Il Tempio della
Vittoria Quando i morti di
una guerra ammontano a svariati milioni, parlare di vittoria può suonare
macabro. Che ci siano in vari luoghi e città dei monumenti che quei milioni di
morti ricordano, è doveroso. Ma dovrebbero lasciare da parte ogni trionfalismo,
ogni vacuo aspetto retorico, e presentarsi con la sola funzione che dovrebbe
giustificarli: di monito per le generazioni future e per chi le guerre persegue
e prepara, di vigilanza per chi le subisce. Ne sono piene
le pareti di nomi di caduti all’interno di quello che viene chiamato Tempio
della Vittoria, nel complesso monumentale di largo Gemelli situato fra la
basilica di Sant’Ambrogio e l’Università Cattolica del sacro Cuore. Fu voluto per
rendere onore ai milanesi massacrati in quella che è passata alla storia come
la Grande Guerra, la Prima guerra mondiale, e realizzato in circa un triennio,
ma il fascismo di tutti quei morti si dimenticò presto e preparò la Seconda,
che di morti ne fece ancora di più. Il progetto fu affidato a Giovanni Muzio
con cui collaborarono altri architetti: Alberto Alpago Novello, Tomaso Buzzi, Ottavio Cabiati e Gio Ponti. Lo inaugurarono il 4 novembre del 1928 per ricordare il decennale
della fine della guerra e la vittoria sugli austriaci. Per raggiungerlo bisogna
varcare un ingresso formato da quattro colonne che reggono un frontale su cui è
incisa la scritta a stampatello maiuscolo: “Ai milanesi caduti in guerra” e una
cancellata in ferro. La costruzione è racchiusa in un recinto di pietra nera
che ne delimita il perimetro. È realizzata in marmo bianco, in forma ottagonale
e termina in cima con una cupola a lanterna. La megalomania fascista lo ha
voluto qui questo tempio, vicino alla basilica, perché secondo la tradizione vi
era ubicato il cimitero dei martiri (cœmeterium ad martyres) dell’età
paleocristiana.
Collegare i martiri cristiani ai soldati della Grande Guerra
era un bel colpo per la retorica guerrafondaia mussoliniana. Ma al monumento non
fecero mancare nemmeno la presenza del patrono di Milano: una statua bronzea di
sant’Ambrogio scolpita da Adolfo Wildt nel
1928 vi accoglie collocata in un
tempietto subito all’ingresso. Come non mancano, ovviamente, i nomi delle
grandi battaglie sostenute dall’esercito italiano incise lungo i lati del
mausoleo e gli indispensabili simboli guerrieri. E poiché la regìa del regime
non lasciava mai niente al caso, vi segnalo che gli otto lati della costruzione
sono orientati in direzione delle otto porte di Milano: “le vie attraverso le quali i soldati lasciarono la città per
unirsi alle truppe italiane”. Il bilancio fu di 650.000 morti, ma c’è chi
sostiene che aggiungendo i militari che morirono negli anni successivi per
ferite e malattie legate alla guerra, si arriva abbondantemente al milione. La
cifra complessiva dei morti - fra militari e civili - delle nazioni in
conflitto fa rabbrividire. E non contiamo l’ecatombe che seguì all’epidemia di
“spagnola”; anche questa conseguenza dell’infame conflitto.