Nel corso
della sua straordinaria esistenza Eugenio Borgna ha illuminato molte vite. Lo
ha fatto con quella semplicità disarmante che solo i grandi “cuori” di taglio
scheleriano sanno comunicare. La gratitudine è il primo sentimento, ma non
l’unico, che sia immediato provare nei suoi confronti, per l’instancabile
esploratore dell’Arcipelago delle
emozioni che parlava a tutti e non temeva di farlo, sebbene fosse
all’Ospedale Maggiore di Novara primario emerito di Psichiatria, disciplina di
cui incarnava con l’anima più pura il rigore metodologico e clinico, e libero
Docente in Clinica delle malattie nervose e mentali all’Università di Milano.
Era tra l’altro Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica Italiana.
Non cesserà mai però di essere molto di più di tutto questo: un “buono” come
solo i “felici” possono davvero essere, per impiegare di nuovo, nella loro
accezione più elevata e meno scontata, dei termini di Scheler, un filosofo da
lui amatissimo. Una persona, Borgna, dall’immensa cultura, elegante e agile,
nondimeno, scattante, come uno scalatore di montagne rispetto al quale si
arranca, scoprendo all’improvviso di avere il fiato corto. Avevo provato questa
sensazione quando, dopo anni di letture borgnane, che mi accompagnano dalla mia
più giovane età, ebbi finalmente occasione di incontrarlo di persona a
Bellinzona, nel 2006, dove entrambi tenevamo una relazione nell’ambito di un Corso Postdiploma in “Medical Humanities” organizzato dalla Scuola Universitaria
Professionale della Svizzera Italiana e dalla nostra generosa ospite, Guenda
Bernegger. Facemmo il viaggio di ritorno in Italia, lui a Novara, io a
Milano, in treno assieme. Lui rinunciò al suo biglietto di prima classe e si
sedette vicino a me, in seconda classe. La conversazione che intrattenni con
lui, lunghissima, intensa e dal sapore tragicomico o comicotragico che solo
certe pagine di Thomas Bernhard possono restituire, rimane uno dei ricordi più
belli e ben scolpiti della mia esistenza. Da allora è sempre stato presente
nella mia vita, prima con lettere come si scrivevano una volta, poi con e-mail.
Dovrò abituarmi alla nuova forma di presenza, fondamentale, che continuerà ad
avere in questa mia stessa esistenza, comunque da oggi più povera. Gratitudine
e ammirazione prevalgono, sui mille vissuti emotivi e sulle risonanze che
risveglia la sua voce inimitabile, davanti a una simile rara creatura, avvolta
nel più eloquente silenzio e disposta, insieme, all’ascolto, capace della
massima attenzione nei confronti dell’estraneità che abita ognuno di noi e di
ogni possibile genuino interlocutore, e una gioia antica, indomita, sale, nel
momento addirittura estremo, una gioia commossa, pudica. Nasce dalla fortuna,
enorme, di averla incontrata sul proprio cammino, questa figura così poco
ordinaria in un paese conformista e sguaiato, talvolta, privo per larghi tratti
di ideali, e in un ambito per sua stessa natura votato alla mera forma come
quello accademico. In Borgna, nel “nostro” Eugenio Borgna, spiccano la grande,
grandissima umanità, la dignità, e una curiosità viva nei confronti di ogni
forma di sapere, un amore, sempre pronto a essere condiviso, per la poesia, la
letteratura, il cinema, la filosofia, per la gentilezza che in lui trovava il
suo migliore interprete. Gratitudine ancora per i suoi innumerevoli lavori
corali, nel rispetto di ogni autore e di ogni autrice citati, per le pagine
limpide dedicate «alla comprensione e alla difesa della vita psichica», anche
quando il mondo, della scienza e della cultura, della società, se ne andava a
rotta di collo in una direzione diversa da quella paziente della ricerca del
senso della sofferenza psichica; per la sua mitezza che, con la gentilezza,
«scorreva temeraria»; per la speranza, che in lui davvero aveva il potere di
«abbattere i muri»; per i suoi occhi vivaci, ironici, intelligentissimi che
sapevano guardare in profondità e invitare alla Resistenza.