Il libro delle cinquanta poesie in dialetto luzzarese di Cesare Zavattini:si conclude con un “Concedo” in
cui spiega i motivi per cui le ha scritte e in che tempi. Nella lettera che
accompagna l’invio per pubblicarlo sulla rivista “Il Pierrot” mi scrive:
“Congedo può essere considerata inedita. Pochi, pochissimi hanno letto Stricarm’
ind’na parola (Stringermi in una parola),
e soprattutto perché non priva di una sua attualità dolorosa”. La lettera
spedita da Roma porta la data del 30 maggio del 1980, la rivista sarà
pubblicata dopo l’estate e precisamente nel settembre di quell’anno. Sono
passati più di quarant’anni, ma non ho dimenticato queste parole, o versi prosastici che
dir si voglia, di “Congedo”:“Vi assicuro che andrei sul rogo per
l’umanità, anche se vi prego di non sottopormi fotografie di singoli”. In
effetti noi ci appassioniamo e ci sacrifichiamo volentieri per i grandi ideali,
quelli che abbiamo ereditati dalla storia come beni supremi: la libertà,
l’uguaglianza, la giustizia, la tolleranza, la pace e così via, e quando lo facciamo non
pensiamo mai ad un tipo preciso di uomini e donne, ad una etnia, ad un popolo,
ad un colore della pelle, ad una geografia. Abbiamo in mente una visione
universale, astratta. Non dico la maggioranza, perché non è avvenuto in nessuna
epoca che questa sensibilità abbia scaldato i cuori delle maggioranze, ma
significative minoranze che hanno avvertito un forte sentimento sociale e hanno
preso coscienza delle ingiustizie, si sono date con generosa abnegazione. Senza
badare al proprio tornaconto, hanno speso la loro vita per migliorare quella di
tutti. Ma faremmo altrettanto se dovessimo pensare a degli individui concreti,
che so, a certi insopportabili vicini di casa, ai qualunquisti indifferenti, a donne
e uomini con cui veniamo in contatto quotidianamente e che ci deludono per avarizia
di sentimenti, invidia, meschineria, mancanza di empatia umana e via elencando?
Sicuramente no: non sacrificheremmo per loro neppure un’unghia della nostra
carcassa. Durante le tante iniziative di piazza contro i conflitti in atto,
capitava che dei passanti rifiutassero persino di accettare un innocuo volantino
in cui venivano spiegate le ragioni, o di firmare un semplice appello per far
cessare il massacro. Si trattava di gente normale, di gente comune; persino di
coppie giovani con bimbi. Non sarebbe costato loro nulla, mentre il diniego ci
sconfortava. “Meritano di scomparire” dicevano alcuni davanti a tanta
indifferenza. Non approvavo, ma capivo. Per fortuna si continua imperterriti a
battersi per nobili ideali, prescindendo dalle foto dei singoli di cui parla
Zavattini, e del loro demerito.