Con questo scritto di Mazzella apriamo il confronto
sulle elezioni americane Un’analisi degli effetti
prevedibili, nel mondo, in Occidente e in Italia della vittoria di Donald Trump
alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America deve contemplare tre
livelli: 1°) Per l’intero pianeta, il trionfo del tycoon statunitense
va valutato positivamente con pochi limiti. Con notevoli probabilità esso
comporterà la fine della guerra in Ucraina e l’arresto della politica
statunitense di dar fastidio alla Russia, minacciandola costantemente con un allargamento
della NATO (alleanza difensiva divenuta offensiva a tutto spiano) ai Paesi
dell’ex Unione Sovietica. E ciò non solo per i buoni rapporti del neo
Presidente nordamericano con Vladimir Putin quanto per i timori che la nascita
di un neo-nazismo nel cuore dell’Europa possa incidere su una rinnovata
ideologizzazione dello scontro politico a livello mondiale. Non credo che la
vittoria di Trump inciderà sulla guerra d’Israele in Medio oriente; e ciò non
solo per le ragioni che esporrò sotto il numero 2°) ma anche perché
l’inevitabile indebolimento della potenza bellica dello Stato sionista e degli
Stati arabi circostanti, il primo per effetto della folle direzione del governo
affidato Netanyahu, il secondo per le intemperanze dei gruppi terroristici
fiancheggiatori, potrebbe essere da lui considerato, con quella buona dose di
cinismo mai estranea all’azione politica, un fattore di ridimensionamento delle forze esistenti nella zona, vera fucina
di odi e scontri permanenti.
2°) Per l’Occidente il discorso è molto più
complesso e richiede, per il suo corretto esame ed una buona comprensione… una
adeguata premessa. Come ho scritto più volte (colpevolmente,
ripetendomi), la cultura Occidentale costituita esclusivamente da assolutismi
intolleranti (3 religiosi e 2 filosofici) ha creato un regime politico cui è
stato dato, arbitrariamente e falsamente, il nome di “democrazia” (rubato
all’esperienza ateniese e concepito in tutt’altro contesto di pensiero) e,
invece, in maniera reale e concreta un sistema di equilibrio di vertici di netta
impronta autoritaria. Ebrei, cattolici, islamici, fascisti e comunisti, tutti
insieme propugnatori sostanziali dell’autoritarismo più radicale, hanno costituito
un sistema di governo della moltitudine da cui non ci si riesce a liberare per
i suoi falsi proclami libertari e umanitari. È vero che esso, abilmente, consente un’apparente
libertà di parola ma lo fa creando un contesto in cui essa è destinata a
restare del tutto priva di effetti. L’autoritarismo presente nella vita politica
dell’Occidente, camuffato e nascosto in strutture (fortemente gerarchizzate ma
con inutili e frequenti discussioni), paraventi e cortine fumogene , si
articola intorno: a) alla Massoneria che costituisce sostanzialmente,
anche se non ufficialmente, l’organizzazione dell’ebraismo (e, in minima parte,
con esponenti del cristianesimo più intransigente) e si materializza meglio
nelle lobby finanziarie di Wall Street
e della City, b) alla Chiesa cattolica, dominata oltreche dal Papa dalla sua Curia e dall’IOR (la
sua Cassa finanziaria), c) da emiri e sultani islamici, d) dai leader di strutture partitiche, come il
fascismo e il socialcomunismo, notoriamente poco inclini a riconoscere diritti
alla libertà d’espressione all’interno di esse.
A fronte di questo coagulo di autoritarismi che domina,
finanziariamente, economicamente e politicamente, l’intera vita politica in
tutto l’Occidente, v’è una massa che è indotta a credere e a votare in maniera pecorile
e certamente stupida, politicanti che assumono di volere cambiare le cose. La domanda è: in un contesto nettamente
“autoritario” le cose possono cambiare e come? La risposta è che possono cambiare, solo se volute
dai “vertici”: per esempio negli Stati Uniti, il Presidente della Repubblica (e
anche Trump lo sa, per esperienza diretta) conta meno di CIA, FBI e Pentagono;
in Italia, per volere degli anglo-americani,
il governo del Paese è affidato alternativamente assolutisti-autoritari d.o.c:
cattolici, comunisti e, da ultimi, fascisti, dopo averli “allineati e coperti”
(come dicono i militari) sulla soglia (ovvia) marcatamente atlantica; in tutti
i Paesi Europei i servizi segreti sono sostanzialmente “filiali della CIA” e se
sono colti, come suole dirsi, con le “mani nel sacco” sono prontamente definiti
“deviati”; l’Unione Europea è governata sostanzialmente da vicerè degli
Anglo-americani che spesso per compiacere “i padroni del vapore” assumono
atteggiamenti da“sceriffi”.
3°) Per quanto riguarda l’Italia , l’elezione di
Trump significa poco o nulla. In primo luogo perché i leader di tutti i suoi partiti, com’è
nell’italica tradizione di trasformismo, andranno, per dirla con Flaiano, “in
soccorso del vincitore” salendo sul suo carro (non so se Donald accoglierà
anche Giuseppe Conte, ritenendolo legato, non solo come esponente del Movimento
5Stelle alla Massoneria italiana più strettamente legata al Partito Democratico
statunitense). In secondo luogo, perché, a livello di massa, non v’è alcun
segnale che la gente abbia acquisito lucidità, persuasione (in un sussulto di
razionalità) circa la necessità di liberarsi di tutte le utopie irrazionalidiffuse in venti secoli dai tre monoteismi
religiosi mediorientali e dai due orientamenti politici germinati
dall’idealismo platonico, post-platonico e teutonico di fine Ottocento. Credere in un pur possibile cambiamento rischierebbe
di diventare un’utopia per la sua prevedibile irrealizzabilità. Difatti: anche se ormai l’idea di una decadenza
senza rimedio dell’Occidente si va, diffondendo in maniera progressiva”, la
persistenza nella cultura ancora vivente dell’Occidente delle vecchie e
anchilosate ideologie dette di destra, di sinistra e di centro continua a
impedire una comprensione della realtà libera dai condizionamenti (inconsci)
dei vecchi schemi che hanno offuscato per decenni la mente di militanti
democristiani e di altri partiti cosiddetti moderati di centro, oltre che
soprattutto di fascisti e socialcomunisti. La gente continua a non affrontare i
problemi per quel che rappresentano ma avversandoli o auspicandone il successo
a seconda della parte politica da cui provengono. Con gente siffatta invocare
la razionalità è fatica persa.