“Scusa, caro, hai venti
centesimi?” “Scusa, caro, hai venti
centesimi?” La richiesta è umile, quasi
onesta. Seduto a gambe incrociate, mi ringrazia e mi saluta con un sorriso mesto,
rassegnato. Ha la barba di un
fachiro e lo sguardo dolce, perso, di Siddharta nel momento
dell’illuminazione: l’uno all’imbocco, in basso, delle due scalinate divergenti della sotterranea che ingoia
gambe e destini, fra la luce del
giugno piovoso e la penombra artificiale; l’altro sotto un banano,
fermo da secoli nel nulla che pulsa. Nel gioco della metempsicosi chi è chi e perché? Le rotaie oggi
trasmettono un’insolita vibrazione,
incontrollata, che rimbomba nei muscoli, nelle viscere, mentre voci
s’accavallano nel dove di caos in cui
staziono; è una cacofonia che annienta ogni senso compiuto degli
eventi. Riflessi baluginano nella
galleria, parole ispaniche e illiriche
corrono, si rincorrono nello statico
cielo del vagone. Valigie ingombrano lo spazio. “Domani parliamo con calma.
Bacione.” In piedi sul segmento di
congiunzione fra scompartimenti fa
stretching di dita un giovane dai baffetti da
moschettiere, quasi un esorcismo al
sangue che ristagna. Due fidanzati si sfiorano le
labbra: l’innocenza del gesto mi
sconcerta. Il cielo è nere volute, circonvoluzioni di pensieri
abbandonati, alla deriva verso i confini che t’affliggono e non vedi. Sirene cantano la canzone del
dolore. Il traffico scorre immemore. Vino bianco ghiacciato e
sigarette che ardono come piccoli
vulcani preistorici. Rondini s’incrociano nei
ritagli di cielo consentiti, rugginose piume di
nostalgia. Brevi scorci di sereno. Granelli di polvere
rossa sui tavolini e sulle sedie di
plastica. Il deserto giunge da lontano; il deserto è dentro di noi: avanza ogni giorno macerando con la sferza del
vento; cedono anche le ombre degli
alberi. Un profumo mi assale come un sentimento che non
riconosco più, smarrito nei meandri sfibrati di giorni tutti uguali. [Milano, lunedì 24 giugno 2024]