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martedì 18 giugno 2024

TACCUINI
di Angelo Gaccione



Il Tempio della Vittoria
 
Quando i morti di una guerra ammontano a svariati milioni, parlare di vittoria può suonare macabro. Che ci siano in vari luoghi e città dei monumenti che quei milioni di morti ricordano, è doveroso. Ma dovrebbero lasciare da parte ogni trionfalismo, ogni vacuo aspetto retorico, e presentarsi con la sola funzione che dovrebbe giustificarli: di monito per le generazioni future e per chi le guerre persegue e prepara, di vigilanza per chi le subisce. Ne sono piene le pareti di nomi di caduti all’interno di quello che viene chiamato Tempio della Vittoria, nel complesso monumentale di largo Gemelli situato fra la basilica di Sant’Ambrogio e l’Università Cattolica del sacro Cuore. Fu voluto per rendere onore ai milanesi massacrati in quella che è passata alla storia come la Grande Guerra, la Prima guerra mondiale, e realizzato in circa un triennio, ma il fascismo di tutti quei morti si dimenticò presto e preparò la Seconda, che di morti ne fece ancora di più. Il progetto fu affidato a Giovanni Muzio con cui collaborarono altri architetti: Alberto Alpago Novello, Tomaso Buzzi, Ottavio Cabiati e Gio Ponti. Lo inaugurarono il 4 novembre del 1928 per ricordare il decennale della fine della guerra e la vittoria sugli austriaci. Per raggiungerlo bisogna varcare un ingresso formato da quattro colonne che reggono un frontale su cui è incisa la scritta a stampatello maiuscolo: “Ai milanesi caduti in guerra” e una cancellata in ferro. La costruzione è racchiusa in un recinto di pietra nera che ne delimita il perimetro. È realizzata in marmo bianco, in forma ottagonale e termina in cima con una cupola a lanterna. La megalomania fascista lo ha voluto qui questo tempio, vicino alla basilica, perché secondo la tradizione vi era ubicato il cimitero dei martiri (cœmeterium ad martyres) dell’età paleocristiana. 



Collegare i martiri cristiani ai soldati della Grande Guerra era un bel colpo per la retorica guerrafondaia mussoliniana. Ma al monumento non fecero mancare nemmeno la presenza del patrono di Milano: una statua bronzea di sant’Ambrogio scolpita da Adolfo Wildt nel 1928 vi accoglie collocata in un tempietto subito all’ingresso. Come non mancano, ovviamente, i nomi delle grandi battaglie sostenute dall’esercito italiano incise lungo i lati del mausoleo e gli indispensabili simboli guerrieri. E poiché la regìa del regime non lasciava mai niente al caso, vi segnalo che gli otto lati della costruzione sono orientati in direzione delle otto porte di Milano: “le vie attraverso le quali i soldati lasciarono la città per unirsi alle truppe italiane”. Il bilancio fu di 650.000 morti, ma c’è chi sostiene che aggiungendo i militari che morirono negli anni successivi per ferite e malattie legate alla guerra, si arriva abbondantemente al milione. La cifra complessiva dei morti - fra militari e civili - delle nazioni in conflitto fa rabbrividire. E non contiamo l’ecatombe che seguì all’epidemia di “spagnola”; anche questa conseguenza dell’infame conflitto.