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sabato 18 maggio 2024

UNA SEDIA PER ASSANGE



In Piazza Mercati a Milano lunedì 20 maggio ore 19.  
 
La vera statua della Libertà
 
Anything to say? A monument to courage”, un’opera d’arte che celebra il coraggio di chi cerca la verità. Sarai proprio tu a dargli valore. Come? Sali sulla sedia vuota e cambia il tuo punto di vista! Oltre all'artista Davide Dormino, autore dell’opera, saranno presenti Moni Ovadia, Germana Leoni, Alberto Contri e Roman Froz e altri. Anything to say è un monumento in bronzo interattivo in viaggio. Combattiamo per la libertà di espressione, per il diritto di sapere, per la protezione degli informatori e soprattutto per il rilascio di Julian Assange. Siamo un’organizzazione senza scopo di lucro, tuttavia le nostre mostre comportano sempre spese significative e la pianificazione di tali eventi richiede molto lavoro. Con questo appello chiediamo il vostro supporto per mantenere vivo questo progetto in difesa di questi valori universali.
Qualcosa da dire?”, È una scultura in bronzo a grandezza naturale, dell’artista italiano Davide Dormino, che interpreta tre figure ognuna in piedi su una sedia. La quarta sedia è vuota perché è la nostra sedia. Quello per noi per alzarci per esprimerci o semplicemente per stare accanto a Edward Snowden, Julian Assange e Chelsea Manning, che hanno avuto il coraggio di dire di no all’intrusione della sorveglianza globale e alle bugie che portano alla guerra. Entrambi amati e odiati, hanno scelto di perdere la zona di comfort della loro vita per dire la verità.
 
Team - Anything To Say

 

 

L’EDUCAZIONE DELLA PAROLA  
di Patrizia Gioia


Don Milani
 
Il centenario della nascita di Don Milani.
 
Nell’ultimo numero della nutriente pubblicazione L’altra Pagina, il dossier è centrato sulla figura di don Milani in occasione del centenario della sua nascita. Tra i molti punti che vengono rivisitati, ne voglio condividere uno che trovo essenziale e urgente per il momento che stiamo attraversando e che tocca anche il grande lavoro sulla parola del nostro gruppo di Mille Gru con la Poetry Therapy: la cura della parola. Bruna Bocchini già docente di Storia del Cristianesimo e delle Chiese all’Università di Firenze, illumina magistralmente le figure che hanno modellato l’esistenza di don Milani sottolineando la sua tradizione familiare per comprendere il modo di insegnare di don Milani, la sua attenzione filologica al significato e all’uso delle parole. La sua infatti non è una scuola per dare una qualche formazione culturale di base, come tanti sacerdoti avevano fatto e - dico io - molti continuano a fare, ma una scuola che voleva educare all’uso consapevole della parola, strumento fondamentale per esprimere le autonome prospettive culturali, politiche, economiche, sociali e religiose. Orizzonte oggi completamente oscurato da una educazione e da una cultura esiliate, oltre ad un esilio della meraviglia, della empatia, della solidarietà, della gentilezza.
Don Milani vive in un ambiente familiare equilibrato e affettivo con una grande tradizione culturale. Il bisnonno, Domenico Comparetti, era stato un filologo, grecista, latinista, fra i docenti di maggior rilievo dell’Università di Firenze: il nonno paterno, Luigi Adriano Milani, era stato professore di archeologia allo stesso Istituto di Studi superiori di Firenze e direttore del museo archeologico fiorentino. La mamma, Alice Weiss, di origine triestina, era in contatto con gli ambienti più fertili dell’intellettualità europea, soprattutto ebraica. Il nonno, Emilio Weiss, era amico di Italo Svevo, suo nipote, Edoardo Weiss fu uno dei primi allievi di Sigmund Freud, la madre di Lorenzo era legata a lui da una forte amicizia, conosceva inoltre James Joice dal quale prendeva lezioni di inglese. I genitori di Don Milani erano entrambi agnostici, così come le famiglie di origine, si erano sposati con il rito civile e solo nel 1933, iniziate le prime persecuzioni razziali in Germania, si sposarono con rito cattolico e fecero battezzare i figli. Dunque un mondo aperto, colto, festoso, pur se in un momento storico drammatico. Negli anni Don Milani si fece portatore di potenti intuizioni educative che ancora oggi dovrebbero risorgere, nonostante le molte censure patite, dal Governo e dalla Chiesa, sempre poco inclini a formare uomini e donne capaci di responsabilità e consapevolezza, capaci di un pensiero critico, capaci di dire No, quando il troppo è troppo. Imparare dal passato è più che necessario, la storia non si ripete mai uguale, siamo noi ad essere le mani di quel che ignorantemente chiamiamo Destino e che non arriva mai a caso. In ogni specie, scrive Jung, i più intelligenti sanno quando bisogna disobbedire. 
E oggi è quel tempo.

LIBRI
di Stefano Marino
 
Graziella Tonon
(foto di: Leonardo Cendamo)

Testimone dell’istante.
Commento a Storia di Margherita di Graziella Tonon edito da La Vita Felice, Milano 2024.
  
Testimone dell’istante, del momento. Un “istante, un momento”, dilatato dall’ anima del tempo e fissato. Per sempre tenuto al caldo del cuore con fine sensibilità: questa è Margherita.
L’istante diventa storia, racconto e commozione. Il ricordo s’esalta e concretizza, commuove nella bella semplicità del verso, pura d’ogni sfarfallio, d’ogni retorica. Il momento che diventa particolare e viene fermato per un gesto: gli occhi nel piatto del padre seguito da un “stai composta!” alla notizia inaspettata dell’invasione dell’Ungheria. Gesti, parole, che vengono fissati, conservati nel tempo da una attenta sensibilità. Un pozzo profondo dell’anima pieno zeppo, filmato da occhi attenti e orecchie che conservano, registrano. E il tempo che passa, non attenua il momento. Tutto resta lucido con la stessa commozione dell’ora, del minuto in cui s’è compiuto! Le rime corrono facili e veloci. Le parole s’innamorano fra di loro nell’armonia di versi asciutti, non meditati, spontanei, sinceri, vibranti ancora dall’emozione innocente da cui son nati. Ancora una volta Graziella Tonon ci regala la sua sensibilità con la pudicizia che la guida e, di questo, le siamo grati. Accompagna l’opera la pregevole postfazione di Antonio Prete.


La copertina del libro


 

 

NON CHIEDETE A RFI!


 

All’incontro pubblico proposto dalle Ferrovie in viale Lavagnini Idra contesta, argomenta, documenta, interroga.
 
Una sorta di ring quello con cui si sono avviati ieri a Firenze presso l’Istituto Comprensivo “Gaetano Pieraccini”, nell’ottocentesco viale Spartaco Lavagnini, una delle arterie critiche del progetto di doppio sotto-attraversamento Tav di Firenze, i magri 50 minuti di dibattito concessi alla popolazione in occasione dell’incontro organizzato dal proponente l’opera, Rete Ferroviaria Italiana.
Già a partire dall’illustrazione del programma da parte del referente di progetto ing. Fabrizio Rocca e dell’assistente del direttore tecnico del Consorzio realizzatore Florentia ing. Alessandro Zurlo, il pubblico ha manifestato l’esigenza di chiarimenti sulle cause e le conseguenze del blocco dei lavori di scavo in corso nelle viscere di Firenze, insieme alla preoccupazione parallela e crescente di chi abita i luoghi sotto-attraversati dalla fresa, dopo i primi ‘imprevisti’ registrati sul ponte al Pino, in prossimità del fascio ferroviario. La presenza di frotte di rilevatori che percorrono in su e in giù il viale Don Minzoni a verificare sui sensori gli effetti dello scavo sui palazzi in superficie sta incrementando in questi giorni il livello di ansia della popolazione.
Al termine delle diapositive, a prendere la parola è stata Idra, l’associazione di cittadini che segue dai suoi esordi la progettazione e la cantierizzazione Tav a Firenze.
“Mi scuso prima di tutto coi cittadini di Viale Lavagnini”, ha voluto precisare Girolamo Dell’Olio. “Ho chiesto in anticipo di poter intervenire perché negli incontri precedenti, fatti in ambienti magari scolastici dove a una cert’ora bisogna andar via, non è stato possibile parlare né a noi né a tanti altri residenti. Ma capisco che con 2 miliardi e 735 milioni di impegno per quest’opera è un po’ difficile trovare ambienti un po’ più capienti e assicurare un’informazione un po’ più estesa…”.
Idra, ha spiegato il portavoce, segue, monitora e denuncia dal 1994 le pecche dei progetti Tav e le gravi lacune informative che ne accompagnano la realizzazione.  “A luglio 1998 abbiamo presentato ai Ministeri dell’Ambiente e dei Beni Culturali, e alla Regione Toscana, 30 cartelle di osservazioni sulla penetrazione urbana e sulla stazione Alta Velocità di Firenze. A febbraio 1999 abbiamo raccolto 91 atti di significazione e diffida trasmessi per le vie legali da altrettante famiglie (molte sono di viale Lavagnini, magari sono presenti anche qui in sala) nei confronti dei decisori che, il 3 marzo 1999, avrebbero approvato il progetto, del quale paventavano ragionevolmente le possibili conseguenze sugli edifici che insistono sul tracciato della talpa”.


Istituto Pierracini

Per completare la descrizione pur sommaria delle caratteristiche dell’associazione, l’esponente di Idra ha accennato all’esperienza e al ruolo di parte civile giocato nel procedimento penale per i danni ambientali Tav sull’Appennino, e di parte ad adiuvandum in quello per danno erariale intentato dalla Corte dei Conti della Toscana. Ma non è risultato gradito agli organizzatori dell’evento il riferimento ai responsabili dei danni a Sesto Fiorentino e in Mugello: c’è agli atti infatti una sentenza della Corte dei Conti della Toscana che definisce rei di colpa grave amministratori del rango di Vannino Chiti e Claudio Martini, graziati soltanto dall’intervenuta prescrizione. A questo punto è insorto - posizionato fra il pubblico - il direttore generale del Comune e della Città metropolitana di Firenze, che a queste cariche cumula quella di presidente del cosiddetto Osservatorio Ambientale: l’ing. Parenti ha tentato di togliere la parola al portavoce di Idra rivendicando il rispetto dell’ordine del giorno. Ma Dell’Olio ha insistito, allontanandosi progressivamente dal tavolo dei relatori per mantenere il microfono: “È bene che i cittadini sappiano, è necessario che conoscano il contesto”, ha scandito, iniziando a sciorinare le principali falle del progetto fiorentino:
a) il clamoroso mancato collaudo dello ‘Scavalco’ Tav;
b) il degrado ambientale della prima galleria Alta Velocità realizzata a Castello, ammesso ma non risolto da Rfi, con l’aggravante della contaminazione fecale rilevata dall’ARPAT dopo la segnalazione di Idra in audizione presso l’Osservatorio;
c) l’accesso che le Ferrovie negano alla documentazione potenzialmente ‘esplosiva’ contenuta nel Verbale di accertamento redatto dalla Commissione di collaudo;
d) la disapplicazione della legge nel progetto dei quasi 14 km di sottoattraversamento da Campo di Marte a Castello, che il Comando dei Vigili del Fuoco di Firenze attesta essere privo del piano di emergenza, in barba a ben due decreti ministeriali emanati a tutela della sicurezza delle gallerie ferroviarie, oltre che alla logica e al buon senso;
e) le significative lacune dei ‘canali di comunicazione’ vantati da Rfi: neppure un numero di telefono è stato messo a disposizione dei cittadini per ricevere informazioni, o segnalare criticità, nonostante che proprio la responsabile della Direzione Investimenti e della Direzione Area Centro di Rfi ing. Chiara De Gregorio avesse  chiesto, ancora a luglio dello scorso anno, un incontro a Idra per ottenere - assieme a questo - altri suggerimenti per il piano di comunicazione delle Ferrovie, tutti apparentemente apprezzati e diligentemente registrati.
Il pubblico, sbigottito! Non sono infatti, queste, notizie che circolano gran che sulla ‘grande stampa’. Circostanze ben note invece agli organizzatori dell’incontro e all’Osservatorio Ambientale, ha voluto sottolineare il rappresentante di Idra, costatando con amarezza come in soccorso alle incertezze e agli imbarazzi provenienti dal tavolo di Rfi sia accorso ripetutamente - quasi difensore d’ufficio - proprio il responsabile del Comune di Firenze. L’ing. Parenti si è peraltro lasciato sfuggire persino un ‘avvertimento’: “Certamente il professore è responsabile di quello che ha detto, e potrà essere perseguito!”. “Certamente! Magari!”, ha replicato Dell’Olio, mentre il pubblico mostrava ad alta voce di non condividere questo tipo di attenzioni nei confronti di chi segnala semplicemente e doverosamente il mancato rispetto delle norme. Si è sentito qualcuno sarcasticamente osservare: “La Meloni ci fa un baffo…!”.



Conclusa la premessa, Idra ha posto due domande di stretta attualità dopo che l’ing. Rocca aveva ammesso, nel corso dell’esposizione introduttiva, che dopo i primi 810 metri di scavo la fresa Iris ha dovuto fermarsi sotto Viale don Minzoni: “Era un fermo programmato, ma si è protratto indubbiamente di qualche settimana rispetto a quelle che era l’ipotesi iniziale, perché il ciclo di gestione delle terre ha una complessità abbastanza particolare…”.
La prima domanda è stata: “Quali criticità specifiche si sono registrate nel corso dello scavo tali da costringere a un fermo così prolungato della talpa? Esiste forse - come si vocifera - un problema di terre di scavo con una forte componente argillosa che tarderebbero a essiccarsi e quindi a risultare utilizzabili nei tempi previsti nel sito di deposito in Valdarno, a Cavriglia?”.
“Non esiste un problema di argille che non seccano - ha replicato deciso l’ing Rocca -, ma un tema legato al rispetto dei parametri, ai tempi di restituzione delle analisi di laboratorio: le modalità di campionamento hanno necessità di tempi più lunghi”.
Di più, di questi parametri, non è stato dato sapere, tranne qualche cenno generico a “biodegradazione dei tensioattivi, caratterizzazioni degli agenti presenti nel terreno, composizione naturale del terreno…”.



Presto però Idra confida di ricevere dall’ARPAT, previo consenso dei controinteressati, i risultati delle analisi del Settore Laboratorio di quell’Agenzia, e tutto sarà più chiaro. Sarebbe stato un bel guaio, infatti, se si fosse scoperto solo adesso, dopo anni di istruttoria del CNR, piani di utilizzo scritti e riscritti, campi prova e simulazioni, che quelle terre di scavo non ‘maturano’ affatto nei giorni programmati per diventare suolo biologicamente accettabile.
Ma un dato resta, ha osservato acutamente un esponente del Comitato No Tunnel Tav: i lavori registrano già un importante ritardo, che non potrà non riflettersi anche sui temi di avvio della seconda fresa. Citando una lettera aperta inviata la mattina a RFI, ha chiesto all’ing. Rocca di “fornire una revisione del Programma lavori con tempi e costi aggiornati rispetto agli 830 milioni già spesi prima dell’appalto attuale che vede ora un costo a preventivo di 2,735 miliardi”.
Nette e incoraggianti, anche in questo caso, le parole dell’ing. Rocca: Il programma ad oggi rimane l’ultimazione di tutti i lavori il 5 maggio 2029. Il costo dell’opera, quello di 2 miliardi e 735 milioni. La risposta che io do è questa”.
Non ha inteso invece rispondere, il referente di progetto di Rfi, alla seconda domanda posta da Idra: “E’ possibile sapere chi è il proprietario della talpa? Rfi o il consorzio Florentia? È interessante per capire il rapporto che si potrà stabilire fra il proponente e il realizzatore: abbiamo qualche esperienza di contenziosi nella gestione degli appalti legati a danni e a varianti che si accumulano nel tempo. Anche a Castello, appunto abbiamo notizia di un documento esplosivo che, appena sarà pubblico, temiamo, permetterà di apprezzare il tipo di gestione anche economica dell’opera”.
Domanda ripetuta, nessuna risposta. Lesa maestà?


 

Davvero non numerosi, alla fine, i partecipanti all’appuntamento in Viale Lavagnini, grazie a una pubblicità opportunamente ‘discreta’ in città.
Non sono mancati però coloro che hanno chiesto un contatto diretto con l’associazione, ritrovando se stessi o altri conoscenti nel novero dei 91 firmatari degli atti di significazione e diffida presentati 25 anni or sono. Ma sempre validi. Oggi più che mai.
 
Associazione di volontariato Idra

 

FAMIGLIA ARTISTICA MILANESE
Via De Amicis 17 - Milano


Cliccare sulla locandina per ingrandire


CONSERVATORIO DI MILANO
Primavera Antica a cura di Aurigi e Columbro




 

BIBLIOTECA VIGENTINA
Aforisma in Corso anno XV a cura di Cesare Vergati




 

SAN BERNARDINO ALLE MONACHE




 

BIBLIOTECA OSTINATA
De Gasperi e l’Europa unita




venerdì 17 maggio 2024

POETI IN PORTA ROMANA 




REPRESSIONE DI STATO
di Guido Salvini


Sonia Dahmani
 
Gli arresti degli avvocati in Tunisia: quando a dover essere difesi sono i difensori
.
 
Proviamo a immaginare un dibattito televisivo in cui si parla di giustizia, diritti e della politica del governo. Una donna avvocato Sonia Dahmani esprime nel dibattito critiche nei confronti del governo del presidente Kais Saled con commenti ironici sulla sua politica. Viene quindi arrestata, praticamente in diretta, per aver diffuso false informazioni che nuocciono alla sicurezza pubblica, da poliziotti mascherati che con la violenza la trascinano in carcere e con lei vengono fermati un conduttore televisivo e un giornalista. L’intera scena è ripresa dalle telecamere di France 24 e il video fa il giro del mondo. Dopo l’arresto di Sonia Dahmani la repressione è continuata. La mattina del 14 maggio una squadra di agenti ha fatto irruzione nella sede dell’Ordine degli avvocati di Tunisi, un luogo simbolico per la giustizia, e ha arrestato Mahdi Zagrouba, un avvocato impegnato anch’egli nella difesa dei diritti umani e critico nei confronti del governo. Già nel 2023 era stato processato, interdetto dall’esercizio della professione e aveva intrapreso uno sciopero della fame di protesta. Anche in questo caso un video ha ripreso la scena, un blitz degno di un regime militare.


Mahdi Zagrouba

Siamo in Tunisia un paese ove pur è nata la prima “primavera araba” ma che ora sta scivolando verso la dittatura, diviso dall’Italia solo da un braccio di mare e che certo non ci è estraneo perché in Italia vivono centinaia di migliaia di tunisini. Certamente se accadesse qualcosa di simile in Italia tutti i Tribunali si fermerebbero immediatamente e ugualmente immediata sarebbe la reazione dei mass media. Il sistema di democrazia liberale, nonostante i suoi difetti e le sue incertezze, infatti non dimentica che senza gli avvocati e il diritto di libertà parola di cui sono intrinsecamente portatori dentro e anche fuori dalle aule di giustizia, tutti cesserebbero di essere cittadini per diventare solo sudditi. Per fortuna anche gli avvocati tunisini, pur in una situazione che diventa sempre più difficile, sono scesi immediatamente in sciopero. Hanno bisogno di tutta la nostra solidarietà. Purtroppo nei paesi autocratici le incarcerazioni, i processi, le intimidazioni nei confronti di avvocati che cercano di difendere gli oppositori, i giornalisti, i blogger, gli artisti o anche  cittadini comuni o che comunque nel loro ruolo criticano da un punto di vista legale la politica dei regimi, non sono casi isolati ma ormai una lista lunghissima che spazia da un capo all’altro del globo.


Alexei Gorinov

Nella Russia di Putin, Alexei Gorinov, avvocato e deputato del distretto di Mosca, è stato condannato nel 2022 a 7 anni di carcere per aver osato esortare la società civile a fare ogni sforzo per fermare la guerra. È stato condannato in base alla famigerata legge che punisce come attentato allo Stato ogni dissenso sulle scelte militari del Governo. È in cattive condizioni di salute, come tutti i detenuti politici è molto vulnerabile e completamente nelle mani delle autorità carcerarie e rischia di fare la fine di Navalny.


Li Yuhan

In Cina Li Yuhan, avvocata impegnata nella difesa dei diritti umani, è detenuta in modo arbitrario dal 2017 ed è ancora in attesa di un processo e di una sentenza. Ha più di 70 anni e anch’ella è in gravi condizioni di salute, in carcere ha avuto attacchi cardiaci e danni alla deambulazione, alla vista e all’udito.


Nasrin Sotoudeh

Poi c’è l’Iran in cui il regime teocratico ha forse il triste primato delle impiccagioni e delle torture e della repressione insieme degli oppositori e di coloro che cercano di assisterli sul piano legale. Il simbolo della lotta degli avvocati in quel paese è Nasrin Sotoudeh che ha difeso i manifestanti che sono scesi in piazza contro il regime dopo l’omicidio della giovane Mahsa Amini e che ha la duplice “colpa” di essere avvocato e di essere donna. 


Mahsa Amini

Nasrin è stata condannata a 38 anni di prigione, 38 anni leggete bene, e 148 frustate, per propaganda contro lo Stato islamico e incitamento alla “corruzione” dei costumi, è stata detenuta nell’orribile carcere di Evin ed è ora precariamente in stato di libertà. In suo favore si sono mossi gli avvocati di tutto il mondo.
Ma persecuzioni di questo genere non sono appannaggio solo dei regimi autoritari più noti le cui iniziative aggressive riempiono le pagine dei giornali.
In molti paesi in cui non esiste ancora una democrazia completa o in cui la democrazia fa addirittura passi indietro, dalla Turchia del “sultano” Erdogan al Marocco, dal Messico al Nicaragua, dalla Nigeria alle Filippine si registrano casi simili: in quest’ultimo paese Maria Samata Liwliva Alzate, avvocata dedicata alla difesa dei diritti umani, è stata uccisa nel settembre 2023 davanti alla sua abitazione dopo aver denunciato le torture e gli arresti illegali operati dalla Polizia filippina.


Riproduciamo questo simbolo
della morte perché sono state eliminate
tutte le foto di Maria Samata da Google

Che cosa si può fare per difendere la vita degli avvocati che in tutto il mondo sono un presidio permanente dei diritti e della libertà dei cittadini dei loro paesi? Innanzitutto tenere alta l’attenzione mediatica e sui mezzi di informazione affinché essi non siano dimenticati. Per questo è nata nel 2015, anche su impulso dei Consigli Nazionali Forensi italiani, l’OIAD, l’Osservatorio internazionale degli avvocati in pericolo che fornisce assistenza materiale e anche supporto morale agli avvocati che lavorano nei paesi a rischio e richiama l’attenzione della politica, delle istituzioni e delle società sugli avvocati la cui libertà di esercitare la loro funzione e la loro stessa libertà è minacciata. Il 24 gennaio è la giornata internazionale dedicata dall’Osservatorio agli avvocati in pericolo. La data, ricordiamolo, è stata fissata nell’anniversario della Matanza di Atocha quando, il 24 gennaio 1977, negli ultimi sussulti del franchismo, un commando di terroristi di destra fece irruzione in uno studio legale che si occupava dei diritti dei lavoratori uccidendo a raffiche di mitra 5 tra avvocati e loro collaboratori. Una strage che ricordo molto bene dalle mie indagini sull’eversione di destra.
E nell’immediato cosa si può fare? Gli avvocati milanesi e di altre città si stanno mobilitando e servirebbe un presidio di protesta in toga, magari insieme a qualche magistrato, dinanzi ai consolati dalla Tunisia per ricordare a quel governo, che sta facendo le prove generali di una dittatura, che gli avvocati di quel paese non sono soli e che i diritti non possono evaporare da una sponda all’altra del Mediterraneo.

CORTEO PER LA PALESTINA




giovedì 16 maggio 2024

UN VOTO CONTRO LA GUERRA
di Adam Vaccaro



Perché voterò Pace Terra Dignità.
Il poeta e critico letterario lo spiega a “Odissea”  
 
Caro Angelo,
mi hai invitato a scrivere le mie motivazioni e intenzioni di voto. Potrei dire, sinteticamente, che sono radicate nel bisogno di non arrendersi alla miseria umana in cui stiamo precipitando, e puntare più in alto.
Da 40 anni siamo andati avanti a votare il meno peggio, in un esercizio democratico sempre più solo coperta ideologica. E siamo arrivati a un punto di degrado e tradimento degli interessi della maggioranza della popolazione, che spinge quest’ultima a un atteggiamento di comprensibile rigetto, di una cloaca politica, fatta di chiacchiere retoriche prive di ogni rapporto con i problemi reali di crescenti dolorose condizioni sociali e, per un numero crescente, invivibili, privi di minime legalità e protezione. Un clima tendente a forme di barbarie, cui le varie forze politiche non hanno e non attuano alcun serio programma di soluzioni. Sappiamo bene che le destre hanno radici autoritarie e regressive, ricoperte di declamazioni vuote di libertà, sicurezza e difesa di interessi nazionali. Ma le sinistre parlano di diritti individuali e di difesa delle minoranze, che non escludono pratiche transumane di un progressismo liberistico e buonismi favorevoli a una immigrazione senza controllo. Sono versanti ideologici che favoriscono problemi irrisolti e caos. Un caos che diventa condizione di coltura ideale per gli interessi dominanti e le forze ad essi asservite, anche se da versanti ideologici apparentemente contrapposti, ma sostanzialmente consoni ai dettami ideologici a difesa del saggio di profitto del neoliberismo, che vuole distruggere lo Stato sociale – dalla sanità alla scuola pubbliche, a una struttura minimamente degna e funzionale dello Stato. Diceva Primo Levi, già negli anni ’70, che ogni fase capitalistica genera il suo fascismo, che “non necessariamente” si manifesta “col terrore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando e distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola”.



È un processo di asservimento delle forze politiche, scientificamente avviato dai Draghi ai Monti agli altri architetti al lavoro sin dagli anni’80, di un futuro dominato dal capitale finanziario globalizzato. Privatizzare e rapinare tutto, ogni bene pubblico, liberi da tutti i lacci e lacciuoli, ripetuto come un mantra, contro quel rompiscatole dello Stato che pretendeva di imporsi al Capitale. Un fascismo in loden e senza doppiopetto. Il disegno e la china comprarono chi doveva opporsi e ormai è il capitale che impone quei lacci e lacciuoli alle isole di polis che resistono al deserto che avanza.  In questo lungo processo di tradimento pubblico, sono nate resistenze populiste, come i 5Stelle. Le quali hanno oscillato tra destra e sinistra e a tratti hanno dato speranza di poter invertire il moto del degrado.
Gli ultimi anni hanno evidenziato una contraddizione insanabile tra l’ideologia della globalizzazione, con declamazioni di orizzonti di liberi movimenti di merci, persone e capitali, e il cuore imperialistico del Capitale, che mira ad ampliare aree di influenze, con tutti i mezzi, dalla corruzione agli armamenti, a sbocchi crescenti di guerra. Sono gli orizzonti in cui stiamo vivendo, entro i quali sono omologate, come detto, sia le destre che le sinistre storicamente costituite nel secolo scorso.



In tale contesto, sempre più tragico, la soluzione può venire da una forza populista? Forze di questo tipo, non si costituiscono con visione e obiettivo fondante, di invertire strategicamente la rotta, ma di utilizzare i punti dolorosi al fine primario di salvare la propria esistenza. Posso capire coloro che, nella situazione disperante attuale, affidano le proprie speranze a chi almeno dice di non volere le guerre imperialistiche in atto. Ma, dopo decenni di scelte del meno peggio, non è ora di accettare la sfida storica, almeno per chi difende la visione dell’utopia umana di immaginare una forma sociale non più ignobilmente predatoria come quella attuale? La quale pretende di definire civiltà una struttura in cui l’1% della popolazione mondiale, possa avere il diritto di acquisire il 90% della ricchezza prodotta. È la crescente povertà dei più che diventa la madre sempre incinta di violenze e guerre orizzontali tra poveri. E che è anche condizione che riduce la capacità critica verso il dominio verticale e le guerre tra le principali teste imperialistiche contemporanee – che sono tutte uteri antiumani, USA, Russia e Cina, ma ovviamente dipingono l’Altro come la sola fonte criminale, rispetto alla quale occorre continuare ad armarsi. Penso che oggi, in questa situazione, occorra guardare più in alto, e accettare la sfida storica di coltivare il seme di una struttura nata non solo per protesta contro la cloaca dominante, ma per visione di un’altra realtà. Se Pace Terra Dignità ha il DNA di tale seme, dipenderà anche da noi, ma se rinunciamo a priori, sopraffatti dal timore di non raggiungere nemmeno il 4%, allora accettiamo la nostra povertà umana e accontentiamoci del meno peggio.   
 
[15 maggio 2024]
 

COMPIACERE BIDEN
di Luigi Mazzella


 
Premierato e separazione delle carriere
 
Dal momento in cui le due italiche “pulzelle”, la nera Giorgia Meloni e la rossa  Elly Schlein, entrambe imbracciando l’ascia di guerra per correre in soccorso, secondo il motto di Ennio Flaiano, del presunto vincitore (Joe Biden) contro l’odiato e sperato perdente Wladimir Putin, e ambedue indossando una stessa maglia (prevedibilmente con i colori di una rosso-nera) hanno deciso di fare squadra comune, pur restando  in competizione  per avere “del cor di Federico ambo le chiavi”, è diventato particolarmente difficile, per i commentatori politici, soddisfare le attese degli ultras dell’una e dell’altra “guerriera”, che sono rimasti, in modo acefalo, “nemici irriducibili”, come dimostrano gli scontri duri nelle piazze e lo scambio di epiteti feroci sui social.
In altre parole, per i giornalisti italiani, “Mala tempora currunt”, come mai sinora era avvenuto.
Negli anni della cosiddetta “guerra fredda” il gioco era stato per essi piuttosto facile. 
1) Usando la penna in direzione filo-statunitense si potevano confortare i propri, oltranzisti lettori con l’immagine rassicurante dell’ombrello protettivo a stelle e a strisce (nascondendo che esso divenisse sempre di più con il passare degli anni grondante del sangue di Coreani, Vietnamiti, Afghani, Libici e via dicendo). 
2) Usando, invece, la scrittura in direzione opposta si poteva dire che in base a una clausola del Trattato di pace, voluta dagli Americani, all’Italia non era consentito crescere economicamente e che quindi essa andava tenuta lontana dai Paesi possibili fornitori di fonti energetiche, come dimostravano chiaramente i tragici destini di Enrico Mattei (ricercatore autonomo e oppositore della politica delle “Sette Sorelle” petrolifere), di Aldo Moro e di Bettino Craxi (palesemente filo-arabi e attenti all’oro nero posseduto da paesi fuori dell’orbita statunitense come necessario allo sviluppo produttivo dell’industria italiana).



Un vero e sconvolgente “colpo di scena” si era avuto con il crollo dell’impero sovietico dovuto alle mine innescate dalla CIA, dal Vaticano (di Woytila ma soprattutto di Marcinkus) e secondo voci (incontrollabili) dallo stesso KGB, sensibile all’intento di ricchi oligarchi della Nomenklatura bolscevica di spendere i soldi accumulati in lunghi anni di attività svolta (a loro dire)  in favore del “comunismo ugualitario”.
I partiti occidentali, orfani di Stalin e dei suoi successori,   guidati dai loro riconosciuti leader, si erano recati in un’immaginaria processione a Washington per poter  chiedere di correre anch’essi in soccorso del vincitore nordamericano.
I giornalisti erano divenuti, ormai, consapevoli della mutata realtà e non s’aspettavano un ulteriore “coup de foudre”.
Ed invece, come Paolo di Tarso sulla via di Damasco, la voce insolitamente risoluta dell’incespicante Biden aveva convinto Giorgia Meloni, in procinto di diventare “Capo del governo” italiano, a non prendersela più con l’Unione Europea e con la NATO considerandole sue creature predilette, a smetterla con il pacifismo, lasciandolo all’Angelus di papa Bergoglio e alle “prediche inutili” di Guterres e a servirsi di un vero esperto di armi per il Dicastero della Difesa del suo nascente Consiglio dei Ministri.
Tutto chiaro, allora, per i giornalisti del “Bel Paese”?
No… solo fino a un certo punto.
Come nel romanzo di Luciano Zoccoli, un’acuminata “Freccia nel fianco” rende faticoso il cammino della Meloni: è un’arma micidiale a doppia punta, la prima, del tutto inutile anche per i suoi fautori, riguarda il “Premierato”, la seconda, ritenuta necessaria da tantissimi italiani, è “la separazione delle carriere in Magistratura”. Sotto questo secondo aspetto, la Presidente del Consiglio Italiana, nell’assecondare il suo Ministro, Carlo Nordio, nel suo pur nobilissimo intento di separare la carriera dei pubblici Ministeri da quella dei giudici, incontrerebbe molto verosimilmente il diniego di Biden.
Perché? Perché se la magistratura italiana, costituzionalmente proclamata indipendente e autonoma, con le sue sentenze e prima ancora con gli avvisi di garanzia a gogò dei pubblici ministeri ha  potuto, senza chiedere ai politici di promuovere riforme radicali della Costituzione, far passare l’Italia, come desiderato molto verosimilmente a Washington, da una prima repubblica (che si riteneva finita nelle mani poco controllabili di Craxi) a una seconda repubblica  più prona e malleabile e da quest’ultima a uno Stato governato addirittura dal principio minoritario in luogo di quello maggioritario, si può veramente credere che Giorgia Meloni, legata (a filo doppio) alla politica di Washington, voglia seguire Carlo Nordio e dare un dispiacere al Presidente nord-americano (anche se in più che probabile uscita) circa l’utilità di rendere sempre praticabile in tutto l’Occidente l’uso politico della giustizia?
Agli individui di sufficiente acume politico l’ardua sentenza.

LILIANA SEGRE RICORDA FELICE BESOSTRI



È un dovere della parte democratico-costituzionale che ancora è presente in questo paese diffondere a largo raggio quale vero e proprio "Manifesto" dell'opposizione l'intervento della senatrice Liliana Segre sul tema del premierato. L'intervento contiene anche un elemento di vera e propria commozione: il ricordo di Felice Besostri, infaticabile difensore della democrazia e dei diritti di espressione politica. Nell'intervento della senatrice Segre finalmente Besostri è collocato nella dimensione che gli spetta di vero artefice delle vittorie in Corte Costituzionale sul tema della legge elettorale giustamente definita come l'architrave di un sistema democratico. Nell'intervento della senatrice Segre si fa anche presente il paradosso delle forze politiche che, bocciate le leggi elettorali dalla Corte, hanno affidato la stesura di un nuovo testo nuovamente alla parte politica che aveva elaborato una delle formule bocciate: errare umanum est sed perseverare…
Non si può che auspicare che da questo intervento sorga a nuova spinta e una nuova attenzione per il delicato tema dell'espressione democratica delle cittadine e dei cittadini.
Franco Astengo

MATTEOTTI IN VIA ORNATO




mercoledì 15 maggio 2024

CONTRO LA GUERRA


Moni Ovadia

Video di Moni Ovadia su guerra, la terra, la dignità
https://youtu.be/kdK391oJqAQ?feature=shared
 

LA MIA CITTÀ 
di Dacia Maraini


 
Difficile per me raccontare la mia città, perché in realtà sono diverse le mie città: quella di nascita, Firenze, in cui ho abitato per 5 anni; Kyoto, dove ho conosciuto le favole raccontate dalla dolce voce di Okachan e l’amore per o grandi alberi abitati dagli spiriti gentili; Palermo che ho frequentato da adolescente e in cui ho studiato per otto anni. E infine Roma dove abito ormai da una vita.
Firenze mi ricorda il collegio della Santissima Annunziata: la bella villa medicea in cima al colle, proprio vicino a dove abitava mio nonno. E vicino anche all’antica casa di Galileo.  Era la città dell’Arno sulle cui rive andavamo in fila noi collegiali con la divisa grigia e il collettino bianco a respirare l’aria dantesca recitando a memoria alcune sue rime. È la città del mio momento religioso. Avevo una madonna dentro il banco e le portavo tutti i giorni dei fiori freschi. La notte prima di dormire, facevo una chiacchierata con il Gesù che pendeva dal mio capezzale, un corpo martoriato che cercavo di carezzare per rappacificarlo con la vita. Gli chiedevo che cos’è il dolore e come possiamo ingoiarlo e digerirlo. Firenze era la casa di mio nonno, non lontano dal collegio, dove crescevano i pini e i corbezzoli, le dalie e i limoni. Era la casa degli scalini di pietra, in cima a cui c’era la camera dove dormivo, accompagnata dal gocciolio dell’acqua che scorreva nei tubi; dove dalle   finestre aperte entravano in primavera certe farfalline gialle che si rincorrevano agitando, anzi frullando le piccole ali gialle.  Era anche la casa dove risuonavano le note di Bach e di Mozart e dove a ogni angolo ci si imbatteva nel ritratto in bianco e nero di mia nonna Yoi, la coraggiosa avventurosa, ragazza inglese che si metteva lo zaino in spalla e andava in giro per il mondo da sola negli anni 10 del secolo scorso.



Palermo è la città della mia adolescenza. Non felice perché l’educazione di Fosco e Topazia, fatta di libertà e responsabilità personale si scontrava le regole repressive di una società che ipocritamente nascondeva i suoi appetiti e la sua sensualità dietro interdizioni e divieti che rendeva pesanti le giornate. Nello stesso tempo rappresentava la gioia di un mare accogliente e sempre pulito in cui mi immergevo per pescare i ricci e mangiarli sulle rocce assieme agli amici. Era la città delle tante bellezze ma anche delle tante nuove bruttezze. Era la città in cui correvo in bicicletta, scrivevo i primi racconti e li pubblicavo sul giornale della scuola Garibaldi, mi innamoravo di un ragazzo bello e cinico, imparavo le prime schermaglie d’amore, e leggevo, leggevo fino a consumarmi gli occhi. I libri erano i miei compagni preferiti.



E veniamo a Roma, città che mi è stata ostica e misteriosa finché non l’ho conosciuta nelle sue radici. Ci vivevo con mio padre, dalle parti di piazza Bologna. Dalla finestra vedevo il cortile di una caserma, e mi svegliavo al suono della tromba militare. Roma è la scuola Mamiani, dove i giovani compagni di classe si preparavano in anticipo a saltare sul cavallo al galoppo della storia. E la città del Tevere e dei suoi segreti. Mi è sempre piaciuta l’acqua che scorre. Appena ho potuto mi sono trasferita vicino al fiume. Roma, quando ci sono arrivata, era stordita dalla guerra, ma i più avidi si stavano rimboccando le maniche per costruire, in barba a ogni legge protettiva della comunità, seguendo le sirene dell’abusivismo, enormi periferie senza regole né giardini. Roma è la città in cui ho fondato il teatro Centocelle, per dare voce a chi non l’aveva alla fine degli anni 60. Il quartiere era così povero e arretrato che quando andavo di porta in porta a raccontare della nascita di un teatro di cantina, la prima cosa che mi chiedevano era: Ma cosa vendete? Roma è stata la città dell’impegno, del teatro, della bulimia del conoscere, del desiderio spasmodico di cambiare il mondo e renderlo più giusto e umano. 
 
[Roma maggio 2024]