Erano gli anni dei turbini sulle strade appena asfaltate sui banchi di scuola nella nostra immaginazione sulla pelle, nelle fabbriche politicizzate. Tra i tunnel splendenti della nostra crescita. Arrivava, come l’onda d’un sasso gettato in un orrido, la domanda sferzante: cos’è, cosa sta succedendo? Perché questo grido lancinante dalle città? Nulla è vero, suggerisce la terra appena zappata, vero è il mais che domani andremo a sarchiare. Dunque: è finto quel sangue randagio sul lastricato di Piazza della Loggia? È finto l’omino in posizione fetale, tumulato sui muri tra Piazza del Gesù e Botteghe Oscure? E cosa sono quei 170 bulbi oculari che urlano la loro fame di luce a Bologna, Stazione Centrale? Tra i libri e il giardino di nonno elaboravo a mio modo il concetto di vero in politica. Da distante ciascuno percepiva il puzzo di polvere delle grandi città. Tu che fai, mi chiese un compagno di tempo e di nebbie. Sei a favore o contrario…e mi fece quel gesto a tre dita che tutti sappiamo… quel misero piano di semina.
Sono altri i fiumi di fango che la vita ci imporrà a guadare. Altri i nodi, le ombre, i sentieri. Al mio netto diniego del capo quel compagno di acerbi principi mi tolse per sempre il saluto. Così forse imparavo a guardare negli occhi chi vince e chi perde davvero. E in quante menti lontane sa scovare e colpire il terrore. La Storia dirà o non dirà s’è stato soltanto un aborto di senso quel tempo. Un aborto di senso nel nostro piccolo, piccolo cielo.