CHUCHILL AT WAR: UN SERIAL
DA VEDERE di
Luigi Mazzella
Churchill
“Churchill
at war”(Churchill in guerra) è un serial di quattro episodi, in
parte recitato da attori professionisti e in parte ricavato da spezzoni documentaristici,
rielaborati digitalmente (a colori), programmato in streaming da NETFLIX
che sembra creato appositamente per spiegare, al colto e all’inclita, il
fenomeno Donald Trump, raccontando di un altro “caratteraccio” della Storia
Occidentale. Il Churchill della serie è descritto certamente come un individuo
di eccezionale intelligenza politica, di grande temperamento e di forte
carattere, di prevaricante e prepotente personalità, di pungente e caustica
ironia (ma anche di teneri affetti familiari) ma è terribilmente ostico e
difficile da trattare non solo per i nemici come Adolf Hitler e Giuseppe Stalin
ma anche per gli amici come Franklin Delano Roosevelt che, negli ultimi tempi,
a mala pena lo tollerava. Riconosciuto “grande” per la sua lucidità politica
(dalla Storia e dopo la sua morte) ma denigrato in vita, in patria e fuori, da
pennivendoli e politicanti da dozzina (e dagli stessi elettori se, nelle prime
votazioni a guerra finita, gli fu preferito il modesto Clement Attlee) il
Winston Churchill che emerge dalla storia narrata (che detto, per inciso,
ignora del tutto la presenza e il ruolo dell’Italia e di Mussolini nella Seconda
guerra mondiale, (tamquam non esset) rappresenta ai miei occhi una
conferma dell’irrazionalitàche
contraddistingue tutta la vita dell’Occidente.
La mia tesi è che sia molto difficile
prevedere che cessi all’improvviso l’assuefazione degli Occidentali
all’irrazionalismo (anche il più folle) dopo l’abitudine contratta, per oltre
due millenni, di credere in fole e utopie, religiose e politiche, dimostratesi
non solo irrealizzabili (com’era prevedibile) ma portatrici di morti e di distruzioni
(superiori in misura enorme al previsto). Credo che il cancro di cui è affetto
l’Occidente (con le sue guerre a gogò avviate dalle potenze egemoni, con i suoi
genocidi, stermini, attentati terroristici e quant’altro) potrebbe essere
curabile solo se i suoi abitanti riprendessero l’abitudine di “pensare”
(secondo l’insegnamento della filosofia presocratica e sofista) ai problemi
dell’unica vita razionalmente credibile e, nei fatti, concreta e reale (quella
terrena) e abbandonassero quella di “credere” nell’irrealtà di mondi fantasiosi
(iperuranici, post-rivoluzionari o ultra
terreni). Purtroppo, sia nel Vecchio e sia nel Nuovo Continente, tutti appaiono
totalmenteindifferenti alla ricerca delle
cause di tanto sfacelo (che sembra non avere equivalenti nel resto del globo) e
senza ricerca delle cause non v’è terapia immaginabile.
Camus
Un
tentativo di approfondire il tema, sia pure soltanto sotto un aspetto limitato
e particolare, è stato fatto da Albert Camus con L’homme révolté (L’uomo in rivolta) con la previsione che le
ideologie (chiaramente sia di destra che di sinistra) a causa del loro
carattere totalitario e con la pretesa giustificazione della violenza in nome
di un fine superiore nonché del sacrificio dell’individuo per il bene
collettivo, potessero trasformarsi in dittature a seguito di rivoluzioni
politiche. Così come, aggiungo io, anche gli assolutismi di natura religiosa
possono generare atti di terrorismo, governi fortemente autoritari e guerre
sante. Ciò che Camus non ha considerato esplicitamente è che, anche senza
giungere alla “patologia” e alla “degenerazione” della loro natura iniziale,
gli assolutismi, ideologici e religiosi, attraverso i loro possibili incroci,
innesti, coinvolgimenti reciproci, sono in grado di stravolgere, nella vita
ordinaria e di apparente normalità quotidiana, la razionalità nel comportamento
di una massa enorme di individui, condizionandone fortemente lacapacità di convivere nel rispetto della
dignità e della libertà umana.
In definitiva, io ritengo che non sia necessario
attendere la comparsa della malattia degenerativa degli assolutismi ideologici
e religiosi per cogliere il pericolo insito in ogni credenza utopica per sua
natura “totalizzante”. In altri termini, anche senza i bubboni della peste
nazista e comunista e quelli dei genocidi e stermini motivati dalla diversità
religiosa la vita quotidiana in Occidente resta pur sempre “minata” e in grado
di scoppiare da un momento all’altro per quanto “annacquate” e“innocue” possano apparire quelle ideologie
in abiti cosiddetti democratici. L’irrazionalismo resta, nel profondo, e
condiziona aprioristicamente ogni scelta anche sul più semplice dei problemi
della res publica. (Si è a favore o contro a seconda della scelta del
nemico irriducibile da combattere).
Blair
Trovo, cioè, che la
nostra società contemporanea e di avanzata tecnologia si muova, in Occidente,
in un clima di precarietà totale e di pericolo costante, oltre che nella
confusione operativa di chi abbia un pensiero deviato dall’irrazionalità. Per usare una terminologia tradizionale, pure
essendo convinto che gli aggiornamenti lessicali, terminologici e concettuali
richiedono, oggi, una tempestività diversa da quella in uso nei tempi andati
potrei dire che viviamo in un clima “da basso impero”, anche se oggi non
possiamoriferirci all’esistenza di
un’entità statale costituita da un esteso insieme di territori e/o di popoli
diversi (per lingua, religione, origine etnica, usi e costumi) a volte anche
molti lontani ma sottoposti ad un’unica autorità rappresentata da una persona
fisica detta “imperatore”. Tale
terminologia sarebbe certamente d’altri tempi e puzzerebbe di stantio ma nella
sostanza esprimerebbe la situazione dell’Occidente, oggi, che esso costituisce
una vasta aggregazione di Paesi egemonizzata dagli gli Stati Uniti d’America
(con l’appendice del Regno di Gran Bretagna) dove tutto avviene per spinte del
tutto irrazionali.
Concludo, dicendo che l’Occidente, lungi
dall’esserne la culla, può rappresentare, in un futuro non so quanto prossimo o
lontano, la tomba della libertà.
E ciò per la ragione più volte detta e cioè
che la sua cultura è solo un incrocio di assolutismi, astratti e intolleranti,
di natura sia religiosa (monoteismi mediorientali) sia filosofica (hegelismo di
destra e di sinistra, id est;
fascismo e comunismo). La gente, naturalmente, ne attribuisce la causa a
motivi diversi, indicati con stereotipi e parole prive del loro significato originario.
E usa quei concetti desueti, blaterando di “neo-liberismo”, di danni del “capitalismo
avanzato” del “populismo”, del “sovranismo”, di effetti della “globalizzazione”
e di altre amenità, come armi contro presunti avversari politici, senza
rendersi conto della loro inattualità e obsolescenza. Si usano tali, parole
divenute prive del loro significato originario, non accettando che la realtà
politica ed economica è talmente cambiata da richiedere un tipo di analisi
prettamente filosofica e ben diversa da quella cui l’opinione pubblica è stata
abituata, partendo dalla convinzione errata di vivere in un vero regime
democratico.
Se sul piano internazionale, c’è un blocco egemone anglo americano
(con prevalenza del secondo termine sul primo) che elabora una politica
definibile approssimativamente “pauperistica” che impone nei propri Paesi e in
quelli dominati (quasi colonialmente) e che prescinde totalmente da
indirizziscientifici di economisti,
giuristi e altri uomini del sapere accademico, perché si sostanzia in una somma
di provvedimenti idonei a tenere buono il “popolo bue”, proprio ed altrui, ciò
è dovuto solo al fatto che la gente ha rinunciato a fare uso del suo raziocinio
a ciò sospinta da prelati e ideologi. Questo blocco, al potere con continuità
preoccupante, non crede più nell’alternanza e vagheggia una linea politica che
è quella del Partito Democratico Americano e del Laburismo inglese, influenzato
non a caso dal ritorno in auge di Tony Blair, consulente bene inserito nel
sistema finanziario giudaico-americano.