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sabato 7 dicembre 2024

CHUCHILL AT WAR: UN SERIAL DA VEDERE  
di Luigi Mazzella


Churchill

Churchill at war (Churchill in guerra) è un serial di quattro episodi, in parte recitato da attori professionisti e in parte ricavato da spezzoni documentaristici, rielaborati digitalmente (a colori), programmato in streaming da NETFLIX che sembra creato appositamente per spiegare, al colto e all’inclita, il fenomeno Donald Trump, raccontando di un altro “caratteraccio” della Storia Occidentale. Il Churchill della serie è descritto certamente come un individuo di eccezionale intelligenza politica, di grande temperamento e di forte carattere, di prevaricante e prepotente personalità, di pungente e caustica ironia (ma anche di teneri affetti familiari) ma è terribilmente ostico e difficile da trattare non solo per i nemici come Adolf Hitler e Giuseppe Stalin ma anche per gli amici come Franklin Delano Roosevelt che, negli ultimi tempi, a mala pena lo tollerava. Riconosciuto “grande” per la sua lucidità politica (dalla Storia e dopo la sua morte) ma denigrato in vita, in patria e fuori, da pennivendoli e politicanti da dozzina (e dagli stessi elettori se, nelle prime votazioni a guerra finita, gli fu preferito il modesto Clement Attlee) il Winston Churchill che emerge dalla storia narrata (che detto, per inciso, ignora del tutto la presenza e il ruolo dell’Italia e di Mussolini nella Seconda guerra mondiale, (tamquam non esset) rappresenta ai miei occhi una conferma dell’irrazionalità  che contraddistingue tutta la vita dell’Occidente. 



La mia tesi è che sia molto difficile prevedere che cessi all’improvviso l’assuefazione degli Occidentali all’irrazionalismo (anche il più folle) dopo l’abitudine contratta, per oltre due millenni, di credere in fole e utopie, religiose e politiche, dimostratesi non solo irrealizzabili (com’era prevedibile) ma portatrici di morti e di distruzioni (superiori in misura enorme al previsto). Credo che il cancro di cui è affetto l’Occidente (con le sue guerre a gogò avviate dalle potenze egemoni, con i suoi genocidi, stermini, attentati terroristici e quant’altro) potrebbe essere curabile solo se i suoi abitanti riprendessero l’abitudine di “pensare” (secondo l’insegnamento della filosofia presocratica e sofista) ai problemi dell’unica vita razionalmente credibile e, nei fatti, concreta e reale (quella terrena) e abbandonassero quella di “credere” nell’irrealtà di mondi fantasiosi (iperuranici, post-rivoluzionari  o ultra terreni). Purtroppo, sia nel Vecchio e sia nel Nuovo Continente, tutti appaiono totalmente  indifferenti alla ricerca delle cause di tanto sfacelo (che sembra non avere equivalenti nel resto del globo) e senza ricerca delle cause non v’è terapia immaginabile.


Camus


Un tentativo di approfondire il tema, sia pure soltanto sotto un aspetto limitato e particolare, è stato fatto da Albert Camus con L’homme révolté (L’uomo in rivolta) con la previsione che le ideologie (chiaramente sia di destra che di sinistra) a causa del loro carattere totalitario e con la pretesa giustificazione della violenza in nome di un fine superiore nonché del sacrificio dell’individuo per il bene collettivo, potessero trasformarsi in dittature a seguito di rivoluzioni politiche. Così come, aggiungo io, anche gli assolutismi di natura religiosa possono generare atti di terrorismo, governi fortemente autoritari e guerre sante. Ciò che Camus non ha considerato esplicitamente è che, anche senza giungere alla “patologia” e alla “degenerazione” della loro natura iniziale, gli assolutismi, ideologici e religiosi, attraverso i loro possibili incroci, innesti, coinvolgimenti reciproci, sono in grado di stravolgere, nella vita ordinaria e di apparente normalità quotidiana, la razionalità nel comportamento di una massa enorme di individui, condizionandone fortemente la  capacità di convivere nel rispetto della dignità e della libertà umana. 



In definitiva, io ritengo che non sia necessario attendere la comparsa della malattia degenerativa degli assolutismi ideologici e religiosi per cogliere il pericolo insito in ogni credenza utopica per sua natura “totalizzante”. In altri termini, anche senza i bubboni della peste nazista e comunista e quelli dei genocidi e stermini motivati dalla diversità religiosa la vita quotidiana in Occidente resta pur sempre “minata” e in grado di scoppiare da un momento all’altro per quanto “annacquate” e “innocue” possano apparire quelle ideologie in abiti cosiddetti democratici. L’irrazionalismo resta, nel profondo, e condiziona aprioristicamente ogni scelta anche sul più semplice dei problemi della res publica. (Si è a favore o contro a seconda della scelta del nemico irriducibile da combattere).


Blair

Trovo, cioè, che la nostra società contemporanea e di avanzata tecnologia si muova, in Occidente, in un clima di precarietà totale e di pericolo costante, oltre che nella confusione operativa di chi abbia un pensiero deviato dall’irrazionalità.
Per usare una terminologia tradizionale, pure essendo convinto che gli aggiornamenti lessicali, terminologici e concettuali richiedono, oggi, una tempestività diversa da quella in uso nei tempi andati potrei dire che viviamo in un clima “da basso impero”, anche se oggi non possiamo  riferirci all’esistenza di un’entità statale costituita da un esteso insieme di territori e/o di popoli diversi (per lingua, religione, origine etnica, usi e costumi) a volte anche molti lontani ma sottoposti ad un’unica autorità rappresentata da una persona fisica detta “imperatore”. Tale terminologia sarebbe certamente d’altri tempi e puzzerebbe di stantio ma nella sostanza esprimerebbe la situazione dell’Occidente, oggi, che esso costituisce una vasta aggregazione di Paesi egemonizzata dagli gli Stati Uniti d’America (con l’appendice del Regno di Gran Bretagna) dove tutto avviene per spinte del tutto irrazionali.



Concludo, dicendo che l’Occidente, lungi dall’esserne la culla, può rappresentare, in un futuro non so quanto prossimo o lontano, la tomba della libertà. 

E ciò per la ragione più volte detta e cioè che la sua cultura è solo un incrocio di assolutismi, astratti e intolleranti, di natura sia religiosa (monoteismi mediorientali) sia filosofica (hegelismo di destra e di sinistra, id est; fascismo e comunismo). La gente, naturalmente, ne attribuisce la causa a motivi diversi, indicati con stereotipi e parole prive del loro significato originario. E usa quei concetti desueti, blaterando di “neo-liberismo”, di danni del “capitalismo avanzato” del “populismo”, del “sovranismo”, di effetti della “globalizzazione” e di altre amenità, come armi contro presunti avversari politici, senza rendersi conto della loro inattualità e obsolescenza. Si usano tali, parole divenute prive del loro significato originario, non accettando che la realtà politica ed economica è talmente cambiata da richiedere un tipo di analisi prettamente filosofica e ben diversa da quella cui l’opinione pubblica è stata abituata, partendo dalla convinzione errata di vivere in un vero regime democratico. 



Se sul piano internazionale, c’è un blocco egemone anglo americano (con prevalenza del secondo termine sul primo) che elabora una politica definibile approssimativamente “pauperistica” che impone nei propri Paesi e in quelli dominati (quasi colonialmente) e che prescinde totalmente da indirizzi  scientifici di economisti, giuristi e altri uomini del sapere accademico, perché si sostanzia in una somma di provvedimenti idonei a tenere buono il “popolo bue”, proprio ed altrui, ciò è dovuto solo al fatto che la gente ha rinunciato a fare uso del suo raziocinio a ciò sospinta da prelati e ideologi. Questo blocco, al potere con continuità preoccupante, non crede più nell’alternanza e vagheggia una linea politica che è quella del Partito Democratico Americano e del Laburismo inglese, influenzato non a caso dal ritorno in auge di Tony Blair, consulente bene inserito nel sistema finanziario giudaico-americano.