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venerdì 13 settembre 2024

IL PROCESSO AL CRIMINALE NAZISTA     
di Anna Lina Molteni e Giuseppe Mendicino


 
Seifert a vent'anni

 
La battaglia legale di Arnaldo Loner e Bartolomeo Costantini per dare giustizia alle vittime del lager di Bolzano.
 
 
L’occasione di scrivere del Lager di Bolzano e del processo Seifert è conseguenza di una recente stesura a quattro mani della biografia di Arnaldo Loner, avvocato, bibliofilo, appassionato cultore di storia e di tutela del paesaggio. Loner è stato infatti legale di parte civile del Comune di Bolzano nel processo a Michael Seifert, il “boia del Lager di Bolzano”, processato dal Tribunale militare di Verona, estradato dal Canada nel 2008, morto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere nel 2010. Con Walter Reder per la strage di Marzabotto, Herbert Kappler ed Erich Priebke per l’eccidio delle Fosse Ardeatine, è uno dei soli quattro criminali di guerra tedeschi che abbiano scontato il carcere in Italia.
A Bolzano oggi del Lager rimane solo il muro perimetrale e un percorso di pannelli con immagini della sua storia; è stato il processo Seifert a fornire prove documentali inconfutabili che non sia stato solo un campo di transito, come diceva il nome Polizeiliches Durchgangslager Bozen, ma un vero e proprio campo di sterminio in cui si torturò, si seviziò, si uccise. Fu aperto nell’estate del 1944, in contemporanea con la chiusura dell’altro campo d’internamento e di transito italiano, quello di Fossoli in Emilia, i cui prigionieri non ancora deportati vi furono trasferiti in blocco, insieme alle SS, al personale addetto, al comandante Karl Friedrich Titho e al vicecomandante Hans Haage.



Amministrativamente dipendeva dalle SS di Verona. Rimase attivo fino al 3 maggio 1945. In dieci mesi di attività vi transitarono circa 11.000 arrestati: civili, partigiani, soldati sbandati, famiglie di renitenti alla leva e ricercati, rastrellati, ebrei, sinti che furono trasferiti a Mauthausen, Flossenbürg, Dachau, Ravensbrück e Auschwitz. Gli internati erano uomini e donne di ogni età, ragazzi e bambini di entrambi i sessi, provenivano da tutte le regioni dell’Italia del nord e soprattutto dalla Zona di Operazione delle Prealpi, Alpenvorland, comprendente le provincie di Bolzano, Trento e Belluno. Quasi tutti furono adibiti a lavori interni al lager o nelle fabbriche di materiale bellico, alla raccolta di mele per conto di privati, allo sgombero delle macerie nel centro storico di Bolzano dopo i bombardamenti, allo scavo per la posa di tubature e cavi elettrici.
Il processo contro Michael Seifert, accusato di aver causato la morte di 18 internati nel lager di Bolzano, è stato celebrato presso il Tribunale Militare di Verona nel 2000. La prima sentenza, del 24 novembre 2000, lo riconobbe colpevole di 11 omicidi provocati con torture e sevizie e lo condannò all’ergastolo. Impugnata dall’imputato, venne confermata in data 18 ottobre 2001 dalla Corte Militare d’Appello di Verona. L’ulteriore ricorso venne rigettato dalla Corte di Cassazione a Roma in data 8 ottobre 2002 e la sentenza divenne definitiva. Proseguiva intanto la pratica per la estradizione, richiesta nel 1999 dalla Procura e infine accolta dall’Alta Corte di Giustizia del Canada, che nel 2008 consegnò Michael Seifert alle autorità italiane, la sua latitanza era durata 63 anni.


 

Nel processo spiccano due figure, Arnaldo Loner, avvocato di parte civile, e il pubblico ministero Bartolomeo Costantini. Ognuno nel proprio ambito, agirono entrambi avendo ben chiaro il significato che il procedimento aveva sia dal punto di vista storico sia da quello etico. Non si trattava, come qualcuno disse, di “archeologia giudiziaria”, né di inutile giustizia a posteriori o di accanimento contro un imputato ormai anziano, ma di un atto dovuto alla verità storica e alla memoria delle vittime e di coloro che, pur sopravvissuti, avevano portato per tutta la vita i segni delle torture e della violenza subite. Certi delitti non si possono, non dico perdonare, ma nemmeno dimenticare. Non dimenticare è quindi un obbligo morale, ma è anche in certo senso un obbligo giuridico” afferma il pubblico ministero Costantini.
La materia di questo processo riguarda crimini che aggrediscono i valori fondamentali dell’uomo, l’integrità della vita fisica e la dignità della persona umana” conclude l’avvocato Loner nell’arringa finale.
Dalle carte del processo emerge la brutalità dell’imputato che in molti casi era stata solo un cieco soddisfacimento della sua natura sadica, senza una qualsiasi ragione, pur aberrante, che la potesse giustificare. La violenza per la violenza, l’uccidere per il gusto di uccidere. Non a caso Seifert, dopo torture e sevizie atroci, specie con armi da taglio e bastoni, non sferrava il colpo finale con un’arma, ma usava le mani strangolando o i piedi, finendo la vittima a pedate. Il tutto nella condiscendente indifferenza del comandante del Lager, Karl Titho. Più le vittime erano giovani e fragili, più Seifert si accaniva.
Nei primi giorni del marzo 1945 morì sotto tortura anche il giovane capitano Steve Hall, dei servizi segreti americani, che nei mesi precedenti aveva collaborato con le formazioni partigiane del Bellunese. Il più diretto responsabile della sua morte, il sadico maggiore August Schiffer venne processato a Napoli alla fine del conflitto da una corte marziale statunitense e fucilato. Purtroppo, la giustizia italiana del dopoguerra non fu altrettanto solerte con gli altri criminali del lager.


Costantini e Loner nel 2017

“Concorso in violenza con omicidio contro privati nemici, aggravata e continuata” è il reato contestato a Seifert dal pubblico ministero Costantini, che raccolse elementi di prova circostanziali per 18 omicidi. Alcuni testimoni, ancora viventi, lo riconobbero dalle foto e i loro ricordi coincidevano con la relazione scritta alla fine del 1945 dal professor Alfredo Poggi, ex internato, e allegata al fascicolo 1250, rimasto chiuso per mezzo secolo nel cosiddetto “armadio della vergogna”. Un mobile situato negli uffici della Procura Militare di Roma, sigillato con una catena. Aperto nel 1994 durante una ricerca di documentazione per il massacro delle Fosse Ardeatine, al suo interno sono stati rinvenuti fascicoli riguardanti le stragi e i crimini commessi dai nazifascisti in Italia. I procedimenti erano stati praticamente insabbiati, in quanto era stato apposto in calce un timbro di “archiviazione provvisoria”; procedura questa, sconosciuta al nostro ordinamento processuale. Nel fascicolo 1250 compaiono i nomi di tutti i maggiori responsabili di torture e assassinii avvenuti nel lager di Bolzano e tra questi Michael Seifert. Il procedimento è della Procura Generale Militare del Regno – Ufficio procedimenti contro criminali di guerra tedeschi e la data della trasmissione per “l’eventuale azione giudiziaria” è 25 aprile 1946. Come parte lesa sono indicati gli “internati italiani nel lager di Bolzano” e gli eventi sono così riassunti: “Nel campo di concentramento di Bolzano, durante il lungo periodo della occupazione nazista, trattarono in modo inumano gli italiani (militari, ebrei ed altri civili), sottoponendoli a continue sevizie e bastonature, imprigionamenti lunghi, terribili ed estenuanti. Per questo brutale trattamento alcuni internati perirono (…)”.


Il decreto di archiviazione del 1960

Seifert vi è descritto come un sadico torturatore e assassino, ma il suo comportamento non può essere ridotto a una faccenda privata tra un carnefice e le sue vittime, entra in un contesto più ampio, in un “massacro dell’umanità” dalle proporzioni enormi. È un criminale, ma è figlio del suo tempo. “Non è una scheggia impazzita del sistema, è funzionale al sistema (…) un uomo che realizza gli obiettivi di sistema, sia pure con dei massacri voluti e decisi individualmente, ma che il sistema consentiva, tollerava e facilitava, non ordinava in questo caso” scrive ancora Loner.
In un clima politico in cui a tratti riemerge la tentazione del revisionismo, o del riduzionismo che ne è la versione attenuata, e si mira a riscrivere la storia “in base non a un più attento esame dei documenti e delle testimonianze, bensì in base alle proprie pregiudiziali ideologiche” (Costantini) è importante che sia mantenuta viva la memoria su quanto accadde davvero, perché “verità alternative” costruite a posteriori non ne prendano il posto.
Arnaldo Loner e Bartolomeo Costantini sono oggi due anziani e tranquilli signori che passano i loro giorni tra libri e incontri finalizzati a diffondere cultura e coscienza civile, se parlando con loro il discorso cade sul lager di Bolzano i loro occhi si accendono di passione e indignazione. Facile immaginare che sarà così usque ad finem, sino all’ultimo dei loro giorni.