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giovedì 14 novembre 2024

MEDITAZIONI POETICHE
di Luciano Pirrotta


 
Breve nota a margine del libro di Lidia Sella Una terrazza sul cosmo.  
 
La scrittura è, parimenti ad altre pratiche d’arte, un tentativo di dare ordine, mediante la forma, al flusso caotico dei pensieri e delle immagini. Questa esigenza di rigorosa disciplina e di continuo perfezionamento si palesa puntigliosamente nella produzione aforistica, poetica, filosofico-letteraria di Lidia Sella. Ne rende conto la quinta edizione riveduta e ampliata di Una terrazza sul cosmo. Meditazioni poetiche o, invertendo la formula del sottotitolo, poesia meditante. È come se l’autrice perseguisse il compito autoimposto di una strenua messa a fuoco lessico-concettuale delle proprie ispirazioni, volta a ridurre via via qualsivoglia margine di residua insoddisfacente cifra espressiva. Estraendo dalla partitura Immagini (dentrofuori): “Nella mente / si fa strada a poco a poco/ la frase perfetta / evita i sentieri inclini al caos / penetra nel midollo del significato / improvvisi bagliori accende.” (Generazione spontanea). E, ancora, da Riflessioni (dentrofuori): “Lo scrittore che rivede un proprio testo miriadi di volte / è vittima di un’autocritica esasperata. / Saggia di continuo la tenuta logica dei concetti […]”. Ci rimanda a l’Ungaretti di Commiato: “Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso.”, oppure alla pagina esemplare dei Quaderni di Malte rilkiani, da citare almeno nei passi essenziali: “Per un solo verso si devono vedere molte città, uomini e cose, si devono conoscere gli animali, si deve sentire come gli uccelli volano, e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono al mattino. Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e a separazioni che si videro venire da lungi, a giorni d’infanzia […] ai genitori […] a giorni in camere silenziose […] e a mattine sul mare […] a notti di viaggio […] Si devono avere ricordi di molte notti d’amore, nessuna uguale all’altra […] E anche avere ricordi non basta. Si deve poterli dimenticare, quando sono molti, e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino. Poiché i ricordi di per sé stessi ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso”.
Culto della parola - analogamente - in Lidia Sella. Ma, pure, cura delle sapienti pause, delle cadenze, delle immagini decantate, dei simboli prescelti. Tutto ciò, però, calato in scansioni di lucidità ferrea, senza sbavature, perché “L’anima perirà insieme al corpo / da me si leverà forse solo uno sciame di atomi.” (Il setaccio). Nessuna immortalità post mortem dunque, nessun premio o castigo ultraterreno e conseguente speranza o timore, bensì soltanto immersione mistica nella contingenza degli ‘accidenti’, a fronte di una ‘sostanza’ magmatica inattingibile; dacché qualsiasi rappresentazione che evidenzi la distanza fra realtà ordinaria e fantasticato sovramondo, insofferente delle miserie del quotidiano, sottende comunque la tabe metafisica. E l’autrice ha sempre optato per la fisica, ad onta di ogni metafisica consolatoria: “Ateismo: / il coraggio / d’un’eterna / immensa / solitudine.” (in: La figlia di Ar - Appunti interiori). A testimoniarlo il posizionamento assiduo, in esergo, di passi di Empedocle, Lucrezio, Maxwell, Born. E tuttavia si cadrebbe in errore se il ricorrente impiego del termine “nulla” facesse dedurre, in Sella, derive nichilistiche; è invece proprio l’opposto. Ci si trova piuttosto di fronte, in lei, alla versione nietzscheana del nihil del cui antiteologismo cristofobico si dichiara proselita (“L’Anticristo di Nietzsche: il mio vangelo”, in: Pallottole): il nulla non è il vuoto, non è ni-ente, ma - esclusivamente - negazione dell’individuale, della sua eternità di soggetto: nullus non-ullus non alcuno, cioè assenza di determinazioni, quelle che gli illusi delle tre ‘religioni del Libro’ intendono a tutti i costi salvaguardare nell’Aldilà’, per anestetico e soporifero autoinganno. Se proprio la speculazione heideggeriana ha denunciato nella radice nichilistica della metafisica il drammatico destino dell’Occidente, occorrerà riconoscere nell’antimetafisica “selliana” una intrepidezza eroica, una terrestrità intrisa di profonda spiritualità laica, un grande amore per la vita che le consente di guardare con coscienza tragica e dignità - scevra da puntelli e appigli fideistici - verso l’esistenza, grumo infinitesimale vocato alla morte. Ne risalta il dolente disincanto e lo sguardo fermo al sistema universo, inteso quale fecondo magma caotico, pienezza assoluta dove tutto si rimescola ed eternamente finisce e rinasce. Decentrata, si profila l’umana condicio consegnata allo status di deiezione e ‘gettatezza’ (Geworfenheit, heideggerianamente) da percorrersi a testa alta, nella consapevolezza drastica della sorte di isolamento cui ciascuno è consegnato.
Ogni opera letteraria porta seco l’incompiutezza intrinseca, la significazione interrotta che pur significandola rinvia all’infinita ulteriorità dilatoria. Da qui il sogno vano dell’artefice di un’irragiungibile completezza, inseguita attraverso il fantasmatico miraggio della composizione ‘organica’. Lidia Sella, di contro, opta per la soluzione inversa: la frantumazione aforistica, il lampeggiamento di immagini còlte nella loro sfuggente pregnanza non priva di allusività. Fissare la fluidità del mercurio ermetico, avrebbero detto gli alchimisti. A chiusa di questa rapida ricognizione, per una debita comparazione torna opportuno richiamare alla memoria - di nuovo Rilke - la missiva indirizzata alla moglie, in cui parla della visita fatta nel 1902 all’atelier dello scultore Rodin. Qui, l’osservazione di alcuni frammenti marmorei accatastati alla rinfusa, riproducenti parti di corpo umano, lo spinge dapprima a coglierne l’aspetto disarticolato ma, a uno sguardo più attento, gli stessi pezzi vengono man mano a delinearsi singolarmente, come manufatto compiuto, maggiormente ricco rispetto al loro eventuale assemblaggio, nella giustapposizione di una figurazione corporea ultimata. La medesima cosa si potrà riscontrare nei ‘disiecta’ di Lidia Sella. Necessiterà allora leggerli, rileggerli e meditarli a lungo, per potervi cogliere appieno la cristallina armonia, la sensibilità, la profondità e la silenziosa bellezza.