PER NON DIMENTICARE
DANILO DOLCI di Francesco Curto
Danilo Dolci
Perugia. Cento anni fa, il
28 giugno 1924, nasceva a Sesana (Trieste) Danilo Dolci. Conseguita la maturità
artistica a Brera, si iscrisse alla facoltà di architettura a Milano. Una
formazione culturale quella di Dolci, legata alla sua terra carsica, al mondo
viennese, a quella musica suonata dalla madre e dal nonno. Tutta la sua vita
però l’ha vissuta tra Trappeto e Partinico (Palermo), quella terra meravigliosa
scoperta in un viaggio vacanza a diciassette anni con il padre ferroviere. In
quella parte dimenticata da Dio, tormentata dalla miseria e dalla prepotenza
dei forti, Danilo piantò le sue radici per una missione del riscatto dei
poveri, ignoranti e sfruttati dalla mafia. Renitente alla leva, nella seconda
guerra mondiale, si rifugiò sulle montagne in Abruzzo con le formazioni
partigiane. Alla fine della guerra insegnò a Milano per mantenersi agli studi.
Inizia così la sua proficua attività di poeta con la raccolta Parole nel
giorno. Dal 1950, Dolci frequenta Nomadelfia, la comunità dei Piccoli
apostoli di don Zeno Saltini a Fossoli, in un ex campo di concentramento
nazista. Con una grande carica religiosa e cristiana Dolci, armato anche di
coraggio, senso civico e morale, si batte giorno dopo giorno contro la povertà,
promuovendo a Trappeto, un asilo nido e la scuola per gli analfabeti,
inventandosi pure l’università. Lotta senza violenza con il primo sciopero
della fame per denunciare lo stato delle persone senza diritti e la difesa
degli ultimi. Una lotta da pacifista per una convinta missione di far valere le
ragioni di quanti non potevano disporre di servizi e mezzi, e, soprattutto di
terra. Aiuta i pescatori e promuove la difesa dell’attività di quanti disperati
non potevano garantire neanche il pane ai propri figli. La poesia quindi come
arma politica, la parola come strumento non violento e disarmato per fare la
rivoluzione senza spargimento di sangue. La poesia come impegno etico e civile.
L’Arte, infatti, deve contribuire ad aiutare gli altri e soprattutto quelli
afflitti dalla malattia, dalle guerre, dalla solitudine, dai soprusi, dalle
angherie, dalla violenza del potere. Insomma Dolci dà voce a chi voce non ha e
restituisce diritti ai senza diritti. La Poesia per Danilo è una dichiarazione
d’amore per la natura e per quanti vi abitano. Dolci è un sociologo,
antropologo, un osservatore critico, un difensore degli ultimi e un costruttore
di pace. È il poeta di Il limone lunare, di Poema per la radio dei
poveri cristi, di Racconti siciliani, di esperienze e riflessioni,
autore di Creatura di creature (1968).
Danilo Dolci
Una voce pura e autentica, un
santo laico del nostro novecento insieme ad Aldo Capitini e Giorgio La Pira. Un
missionario che si dà agli altri, con un amore senza ritorno. È un uomo di
qualità e quantità per bontà, un erogatore di felicità, se pure povera ma
straripante di affetto per l’uomo bisognoso di tutto. Eppure in un anno non ho
sentito mai una volta il nome di Dolci tra le buone notizie in questa
informazione avvelenata e velenosa. Va ricordato che nel 1958 a Dolci fu
attribuito il Premio Viareggio per il libro Inchiesta a Palermo e
successivamente il Premio Internazionale Lenin. C’è da trarre l’amara
considerazione che una nazione e la comunità che non ricorda le eccellenti
personalità che hanno segnato con la loro opera, il proprio tempo, significa
che così si uccide la memoria e si nega il loro ricordo alle generazioni future.
Pertanto, ringrazio “Odissea” e il suo direttore Angelo Gaccione che ci dà
l’opportunità di ricordare Danilo Dolci in questo spazio, e magari ricordare anche
Carlo Cassola, fondatore insieme al suo direttore della Lega per il Disarmo
Unilaterale, della sua opera di giornalista e scrittore, per testimoniare
l’impegno di un uomo che si è speso per la pace, di un intellettuale attivo, di
un onesto uomo del suo tempo, che ci ha messo in guardia per evitare la terza
guerra mondiale. Siamo ormai alla vigilia dell’abisso e nessuno parla di pace.
L’ONU sta a guardare, serve ancora oggi? Non ci sarà tempo per celebrare il
funerale dopo l’apocalisse.