BILDEBERG 2025: IL LASCITO DELLA GUERRA di
Franco Astengo
Riprendiamo
dal sito dell’Huffington Post: Jens Stoltenberg, ex segretario generale della Nato, diventa il
co-presidente del Club Bilderberg. Sostituisce l’economista olandese e
consigliere di Goldman Sachs Victor Halberstadt, scomparso pochi mesi fa. La
notizia, segnala più di altre i tempi di guerra e di tensione che vive il
mondo. Dopo dieci anni vissuti alla guida dell’Alleanza Atlantica, in
precedenza primo ministro della Norvegia, Stoltenberg sarà anche da febbraio il
presidente della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, altro importante
simposio su difesa e diplomazia.
Ricordiamo di che cosa si tratta per chi avesse eventualmente
smarrito memoria: Dal 1954 e
una sola volta all'anno, un gruppo ristretto di persone si ritrova per decidere
segretamente il futuro politico ed economico dell'umanità. Nessun giornalista
ha mai avuto accesso alle riunioni che fino a poco tempo fa si sono svolte
presso l'Hotel Bilderberg, in una piccola cittadina olandese.Molti partecipanti al
gruppo Bilderberg sono capi di Stato, ministri del tesoro e altri politici
dell'Unione Europea ma prevalentemente i membri sono esponenti di spicco
dell'alta finanza europeae
anglo-americana.Gli
organizzatori della conferenza, tuttavia, spiegano questa loro scelta con
l'esigenza di garantire ai partecipanti maggior libertà di esprimere la propria
opinione senza la preoccupazione che le loro parole possano essere travisate
dai media.
Questa
nomina sottolinea il vero lasciato di questo 2024: È cambiato il concetto di “guerra” dal punto di vista della
concezione della “modernità” e della possibilità di giustificare storicamente,
e anche dal punto di vista filosofico, l’evento bellico.La
fase che stiamo attraversando appare proprio quella del superamento del ruolo
degli USA a disporre da soli dello “ius ad bellum”: in questo periodo la guerra
è rientrata in circolazione come moneta sonante del pagamento dell’azione
politica anche nell’area europea, sia a livelli sub-statuali (quella definita
come “terrorismo”) intrecciati a livelli sovra-statuali (appunto il già citato
“scontro di civiltà”).In questo quadro,
contraddistinto proprio dall’unicità di presenza di una sola superpotenza,
quella statunitense e a fronte della già ricordata palese obsolescenza del
sistema di legalità internazionale fondato sull’ONU, si era ricorsi ad un uso
“normalizzante” della guerra: quella “asimmetrica” contro il cosiddetto
terrorismo, quella “umanitaria” che oltrepassava il principio di non ingerenza;
quella “preventiva” che andava oltre il divieto della guerra d’aggressione,
fino alla guerra “per la democrazia” che si fondava sull’ipotesi che vi fossero
nessi cogenti fra la qualità interna di un ordine politico e la sua propensione
alla guerra, e che in un mondo democratizzato” all’occidentale” le guerre
sarebbero state impossibili.Dal cappello
dell’apprendista stregone di questi concetti sono sorti, non tanto improvvisi,
mostri dalle diverse teste: sono ormai saltati quei principi che la teoria e la
filosofia politica avevano ricercato per creare le condizioni e le modalità di
una possibile “guerra giusta” (un ideale inseguito fin dalla prima filosofia
cristiana in Agostino e poi nella Scolastica da Tommaso): limiti dell’ingerenza
in difesa dei diritti umani; proporzione degli atti di guerra rispetto alle
offese da riparare; problema della liceità delle armi di distruzione di massa.
La scienza politica aveva affrontato, da parte sua,
il problema attraverso i metodi e le categorie dell’idealismo e del realismo,
attraverso le nozioni di equilibrio e di egemonia.Oggi tutta questa impalcatura teorica e ideologica sembra
saltata e siamo alla guerra globale dove è saltata la distinzione fra guerra e
terrorismo, tra civili e militari, nella legittimazione evidente della
"pulizia etnica".La scena
internazionale appare così percorsa da innumerevoli conflitti di vario livello
e diversa intensità, con base su sfondi apparenti anche diversi da quelli di
tipo economico come quelli religiosi o identitari.Quale migliore occasione allora per “ripristinare l’ordine”
per via bellica da parte di chi intende affermare un nuovo multipolarismo
concepito in modo tale da usarne i meccanismi per puntare al recupero del
bipolarismo presentandosi come il propugnatore di un diverso equilibrio
rispetto a quello imperniato su di una sola superpotenza? Potrebbe esser questo il tema all’ordine del giorno nei prossimi
mesi, attorno al quale riflettere soprattutto da parte di chi sa benissimo che
non è proprio il caso di cadere nella trappola dello “scontro di civiltà” e che
la logica dominante rimane quella dello sfruttamento dell’uomo e del pianeta e
che in gioco c’è proprio la libertà di poter disporre a proprio piacimento
della facoltà di sfruttare al massimo dell’intensità senza tener conto della
necessità di un equilibrio riguardante la presenza (ormai a rischio) del genere
umano sul pianeta.