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venerdì 27 dicembre 2024

BILDEBERG 2025: IL LASCITO DELLA GUERRA
di Franco Astengo



Riprendiamo dal sito dell’Huffington Post: Jens Stoltenberg, ex segretario generale della Nato, diventa il co-presidente del Club Bilderberg. Sostituisce l’economista olandese e consigliere di Goldman Sachs Victor Halberstadt, scomparso pochi mesi fa. La notizia, segnala più di altre i tempi di guerra e di tensione che vive il mondo. Dopo dieci anni vissuti alla guida dell’Alleanza Atlantica, in precedenza primo ministro della Norvegia, Stoltenberg sarà anche da febbraio il presidente della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, altro importante simposio su difesa e diplomazia.
 


Ricordiamo di che cosa si tratta per chi avesse eventualmente smarrito memoria:
Dal 1954 e una sola volta all'anno, un gruppo ristretto di persone si ritrova per decidere segretamente il futuro politico ed economico dell'umanità. Nessun giornalista ha mai avuto accesso alle riunioni che fino a poco tempo fa si sono svolte presso l'Hotel Bilderberg, in una piccola cittadina olandese. Molti partecipanti al gruppo Bilderberg sono capi di Stato, ministri del tesoro e altri politici dell'Unione Europea ma prevalentemente i membri sono esponenti di spicco dell'alta finanza europea e anglo-americana. Gli organizzatori della conferenza, tuttavia, spiegano questa loro scelta con l'esigenza di garantire ai partecipanti maggior libertà di esprimere la propria opinione senza la preoccupazione che le loro parole possano essere travisate dai media.


 


Questa nomina sottolinea il vero lasciato di questo 2024:
È cambiato il concetto di “guerra” dal punto di vista della concezione della “modernità” e della possibilità di giustificare storicamente, e anche dal punto di vista filosofico, l’evento bellico. La fase che stiamo attraversando appare proprio quella del superamento del ruolo degli USA a disporre da soli dello “ius ad bellum”: in questo periodo la guerra è rientrata in circolazione come moneta sonante del pagamento dell’azione politica anche nell’area europea, sia a livelli sub-statuali (quella definita come “terrorismo”) intrecciati a livelli sovra-statuali (appunto il già citato “scontro di civiltà”). In questo quadro, contraddistinto proprio dall’unicità di presenza di una sola superpotenza, quella statunitense e a fronte della già ricordata palese obsolescenza del sistema di legalità internazionale fondato sull’ONU, si era ricorsi ad un uso “normalizzante” della guerra: quella “asimmetrica” contro il cosiddetto terrorismo, quella “umanitaria” che oltrepassava il principio di non ingerenza; quella “preventiva” che andava oltre il divieto della guerra d’aggressione, fino alla guerra “per la democrazia” che si fondava sull’ipotesi che vi fossero nessi cogenti fra la qualità interna di un ordine politico e la sua propensione alla guerra, e che in un mondo democratizzato” all’occidentale” le guerre sarebbero state impossibili. Dal cappello dell’apprendista stregone di questi concetti sono sorti, non tanto improvvisi, mostri dalle diverse teste: sono ormai saltati quei principi che la teoria e la filosofia politica avevano ricercato per creare le condizioni e le modalità di una possibile “guerra giusta” (un ideale inseguito fin dalla prima filosofia cristiana in Agostino e poi nella Scolastica da Tommaso): limiti dell’ingerenza in difesa dei diritti umani; proporzione degli atti di guerra rispetto alle offese da riparare; problema della liceità delle armi di distruzione di massa. 



La scienza politica aveva affrontato, da parte sua, il problema attraverso i metodi e le categorie dell’idealismo e del realismo, attraverso le nozioni di equilibrio e di egemonia. Oggi tutta questa impalcatura teorica e ideologica sembra saltata e siamo alla guerra globale dove è saltata la distinzione fra guerra e terrorismo, tra civili e militari, nella legittimazione evidente della "pulizia etnica". La scena internazionale appare così percorsa da innumerevoli conflitti di vario livello e diversa intensità, con base su sfondi apparenti anche diversi da quelli di tipo economico come quelli religiosi o identitari. Quale migliore occasione allora per “ripristinare l’ordine” per via bellica da parte di chi intende affermare un nuovo multipolarismo concepito in modo tale da usarne i meccanismi per puntare al recupero del bipolarismo presentandosi come il propugnatore di un diverso equilibrio rispetto a quello imperniato su di una sola superpotenza?
Potrebbe esser questo il tema all’ordine del giorno nei prossimi mesi, attorno al quale riflettere soprattutto da parte di chi sa benissimo che non è proprio il caso di cadere nella trappola dello “scontro di civiltà” e che la logica dominante rimane quella dello sfruttamento dell’uomo e del pianeta e che in gioco c’è proprio la libertà di poter disporre a proprio piacimento della facoltà di sfruttare al massimo dell’intensità senza tener conto della necessità di un equilibrio riguardante la presenza (ormai a rischio) del genere umano sul pianeta.