Debussienne e Il colore turchino di Francesca Pilato: la musica incontra la
letteratura. Che brani letterari, soprattutto poesie, siano stati tradotti in musica è
storia vecchia. Neppure è inusuale raccontare sulla spinta della suggestione musicale
che, soprattutto se indefinita, suscita immagini, pensieri e associazioni,
avvolgendo chi scrive in una sorta di aura ispiratrice, pericolosissima ai fini
della tenuta e della chiarezza della scrittura. La medesima influenza ruffiana
che può far sembrare bella una pagina che tale non è, semplicemente leggendola
ad alta voce con un sottofondo musicale adeguato. Era perciò un terreno più che
scivoloso, quello sul quale Francesca Pilato si è avventurata con la sua
raccolta di racconti Debussienne (Florestano
Editore 2022, pubblicati prima in
francese (Harmattan Editions 2018) e solo successivamente in italiano che ne è
la lingua originale, ma due fattori hanno concorso a farla uscire indenne e a
far sì che i 12 pezzi - tanti quanti sono i Préludes
del Premier Livre di Claude Debussy
(1910) - siano una lettura affascinante. Il primo è il fatto che Pilato è linguista e saggista. Conosce il
linguaggio e ne maneggia regole e significati con consapevole destrezza. La
lunga pratica saggistica che ha alle spalle le ha poi creato una sorta di habitus scientifico severo che la pone al
riparo dalla tentazione di inutili abbellimenti stilistici, magari suggeriti
dall’ “onda emotiva” generata dalle note. Il secondo è che conosce la musica e
le sue strutture, ne vede anche l’armatura portante, oltre a gustarne il
piacere dell’ascolto. Così, e sono parole sue: “Le variegate modalità di
esecuzione indicate da Debussy, lento e grave, capriccioso e leggero, molto
calmo e dolcemente espressivo o, all'opposto, animato e tumultuoso e molte
altre ancora, sono stati altrettanti stimoli per accostare i racconti ai
preludi rispettandone le varietà stilistiche, in sintonia, per quanto è
possibile, con il timbro, con l'intima voce che li percorre”. E la narrazione
diventa così un’eco, restituita con un linguaggio diverso, ma cristallino tanto
quanto le note di Debussy, “l’aereo inventore”, come lo definiva l’amico
Gabriele D’Annunzio. A sottolineare ulteriormente il legame inscindibile tra
musica e parola scritta il fatto che in Debussienne
i titoli dei racconti siano gli stessi dei Préludes.
Claude Debussy
Nel recente romanzo Il colore turchino (Florestano Editore 2023), la musica torna ancora
ad accompagnare la vicenda di una donna siciliana, Aloisa, raccontata nell’arco
di tempo tra il 1866 e il 1911. L’ambientazione è dapprima una Sicilia “gattopardesca”,
dove ancora non si sono spenti gli echi dell’impresa dei Mille e le idee
mazziniane e liberali hanno prodotto una generazione di giovani in aperto
contrasto con tradizioni secolari di privilegi feudali e soprusi- tra questi i fratelli della protagonista,
ma anche il padre, proprietario di una miniera di zolfo -; successivamente la
Napoli a cavallo di Otto e Novecento, con un retaggio ancora vivo di città
colta e cosmopolita, pur nelle sue annose e mai risolte contraddizioni. È qui
che Aloisa, che a tratti può ricordare memorabili figure femminili tratteggiate
da Henry James, trova rifugio da un matrimonio difficile e, tramite la musica
che da passatempo di signora della buona società diventa lavoro, realizza il suo
compimento come donna libera e come artista. Montato come un melodramma, con il susseguirsi di 3
atti, introdotti come fossero fondali di scena, ma che rimandano a luoghi
reali: la basilica di San Leone ad Assoro, via Etnea a Catania, il teatro San
Carlo a Napoli, la “voce” del romanzo è un continuum
nel quale fluiscono, armonizzandosi, cambi di punti di vista e passaggi dal
discorso indiretto a quello diretto senza la necessità di segni grafici che li
indichino. E in questo gioco di agilità stilistica, l’autrice affida
l’esposizione della sua poetica alle parole di padre Luigi, bibliotecario dei
Girolamini, che fa riferimento alla lingua greca: “Non c’è distinzione in
questa grande cultura, tra suoni e significati: le sacre e nobili parole di
aedi e rapsodi commuovono e convincono solamente se portate dall’onda
carezzevole di appropriate eufonie”.