Sono
anni che mi ostino a sostenere la tesi secondo cui una vera democrazia è incompatibile con la
cultura occidentale fondata su un groviglio di assolutismi religiosi e
filosofici. So bene che i fautori della tesi opposta (peraltro quasi
universalmente condivisa) si richiamano alla democrazia ateniese ritenendola
all’origine di quella attuale. Essi sostengono che risulta solo ampliata la portata numerica del diritto di sceglierei propri rappresentanti in Parlamento e i
governanti, estesa a tutti i cittadini
di uno Stato (suffragio universale) e non soltanto a una parte di essi. Ritenere
il sistema di governo di Atene legato da un fil
rouge al nostro, è solo un ignobile artificio da rigettare. La democrazia
ateniese era figlia di un pensiero monistico empiristico, concreto e
razionalista, radicamente annullato e distrutto dagli autoritarismi dualistici, assolutistici, astratti, metafisici
congiunti del seguaci del filosofo iperuranico
Platone ( e della sua schola, l’Accademia,
giunta, con l’obbligo del giuramento in verba magistri, a bloccare lo
sviluppo del pensiero, sino all’idealismo tedesco di fine Ottocento) nonchè dei
“fedeli”, seguaci delle tre religioni monoteistiche mediorientali. Gli uni e
gli altri hanno consentito, in Occidente per circa due millenni solo un sfliza
di monarchie, tirannidi, dispotismi di varie forme (laiche o religiose) e
diverse denominazioni che di democratico avevano ben poco. Solo
nel 1893, infatti, la Nuova Zelanda ha introdotto, primo Stato al mondo,
inmaniera stabile e solida il suffragio
universale (id est: maschile e
femminile e indipendente dal censo); e ciò, dopo i vari conati e fallimenti di
Pasquale Paoli in Corsica (nel 1755 e nel 1769), dei Rivoluzionari francesi
(nel 1792) e dei fautori della Repubblica Romana (nel 1849). Inoltre, negli
Stati del mondo Occidentale, e soprattutto negli Stati Uniti d’America, grazie
alla riforma della pubblica Amministrazione operata da Colbert per il Re Sole, i
meccanismi dell’esercizio del potere di governo della polis risultano, secondo testimonianze sempre più insistenti e
diffuse, profondamente alterati dal potere conquistato da pubblici dipendenti
di particolare qualificazione (agenti segreti, militari, magistrati, poliziotti
e diplomatici) rispetto a quello dei cosiddetti rappresentanti del popolo,
eletti nelle pubbliche elezioni. Alcuni fatti storici (il Pentagono che
impedisce a Trump il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan negli utili
tempi del suo mandato presidenziale, i processi cui è stato sottoposto il
medesimo Trump per impedirgli di ripresentarsi alle prossime elezioni) e
numerose denunce del cinema statunitensesul coinvolgimento della CIA e dei servizi segreti Occidentali ad essa
strettamente collegati (se non del tutto dipendenti) nel narco traffico con
favoritismi, aiuti logistici ai contrabbandieri in cambio di informazioni e
finanziamenti occulti e fuori del bilancio pubblico, fanno dubitare molto
seriamente che gli strumenti interpretativi tradizionalmente adottati per
valutare la democraticità di un Paese conservino ancora un loro residuo valore.
Sotto questo profilo, infatti, a
parte le ipotesi di utilizzo della droga come strumento per favorire ribelli e
sovversivi contro i nemici degli statunitensi (quelli del momento e sono stati
tanti a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale) tutti citati con
dovizia di particolari in Wikipedia (V. sotto la voce CIA e traffico di
Droga:i comunisti in Afghanistan, i
guerriglieri nazionalisti in Birmania, e ancora in Bolivia, ad Haiti, in Italia
con l’Operazione Blue Moon per fini
di destabilizzazione dei movimenti di contestazione giovanile, nel Laos, in
Messico, in Nicaragua, a Panama, in Turchia e in Venezuela), lo scambio di
accuse tra i servizi segreti americani e russi circa le ultime elezioni
presidenziali americane dimostrano che l’intervento degli opposti servizi
segreti per il risultato delle elezioni, è tutt’altro che marginale. Questa
lunga premesssa per dire a una destinataria intelligente ed acuta delle mie mail (che mi ha chiesto se il ritiro di
Biden dalla competizione elettorale non complichi ancora di più l’esito già
incerto delle prossime “presidenzialiStatunitensi”) che non mi è facile risponderle. Una volta nelle
democrazie occidentali (non ancora definibili “cosiddette”) era possibile
capire, nel corso delle manifestazioni della competizione elettorale, da che
parte tirasse il vento popolare e azzardare delle previsioni sui risultati. Ora,
a parte gli hackeraggi digitali già di per sé di enorme rilievo per lo
strapotere di particolari pubblici dipendenti più potenti dei loro committenti
(come gli agenti della Cia, dell’FBI del Pentagono), c’è da aggiungere che in
quel mastodontico Paese, già caratterizzato da un melting pot etnico e culturale, è straripante, più che in altri
Paesi dell’Occidente, la massa di un’aurea
mediocritas dei self made men che
rende un vero e proprio handicap la presenza
di una personalità eventualmente prorompente in un contendente e favorisce, di
converso, l’uomo comune di media intelligenza (Truman, Carter, Biden ne sono
gli esempi più eclatanti). Et de hoc
satis!