Due personalità della
cultura milanese sull’indifferenza istituzionale verso il degrado della città.
Eh
sì, caro Angelo. Professionalità era una volta sinonimo di qualità, di
accuratezza, di cura di quel che era sotto la nostra responsabilità. Ed
era gioia farlo, impegnavi testa, cuore e mano, senza separazione alcuna. Vedere
Milano oggi così degradata, la mia piazza Gramsci lasciata all’abbandono è per
me dolore quotidiano. Adoro ogni piazza, luogo di incontro, di scambio, di
umanità. I
sanpietrini staccati e diventati un cumulo di pietre, causa di cadute per gli
anziani che, per fortuna, sostano ancora sulle panchine, aiutando a non
lasciare la piazza ai vandali, nonostante nessun albero faccia loro ombra e il
canto della sua fontana è da anni stato zittito dall'incuria che l'ha
trasformata in un grande cestino di rifiuti. Per
non parlare del degrado dell’autosilo, dove i proprietari dei box sotterranei
non riescono a trovare un dialogo con il Comune per il buon mantenimento del
complesso. Invece
ci si affaccenda sempre più in settimane (diventate week!) del design, della
moda, dei mobili, dei vini e dei cibi, dove fiumane di turisti sono intenti
solo a guardare, non le bellezze della città, ma a fotografarsi davanti ai
marchi delle vetrine che ormai sono le stesse in ogni paese del mondo globalizzato.
Tutto questo vorrebbe davvero farci credere che Milano sia grande metropoli? No!
Milano urla che la stanno violentando, ma la massa non ha più né cuore né
orecchi, i soli organi capaci di ascolto e di Rivelazione, ma solo cellulari, cuffiette
e “happy hours”. E le targhe poste sui muri, quelle che disegnano la mappa del
cuore di una città, non hanno più nomi leggibili perché non portiamo più nel
cuore i nostri avi, oltre ad esserci dimenticati di noi stessi, dell’umanità
che siamo e che vive di solidarietà, di valori, di sentimenti, di dignità. Sono
le loro lacrime che hanno sciolto il colore con cui i loro nomi erano scritti
e... il Porta, il Manzoni, la Cristina Belgioioso e la Contessa Maffei non li
vedete? Ci stanno guardando stupefatti chiedendosi: è questo che abbiamo
lasciato loro?
UN SEGNALE DI INCIVILTÀ di
Giuseppe O. Pozzi
Caro
Angelo, ti sono grato come cittadino per questi memo. Un segnale di inciviltà
sociale ed istituzionale che ti stringe in una morsa mortale e sta lì inesorabile
a rappresentare l’impotenza del cittadino che passa e tira dritto perché non sa
più cosa fare per far rinascere un po’ di dignità e di rispetto. Grazie.