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venerdì 6 dicembre 2024

BAJ A PALAZZO REALE
di Alberto Figliolia
 

Quand’ero piccolo vedevo le sfilate, le parate militari, la fanfara, le piume dei bersaglieri, le bandiere al vento ed ero felice. La guerra manco sapevo cos’era. Ora so che ci sono i generali a Mosca come a Washington, Parigi, Saigon, Roma e Pechino. (Enrico Baj)
 
Il paradosso, l’assurdo, l’ironia sono le uniche difese rimaste all’umanità. (Enrico Baj)
 


E sfilano i ritratti dei Generali - quei Generali distruttori (che non stanno mai però in prima linea con i fanti: sono sufficienti i cannocchiali per osservare fuoco e combattimenti): basti pensare ai massacri del conflitto 1915-18, ma è una triste condizione e situazione universale, senza tempo, e sarebbe più consono scriverli con la g - con il loro bagaglio di tintinnanti medaglie-patacca e nastrini assortiti in primi piani di crudezza tragicomica o in parate di vacuità e vanagloria. L’antimilitarismo di Enrico Baj era radicale, drastico - e come dargli torto pensando all’intrico siriano, alla catastrofe Palestina-Israele-Libano, al disastro Russia-Ucraina, alla dispersione di vite, energie, beni che la maledetta guerra è? Il suo antibellicismo/pacifismo trovava espressione e ragione nelle fantasiosissime figurazioni di cui era straordinario e splendido artefice, nei geniali assemblaggi di un’azione artistica fantasmagorica, poetica e civile, in continuo fermento intellettuale e antiretorica per eccellenza. E in questi tempi di guerra permanente, dove bombe e armi tecnologicamente sofisticate continuano a versare sangue innocente - una ecatombe infinita - acquista ancora più spessore l’impegno estetico ed etico di Baj.



Baj chez Baj è la mostra allestita nella rovinosa magnificenza della Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, là dove venne già esposta nel 1953 Guernica di Picasso. Una scelta indovinatissima, vieppiù confermata dalla posizione dominante, centrale, che hanno I funerali dell’anarchico Pinelli, “(...) un capolavoro dove forma e contenuto vanno di pari passo, dove l’evento storico è sublimato in una dimensione assoluta”. Un’opera “controversa”, monumentale, in cui si rivive un dramma epocale e una tragedia individuale, quella di un innocente precipitato - un libertario pacifista amante di Spoon River, uno che era stato partigiano - dalle finestre di un luogo dello Stato dov’era trattenuto senza i crismi della Legge. Ci si siede innanzi alla scena apocalittica che penetra occhi e anima e coscienza. Una congerie di sagome e volti con le più diversificate espressioni: indifferenza, rabbia, sgomento, terribile meraviglia, apatia, impotenza, raccapriccio, dolore… Aguzzini e vittime sotto un cielo di pietra, segmentato; sopra un tappeto di scarti e rifiuti. 



Imponente. Potrebbe dirsi anche “incantevole” se la tragedia non fosse lì, sospesa - sospesa e pur definitiva, ineluttabile - in quell’ultimo interminabile volo prima del crudo e crudele asfalto, in quel grido rotto che spacca lo spirito di chi, indifeso, inerme o inetto, osserva, nei nudi seni di dolore della donna piegata, piagata, che guarda e veramente nulla può. Un manifesto.
Peraltro l’Apocalisse che accoglie il visitatore all’ingresso, un potente work in progress durato anni di fatica e creatività, introduce al capolavoro dei Funerali. Linguadicazzo, il Patacanguro, la Sirena dell’isola di Patmos, lo Squonk - “tratte dalle acqueforti con cui aveva illustrato nel 1973 il Manuale di Zoologia fantastica di Jorge Luis Borges, raro esempio di derivazione di opere uniche da opere grafiche (mentre più consueto è il contrario)” - insieme con la moltitudine di figure compongono un mosaico che sta fra il comico e l’agghiacciante nel miglior stile e ispirazione di Baj.



Il tema dell’Apocalisse fu scoperto da parte di Baj grazie agli Otto peccati capitali della nostra civiltà di Konrad Lorenz (fra cui “sovrappopolazione, indottrinamento e pericolo atomico”). Dall’Apocalisse di Giovanni ai Trionfi della morte medioevali, dall’Inferno dantesco alle allucinate visioni boschiane. Oltre 200 sono le sagome della gigantesca costruzione. “In tale delirio tragicomico, affronta infatti le nostre paure esorcizzandole con una sana risata. Nell’allegria del suo folle naufragio si condensa l’idea di un inferno sociale dal retrogusto grottesco e si percepisce l’atmosfera surreale di un luogo sinistro, come un ballo in maschera”. 



Proseguendo in questo zigzag di visita patafisico - La Patafisica è la scienza delle soluzioni immaginarie. La materia ha più immaginazione di noi (Giorgio Kaisserlian) - si succedono:
- Gli ultracorpi. “Da una materia argillosa, viscida e attaccaticcia, germinano piccoli golem orfani, creature invertebrate con grandi teste issate su corpi barcollanti, che muovono passi incerti nella notte della ragione”. Dischi volanti su paesaggi lacustri… “Gli ultracorpi mutanti di Baj sono l’allegoria di qualsiasi potere esercitato dall'alto, ma che, silenziosamente, penetra nella nostra quotidianità”;


- i Meccano dai montaggi farseschi nonostante l’apparente anonimità metallica. Lo spaesamento indotto dall’algido esercizio del potere.
- i Mobili e gli Specchi. Collage di specchi, rotti o tagliati, che divengono nell'assemblaggio autentici personaggi: “in un gioco ambiguo fra realtà e percezione, gli Specchi (entri e non sai se ne uscirai, N.d.A.) mettono lo spettatore di fronte al proprio doppio, che si frantuma e si moltiplica”, un antropomorfismo caricaturale, ma inquietante, realizzato con impiallacciature, intarsi, interruttori. Un domestico che non rassicura affatto, sebbene paia muovere al sorriso (o a una smorfia?), come una minaccia in agguato nell’ombra;
- le Dame. Compagne dei Generali nella primitività psichica prima, poi indipendenti, ma segnate da connotati ambigui, di negatività sociale ed esistenziale;
- le Dame idrauliche, le Donne-fiume, create con l’utilizzo di passamanerie, sifoni, tubi, valvole, guarnizioni. La donna è un fiume. Se si innamora è un fiume in piena. Se straripa fa danni ingenti. L’impeto della donna è pari a quello dei grandi fiumi. […] La donna partorisce acqua viva, ipse dixit;
- il Kitsch, ovvero della “bulimia della cultura di massa” in “un sistema che tutto osserva, controlla e manipola”.



Niente male per un laureato in Legge, capace di deviare da percorsi precostituiti tracciandosi fra influenze picassiane e del Surrealismo nuovi itinerari, tessendo inedite trame. Baj collaborò con Lucio Fontana, Piero Manzoni, Yves Klein; fondò l'Istituto Patafisico milanese con Arturo Schwarz, Paride Accetti, Roberto Crippa, Alik Cavaliere e con l’intervento di Raymond Queneau; ebbe rapporti con Umberto Eco, Italo Calvino, Edoardo Sanguineti; scrisse per giornali e riviste e compilò libri. Superfluo aggiungere di quante mostre fu protagonista e a quante partecipò in Italia e altrove, nel vasto mondo.
E, ancora, lo Spazialismo, la Pittura nucleare, con la sua speculazione sull’universo e sul microcosmo, la “galassia subatomica”, con gli elementi della fisica quantistica, per inesplorati orizzonti. Associazioni e ricomposizioni nella logica del libero pensiero. Demiurgico e liberatorio.
Le forme si disintegrano: le nuove forme dell’uomo sono quelle dell’universo atomico, le forze sono cariche elettriche… La verità non vi appartiene: essa è nell’atomo. La pittura nucleare documenta la ricerca di questa verità (Manifesto della pittura nucleare). La pittura nucleare vuol esser la visione intuitiva di un mondo in cui la materia diventa energia che si riproduce indefinitamente. L’artista propone di farci partecipare a questo slancio cosmico di liberazione (Giorgio Kaisserlian).


 
I pittori che vogliono rinnovare l’arte cominciano ad abbandonare gli ormai stanchi soggetti aulici, retorici e celebrativi. In loro vece propongono come fa Courbet, soggetti veri, popolari e borghesi, che rappresentano una nuova realtà sociale, quella della gente comune, senza tanti re e imperatori. L’arte tende alla libertà, a una grande emancipazione e indipendenza. (Enrico Baj)
 
L’allegria può distruggere il sistema perché al contrario delle nuove venerate divinità rispondenti ai nomi di Produzione e Consumo, essa è limite, è regola interiore, è contentezza di sé e di cose semplici: non per miseria mentale, ma per saggezza. (Enrico Baj)
 
Lasciamo la chiusa a dei versi (nella forma di un tautogramma “imperfetto”) di Edoardo Sanguineti che perfettamente si attagliano alla materia: rugge rachitico/ il rospo ruspante/ rovescia il rodomonte rampicante:/ ruscella raffi a raffiche il rétro, / ruderi di rubini rococò:/ rinasceranno, rinculando, i re, / rispolverando, rigidi, il rapé:/ ruvida roccia di ricci rossicci/ rompe rogne di ragni in raccapricci.

 
E a un’ultima considerazione critica di Alain Jouffroy: Baj ha disegnato, nel corso di mezzo secolo, una circonferenza in cui ogni sorta di stupidità, ogni sorta di vanità, ogni sorta di aggressività e violenza sono combattute con lo stesso umorismo destabilizzante, la stessa risata liberatoria, la stessa rigoroso volontà.
 
Una mostra felicemente spiazzante nonché ottimamente allestita. Per divertirsi; per ribellarsi all’ideologia piatta, stantia, disumana, che vorrebbero imporci; per pensare.
 

Baj chez Baj, mostra a cura di Chiara Gatti e Roberta Cerini Baj    
Palazzo Reale, Piazza Duomo, Milano, fino al 9 febbraio 2025.
Orario: da martedì a domenica dalle 10 alle 19,30
giovedì dalle 10 alle 22,30