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venerdì 11 ottobre 2024

IL VERZIERE E LA SUA COLONNA
di Angelo Gaccione


Angelo Inganni
Veduta del Verziere 1852
 
Ora che Largo Augusto è stato ristrutturato, divenuta una piazza chiusa al traffico, ha acquistato l’importanza e la nobiltà che gli era dovuta. Già l’avevano offeso cambiandogli nome: che necessità c’era di mutare il suo bellissimo nome che si estendeva all’intera area? Si era sempre chiamato coerentemente rione del Verziere perché per secoli vi si era tenuto il mercato ortofrutticolo, e i milanesi dicevano nella loro bella lingua: “andemm al Verzée”. E il loro più importante poeta vernacolare, il grande Carlo Porta, che al Verziere ha la sua bella statua, non aveva forse pubblicato nel 1814 La Ninetta del Verzee? Il dipinto del 1852 di Angelo Inganni con i suoi luminosi colori e le foto in bianco nero fino a tutto il Novecento ce ne restituiscono fascino e poesia. La colonna con il Cristo Redentore vi compare presente e svettante, e gli anziani milanesi me la indicavano senza fallo come la Colonna del Verziere. Segno che la colonna era venuta dopo.


Monumento a Carlo Porta

Anche se di nomi gliene hanno affibbiati più di uno: Colonna di San Martiniano, Colonna del Redentore, Colonna della Vittoria, Colonna infinita… E uno glielo avevo dato ironicamente anche io: Colonna rotatoria, perché era diventata una sorta di colonnina girevole per autobus, tram e macchine, ed era un vero deliro di rumore e di caos, per le tante vie che vi confluiscono.  



Che si sia voluto conferire alla colonna una funzione commemorativa, lo sappiamo dalla storia più lontana; ma ha avuto una funzione anche di tipo decorativo e si è evoluta attraverso il passaggio da uno stile all’altro, soprattutto quando si è deciso di farne il sostegno di edifici e di templi. La verticalità, tuttavia, già di per sé era indice di potere e potenza (lo dimostrerà la sfida delle famiglie mediante la edificazione delle torri in epoca medievale, come lo dimostrano oggi i grattacieli delle multinazionali e delle grandi holding finanziarie). E, prima ancora gli obelischi, che hanno anticipato le colonne e hanno trovato la loro collocazione in spazi e luoghi altrettanto fortemente simbolici. Ovviamente l’aspetto religioso ha avuto il suo peso e lo slancio verso il Cielo, luogo delle divinità e del Theòs non va assolutamente trascurato. 


1905

La colonna isolata al centro di una piazza fa memoria, ricorda ai contemporanei e ricorda ai posteri. Commemora eventi, imprese di eroi, esprime voti, ammonisce. Chissà quante di esse sono andate definitivamente perdute nel corso della storia: abbattute dai nemici, sommerse da catastrofi naturali, sbriciolate dal passare impietoso dei secoli. Dallo storico Vitruvio sappiamo che i prototipi venivano realizzati originariamente in legno, materiale facilmente reperibile, e che poteva essere lavorato (e perché no?), inciso e decorato dalle mani abili di artigiani-artisti. Ancora oggi ammiriamo questi manufatti architettonicamente di grande fascino, dispiegati in luoghi divenuti parte della memoria collettiva. Basti pensare ai quindici presenti a Roma: dalla celeberrima Colonna Traiana all’obelisco di piazza San Pietro in Vaticano. Ma chi non ricorda quello di Parigi in Place de la Concorde o quello del Central Park di New York che i telegiornali ci rimandano di continuo? I newyorkesi lo hanno battezzato “ago di Cleopatra” per la forma appuntita della cima e per la provenienza egiziana.


La Ruvida Colonna

Naturalmente non possiamo paragonare la colonna del Verziere a quelle più blasonate sparse per il mondo, ma anch’essa fa la sua bella figura nello slargo. Purtroppo di colonne in giro per Milano ce ne sono rimaste poche. Sono colonne votive, quasi tutte nate a seguito della terribile peste del 1576-1577; le aveva volute il cardinale Carlo Borromeo. Anche questa innalzata al Verziere, come le altre, inizialmente non era che un semplice altare. A far fuori quelle scomparse era stato l’architetto austriaco Leopoldo Pollack a cui Giuseppe II aveva dato incarico di migliorare la viabilità cittadina. Quella del Verziere era scampata all’abbattimento del 1786, alle cannonate austriache del 1848 e persino ai bombardamenti anglo-americani. 



Se pensate però che ebbe vita facile vi sbagliate. Trent’anni per progettarla e sessanta per completarla: il nome di Colonna infinita se l’era proprio meritato! Nel 1580 furono raccolti i fondi, nel 1581 si ordinò il materiale, nel 1611 prima inaugurazione dopo vicissitudini fra le più incredibili, la peste del 1630 bloccò tutto, il 1763 seconda inaugurazione con la statua del Redentore finalmente issata sulla cima (disegno del Richini, scultura del Vismara), primo restauro nel 1860 e in ricordo delle Cinque Giornate le fu dato il nome di Colonna della Vittoria: trentacinque anni dopo verrà inaugurato il monumento di Giuseppe Grandi a ricordo di quegli eventi. Nel 1927 il Cristo di arenaria in cima alla Colonna verrà sostituito con uno di bronzo. Se ci passate adesso dal Verziere, vi accorgerete che oltre alla Colonna col Cristo ce n’è un pezzo di una seconda.



Dagli operai del cantiere ho appreso che l’hanno trovata durante lo smontaggio per spostare la colonna e sistemare la piazza. Era all’interno, e si crede che sia la base più antica, la ruvida colonna ricordata dagli storici. Ora all’interno della colonna è stato messo un supporto in calcestruzzo moderno, e questo antico convivrà sulla piazza per ricordare a tutti noi la sua vetusta età. Appena gli alberi faranno ombra tutt’intorno alla piazza, verrò a sedermi sulle sue panchine, anche se i rumorosi tram su un lato, e il traffico delle quattro ruote sul fianco opposto verso la via Battisti, non sono certo una rilassante melodia.