divenendo,scaturisce il portento. Da port fu elaborata portio
portionis: da tutto (il grembo) si evince la porzione, da cui, poi,
proporzione, che è la porzione in rapporto a: è tutto proporzionato!
Voglio precisare che anche insula così come νῆσος sono metafore del grembo. L’isola contestualizza la fase iniziale
della formazione della creatura, quando il nucleo ((che rappresenta la
crescita iniziale))è circondato dal liquido!
Da portare e
dai dedotti, quanti concetti furono rielaborati! Questo fu possibile perché il
grembo è una realtà viva, che diviene. I latini diedero a importare il
significato di portare dentro, che è non solo ciò che porto dentro, ma
quel portare è il frutto di un’intromissione. M’importa è più del
mea interest. M’importa indica un coinvolgimento affettivo, m’interessa
indica l’attenzione per avere un profitto, non tanto per affetto. In
italiano, poi, si deduce importante, in quanto si tratta di un essere
che, in quanto mamma, amo, desidero, cui sono tutta dedita. Quel portare
mi permette di non considerare i dolori e i patimenti: tutto sopporto,
mentre in dialetto si dice, in negativo: on lu cumpurt’ (non lo
sopporto). In funzione di quel portare mi comporto, c’è un comportamento
in relazione a quell’essere che porto. Quale rapporto stretto,
unico, intimo c’è tra la madre e quella creatura! Poi, quel grembo porta fuori una
merce,per cui esporta. Quindi, il grembo diventa un
contenitore e si conia sporta ecc. ecc. C’è un altro
calco, talvolta anche radice, presumibilmente l’aoristo 2 ηλθ-ον(dal generare lo sciogliere il crescere) di ερχ0μαι, che compare in diversi verbi, modificato, talvolta,
dai latini nella forma ουλθ, anche
assibilato in ουλς, per la crasi di omicron e η, su cui
voglio soffermarmi. Il significato standard della nuova perifrasi dovrebbe
essere: dall’ho lo sciogliere il crescere, che, però, acquisisce, di volta in
volta, nuovi significati. Questo fa pensare che i latini non solo possedessero
perfettamente il codice greco, le radici greche, ma che interpretassero i
simboli fonici secondo logiche un po’ particolari, molto diverse da quelle dei
greci. Sono portato a congetturare che ci fossero delle persone preposte
(studiosi) alla formazione dei paradigmi verbali, soprattutto di quelli
irregolari. Da ηλθ, gli italici formularono: elsa, i latini
ex-c-ελσ-us, praecelsus.
Dalla radice πηλ(fa dal
generare lo sciogliere), che era servita ai greci per formulare l’aoristo (έπηλα) di πάλλω(agito, vibro), i latini formularono pello
is, pepuli, p-ουλσ-um (ha
fatto dall’ho lo sciogliere il crescere dall’ho il rimanere), a cui
attribuirono i seguenti significati: batto, percuoto, allontano,
scaccio, mentre al participio perfetto p-uls-us fu
assegnato il significato: (colui/ciò che ha/è stato) battuto, percosso,
allontanato, scacciato, sulla base della seguente perifrasi: ha
fatto dall’ho lo sciogliere il crescere l’ho il mancare (in chi è cresciuto
mancando/nascendo, è avvenuto che è stato battuto, percosso ecc.). Poi, fu
coniato il deverbale pulsus pulsus: urto, spinta, impressione,
polso, quindi: pulsare, da pulsato pulsazione, quindi, in
italiano, pulsione. Poi, da impello/impulsum: metto in moto
spingendo fu dedotto il deverbale impulso, poi: repello/repulsum
repulsione. Si evidenzia che il calco oult è presente in diversi
verbi: ultus sum (mi sono vendicato) perfetto di ulciscor,
mediante la seguente perifrasi: è ciò che si verificato in chi dall’avere avuto
lo sciogliere il crescere ha già mancato/generato/vendicato quanto aveva legato
(i torti subiti). È presente in adultusdi adolesco: cresco.
Il pastore latino vede nel processo di formazione dell’essere la crescita e
dice che è cresciuta la creatura prossima a nascere. Anzi, l’adulto, come cresciuto, si rinviene nel nato:
in chi è mancato/nato, dopo aver legato (preparto) dallo sciogliere il crescere.
Poi, da adουλθ (il prefisso ad, qui, si traduce: dal
mancare) fu dedotto adουλθ-er/adultera:
drudo, amante, anche: falso, quindi: adulterare,
anche nel senso di ciò che è stato alterato per crescita (il vino
diventa aceto), adulterio.
Con lo stesso calco fu ricavato il supino
ind-ult-um di indulgeo: sono accondiscendente, sono
indulgente. Con indulgeo il pastore latino dice che con la
gravida è accondiscendente e che in chi è stato accondiscendente c’è
l’indultus: grazia, permesso, concessione. Da emulgeo/emulsum: smungere,
prosciugare, fu dedotta in italiano: emulsione, dal significato
tutto nuovo. Questo calco è
servito per formare il participio di colo is, colui, c-ult-um,
colere: coltivo, venero, ho il culto. La perifrasi
alla greca dovrebbe essere: καολω/κ-ουλθ-um, al presente: dal generare l0 sciogliere dell’ho (come incubazione
dopo il disfacimento del seme), al participio passato: in ciò che è avvenuto a
seguito dell’incubazione per nascita di quanto cresciuto, c’è ciò che viene coltivato
e, quindi, la coltivazione. Da questo verbo sono stati dedotti tanti concetti:
col-ono, col-onia, quello di culto, ad indicare la venerazione
degli dèi per favorire le coltivazioni, per preservare dalle
calamità e dalla morte, ma, soprattutto, gli elementi costitutivi dell’aggettivo:
cultus: curato, coltivato, colto (non solo nel
senso di ciò che è stato raccolto), adorno, raffinato, educato,
per cui in cultura confluisce non solo l’arte del coltivare, ma
anche i campi ben coltivati, in latino: culta, e, in modo particolare,
il superamento dell’istintività, per acquisire un modo di vivere (cultus
cultus) educato e affinato. L’aggettivo cultus s’invera
mediante i contrari: silvester (l’uomo della foresta), neglectus (trascurato,
trasandato, sciatto), incultus, che indica colui che non ha coltivato,
che, quindi, vive allo stato di natura. Colui che è colto sa, perché sa
fare, perché ha superato le condizioni di vita dell’uomo di natura, perché coltiva
persino il bello. Nella forma
assibilata uls, ricordo solo vello/vulsum: tiro, strappo,
svello, che rimanda a βέλος: freccia
e, quindi, a: estraggo la freccia, così come ho estratto la creatura alla
nascita (vulsus/vulsa), poi: avulso, convulso (ho provocato
spasimi) ecc. Per
concludere dalla radice ult fu dedotto l’avverbio/preposizione: ult-ra:
oltre; l’andare oltre si evince dalla crescita del grembo, come
divenire della creatura in formazione, come incessante divenire della storia
dell’uomo.