Oggi assistiamo al bombardamento di
immagini che incidono profondamente nei bambini con la tivù accesa in casa. In
ogni stanza. Violenza nei cartoni, violenza in ogni genere di filmati. Violenza
e guerre attraverso le immagini dei media, che le ripropongono a ripetizione
ossessiva: un vero lavaggio del cervello. I bambini per natura curiosi nella
esplorazione della realtà e nell’apprendimento del linguaggio della convivenza,
restituiscono ciò che fotografano e respirano con la stessa violenza e ferocia,
come se la comunicazione e i conflitti si risolvessero solo attraverso
l’aggressività o con i coltelli nei casi estremi. Gli adolescenti nuotano nello
stagno sociale: corpi estranei che s’adattano emulando ciò che passa per
normalità. Non si nutrono di bellezza, ma di brutture e bruttezze, a cui
si abituano con rabbia e odio, in una depressione vitale dove l’espressione
dell’amore è ignota. La violenza diventa la protagonista di questi ribelli
senza causa, il cui senso di onnipotenza fra eros e thanatos può
esplodere come una bomba improvvisamente. È la società del dio denaro, del
consumismo, del divertimentificio, dell’assenza dell’essere, a mettere nelle
mani dei fanciulli i coltelli per sopravvivere in un mondo schizofrenico, di
immagini fuorvianti sul senso umano della vita e quello della proiezione di
morte liberatoria. La morte della fantasia che non c’è, dell’immaginazione
cantata da Leopardi con la quale si può sognare l’infinito.