Il
Direttore di Odissea, Angelo Gaccione, mi ha invitato a ricordare
Eugenio Borgna riattraversando le fasi della nostra amicizia: altri, più
titolati e competenti di me, hanno già saputo e sapranno evidenziarne l’alto
magistero intellettuale e scientifico. Il mio rapporto di familiare e reciproca
vicinanza con il Professore è iniziato intorno al 2010, in seguito ad alcune
mie recensioni. Da allora si è sviluppato e approfondito, con fasi alterne,
fino allo scorso 7 ottobre, quando con l’ultima mail mi comunicava il suo
confortante giudizio sui versi di una raccolta inedita che gli avevo fatto
leggere, informandosi affettuosamente del mio recupero fisioterapico dopo un’operazione
di protesi al ginocchio. Gli ho poi inviato una recensione all’ultimo libro L’ora
che non ha più sorelle, pubblicata sul blog SoloLibri il 24 novembre,
ottenendo dall’ affezionata e attenta segretaria Nadia l’assicurazione del suo gradimento,
insieme al rammarico di non essere in grado di rispondermi personalmente.
Voglio credere sia stato così, anche se temo fosse già molto malato. Eppure,
solo a metà luglio mi scriveva con relativo ottimismo: “Non so come
dirle ancora la mia gratitudine per questa sua presenza amica. A presto. Il suo
Eugenio Borgna”.
Decine le lettere e i biglietti che ci
siamo scambiati in questi anni, parlando di tutto: di fede e politica, di
poesia e di musica, delle nostre famiglie e dei nostri lutti, con una
confidenza che si accresceva attraverso le sue frequenti e lunghissime
telefonate. Ci scambiavamo le pubblicazioni, le sue accompagnate sempre da un
biglietto scritto con una grafia tonda, larga, generosa, e con termini di
squisita gentilezza, a volte addirittura di estrema umiltà, quasi dovesse scusarsi
di aver osato sconfinare da psichiatra nel campo della letteratura. Nel volume La
dignità ferita del 2012 ho ritrovato questo messaggio: “Non so cosa sia
questo libro, Alida, se di psichiatria o di antipsichiatria, di psichiatria
morale e di psichiatria salvata dalla poesia; ma lei vorrà aiutarmi a
ricercarne il senso: se questo c’è? Grazie, e in amicizia”.
Borgna
Ci siamo incontrati di persona solo due
volte, a Milano nel 2012 in occasione di una conferenza a cui mi aveva invitato,
e alcuni anni dopo nel corso di una sua inaspettata e graditissima visita a
casa mia, a Garda. Ricordo la trepidante agitazione all’idea di conoscerlo, il
timore di deluderlo con la mia scorbutica timidezza. In realtà, nelle due ore
trascorse in un bar della Stazione Centrale, aveva parlato quasi sempre lui,
grande affabulatore com’era, ma spiandomi nel volto qualsiasi espressione, in
particolare quella di colpevole imbarazzo quando ci aveva avvicinati un’anziana
deforme per chiederci l’elemosina. Avendogli comunicato l’assoluta incapacità che
provo di affrontare il dolore, mio e degli altri, lui che del dolore altrui si
era occupato per tutta la vita, mi aveva consolato: “È la cosa più difficile,
guardare in faccia la sofferenza”. Più disteso era stato il secondo
incontro a casa mia, che aveva lodato per la luminosità e l’ordine e la cura
delle piante, con mio grande compiacimento. Era stato inflessibile sulle
indicazioni del pranzo: un toast e un succo di pera, a cui avevo aggiunto di
mia iniziativa un uovo alla coque di cui lo sapevo goloso. Così alto e
magrissimo com’era, non gli risparmiavo le raccomandazioni a nutrirsi di più, e
a volte mi comunicava con soddisfazione quasi adolescenziale di avere optato al
ristorante per un menù più consistente del solito. Poi ricambiava le mie
attenzioni commentando “da medico” le diagnosi sull’artrosi che gli sottoponevo,
o il percorso terapeutico per la depressione che seguivo da dieci anni,
esortandomi a lasciar perdere gli psicofarmaci e ad affrontare con maggiore
coraggio l’esterno e i rapporti con gli altri.
A un certo punto la nostra amicizia ha
corso il rischio di infrangersi, per colpa dell’irrigidimento che mi impongo
quando temo che un legame diventi troppo coinvolgente in termini affettivi ed
emotivi. Mi è successo spesso, soprattutto avanzando con l’età, di interrompere
rapporti a cui tenevo, per il timore di soffrire troppo se si fossero guastati per
qualsiasi ragione, dopo le tante gravi perdite patite. Avevo rifiutato il suo
invito a passare dal “lei” al “tu”, e addirittura gli avevo chiesto di non
telefonarmi più. Cosa che immagino l’abbia ferito, perché mi ribadiva spesso la
sua gioia per la nostra amicizia. Addirittura in una dura e permalosa mail lo
avevo accusato di maschilismo (lui, così attento e sensibile alla fragilità
femminile!), perché aveva osato scherzare sulle mie troppe paure, con allusioni
da me ritenute inopportune e mortificanti. Il Professore, che si firmava, “il
suo Eugenio”, capiva e scusava, conoscendo le difficoltà ambientali che avevo vissuto
con le mie figlie per tanti anni, e le nostre sofferenze. Capiva e scusava da
amico e da psicanalista.
Sono felice di essere riuscita, l’anno scorso, a
esprimergli il mio rammarico per alcune estemporanee irritazioni nei suoi
confronti, e la gratitudine invece per i tesori che il nostro rapporto mi aveva
regalato: “Gentile Prof. Borgna, spero stia bene, e che il caldo non la faccia
soffrire troppo. Qualche giorno fa è morto un caro amico, lasciandomi il
rimpianto di un immotivato allontanamento, come succede spesso al mio
calvinismo severo. E allora mi è venuto da pensare che per un certo periodo
siamo stati molto amici anche noi, e poi io mi sono chiusa a chiave nel mio
dolore, per quello che mi succedeva intorno. E ho interrotto i rapporti con
tutti. Si sbaglia sempre, non bisognerebbe mai perdere di vista nessuno,
nemmeno chi ci ha fatto del male. Così avevo scritto in una poesia, pensando
che avrei potuto essere più affettuosa e più attenta anche con mio marito, mia
mamma, mio papà, gli amici che ho trascurato. E quindi mi scuso anche con lei,
se non sono riuscita a dirle che la sua vicinanza mi è stata cara. Alida”, “Mia gentile Alida Airaghi le sono infinitamente grato della sua mail che
mi è giunta segnata da questo grande dolore che è conseguito alla morte di un
suo caro amico. Le parole con cui mi dice questo sono come sempre molto
gentili, umane, nostalgiche, luminose e poetiche. Infinite grazie di ogni sua
mail che mi giunge come una azzurra colomba trakliana, anche se giornate come
queste accrescono la nostalgia e il dolore per le persone care che non ci sono
più. Non posso dimenticare le sue splendide poesie che rileggo e che sono di
una bellezza e di una malinconia dolorosa, ma irrorate del fiume della speranza
che è la sola cosa che possa dare un senso al nostro dolore. Grazie di tutto
con grande nostalgia. Eugenio Borgna”. Non so se il rimpianto, insieme alla
mia riconoscenza, possano raggiungere il caro Eugenio Borgna, lì dove era certo
di arrivare, con la sua limpida fede nell’eternità dell’anima. Ma in qualche
modo, pur da non credente, lo spero.