Pagine

mercoledì 10 luglio 2024

ETERNO PRESENTE
di Giuseppe Oreste Pozzi


A proposito dell’eterno presente di Angelo Gaccione
  
Interessante pensare alla civiltà come ad una “carne” dentro cui possono annodarsi “luoghi e memorie”, come scrive Angelo Gaccione.
La carne però non come un organismo ma come un corpo che, quando viene affettato da segni che rimandano a luoghi e memorie, mostra una traccia, si ripropone con un segno che rimanda ad un discorso che potrà essere decifrato. Non come un palcoscenico che faccia da cassa di risonanza ma come un luogo dove annidarsi nelle scarnificazioni che avvengono in quel corpo, uno per uno. Il palcoscenico, il teatro, sono il luogo dove il segno parla, si vuole far sentire, pretende di essere ascoltato. La carne che viene affettata dagli affetti, come dice la parola, trattiene dei segni da leggere ed allora solo chi sa interpretare e leggere i segni di questa scarnificazione potrà cogliere anche la coscienza storica e soggettiva che vi si annida. Occorre essere preparati a questa lettura, a questa interpretazione che richiede attenzione, impegno nel capire ciò che si sta leggendo, riconoscimento di chi o cosa si sta incontrando perché è solo la carne viva a restituire i segni che la carne incorpora. Non è un caso che, per Heidegger e Lacan – solo per citare qualcuno di noto – il linguaggio è il luogo dell’incontro più che uno strumento per comunicare. Comunicare significa fraintendere mentre l’incontro ha lo spazio perché abbia a volte un effetto fortunato, un effetto costruens. I segni che restano incarnati sono lì a suggerire, più che ad urlare e possono essere letti ed ascoltati solo nel nostro silenzio assorto ed attento perché siamo anche stati preparati ad apprendere. Questa lettura vitale è il nostro lavoro.
Questo ci insegna, forse, il bellissimo concetto e metafora dello “eterno presente” che ci insegna nostalgicamente Angelo? ci insegna a renderlo soggettivo nel tempo che siamo noi stessi a vivere? Allora stiamo già viaggiando su un nuovo registro come quello a cui alludeva Seneca quando mostrava a Lucillo (Libro 11-13, cap. 88 § 1,2) che lo spazio per apprendere è alla portata di tutti perché lo studio è il nostro tirocinio e non il nostro lavoro.
Grazie ancora caro Angelo per i tuoi stimoli sempre apprezzati.