La
"banalità elettoralistica" rappresenta il segno dominante della
discussione in corso in quello che si vorrebbe "campo largo": una
discussione dai contenuti divisivi perché semplicisticamente legata alla
costruzione di uno schieramento che cerca i voti per contrastare (o meglio
difendersi) dall'altro schieramento anch'esso riduttivamente elettorale
nonostante le proclamate pretese di ricerca egemonica formulate da parte degli
eredi della tradizione peggiore nel sistema politico italiano. Il tutto si sta
verificando in un quadro complessivo di estrema fragilità dell'intero sistema:
fragilità evidenziata dal sempre più crescente distacco sociale che non
riguarda soltanto le mancate espressioni di voto che ormai interessano almeno
metà della partecipazione potenziale ma - soprattutto ed essenzialmente - dalla
difficoltà di incontrare i veri nodi del divenire culturale, politico, sociale
di questa difficile e complicata fase di riassestamento delle gerarchie
planetarie che si sta verificando in una situazione di possibile conflitto
globale. Dagli
attori presenti nel sistema non emerge un'analisi da sottoporre a reale
discussione rivolta ai fenomeni emergenti del ristrutturarsi di blocchi
contrapposti e del rapporto nord-sud, della trasformazione da industriale a
finanziario, della sudditanza dell'agire politico all'innovazione tecnologica,
del ridursi della democrazia liberale a "recitativa" che apre così le
porte all'illiberalità in diverse forme come si sta tentandodi fare in Italia nella logica del decreto e
della modificazione costituzionale. Dal
nostro punto di vista la riflessione andrebbe aperta partendo dalla tragedia
della disintermediazione che ha portato all'assenza di una soggettività
politica capace di svolgere una funzione "pivotale" di espressione di
egemonia nella aggregazione del consenso.
Una
aggregazione di consenso da sviluppare sui "fondamentali" analizzando
il modificarsi delle relazioni tra fratture materiali e fratture "post-materialiste"
nel trasformarsi del rapporto tra struttura e sovrastruttura. Pd
e sinistra non riescono ad affrontare il tema della centralità del soggetto: il
Pd ormai ridotto - appunto - a semplice espressione elettorale (nonostante la
non riconosciuta vastità sul piano numerico) e in ritardo anche nell'assumere
esperienze positivamente non localistiche provenienti dal basso e le seconde
divise in assenza di una riflessione specifica sul proprio ruolo e in un caso
ricercanti alleanze legate appunto alla già citata "banalità
elettoralistica. Sinistre
ridotte nel recinto del movimentismo e delle "single issues". Sul
piano europeo emerge anche la tendenza conservatrice-rivoluzionaria: con la
rivoluzione legata all'empireo delle aspirazioni nascoste e il concreto
dell'oggi affrontato attraverso la ricetta del nazionalismo (da distinguere
bene dal "ruolo nazionale" mutuato da Gramsci e dalla sua
interpretazione togliattiana). Il riferimento al piano europeo deve comprendere
anche l'analisi della crisi della socialdemocrazia ridottasi sulla frontiera
del liberalismo (Francia, Germania) e della affermazione -invece- di una solida
socialdemocrazia di sinistra come quella spagnola. Sono questi gli elementi
(certo descritti sommariamente e con evidente deficit di capacità analitica) i
punti sui quali la vicenda del "campo largo" appare di ridotta
portata, appunto di "banalità elettoralistica". Non è sufficiente:
anzi è profondamente sbagliato affidare a una alleanza solo episodicamente
opportunistica il senso di una necessità storica come quella di cui la sinistra
italiana ed europea ha l'obbligo di farsi carico.