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sabato 18 maggio 2024
L’EDUCAZIONE DELLA PAROLA
di Patrizia Gioia
Don Milani
Il centenario della nascita di Don
Milani.
Nell’ultimo numero della nutriente
pubblicazione L’altra Pagina, il dossier è centrato sulla figura di don Milani
in occasione del centenario della sua nascita. Tra i molti punti che
vengono rivisitati, ne voglio condividere uno che trovo essenziale e urgente
per il momento che stiamo attraversando e che tocca anche il grande lavoro
sulla parola del nostro gruppo di Mille Gru con la Poetry Therapy: la cura
della parola. Bruna Bocchini già docente di Storia del Cristianesimo e
delle Chiese all’Università di Firenze, illumina magistralmente le figure che
hanno modellato l’esistenza di don Milani sottolineando la sua tradizione
familiare per comprendere il modo di insegnare di don Milani, la sua attenzione
filologica al significato e all’uso delle parole. La sua infatti non è una
scuola per dare una qualche formazione culturale di base, come tanti sacerdoti
avevano fatto e - dico io - molti continuano a fare, ma una scuola che voleva
educare all’uso consapevole della parola, strumento fondamentale per esprimere
le autonome prospettive culturali, politiche, economiche, sociali e
religiose. Orizzonte oggi completamente oscurato da una educazione e da
una cultura esiliate, oltre ad un esilio della meraviglia, della empatia,
della solidarietà, della gentilezza.
Don Milani vive in un ambiente
familiare equilibrato e affettivo con una grande tradizione culturale. Il
bisnonno, Domenico Comparetti, era stato un filologo, grecista, latinista, fra
i docenti di maggior rilievo dell’Università di Firenze: il nonno paterno,
Luigi Adriano Milani, era stato professore di archeologia allo stesso Istituto
di Studi superiori di Firenze e direttore del museo archeologico fiorentino. La
mamma, Alice Weiss, di origine triestina, era in contatto con gli ambienti più
fertili dell’intellettualità europea, soprattutto ebraica. Il nonno, Emilio
Weiss, era amico di Italo Svevo, suo nipote, Edoardo Weiss fu uno dei
primi allievi di Sigmund Freud, la madre di Lorenzo era legata a lui da una
forte amicizia, conosceva inoltre James Joice dal quale prendeva lezioni di
inglese. I genitori di Don Milani erano entrambi agnostici, così come le
famiglie di origine, si erano sposati con il rito civile e solo nel 1933,
iniziate le prime persecuzioni razziali in Germania, si sposarono con rito
cattolico e fecero battezzare i figli. Dunque un mondo aperto, colto,
festoso, pur se in un momento storico drammatico. Negli anni Don Milani si
fece portatore di potenti intuizioni educative che ancora oggi dovrebbero
risorgere, nonostante le molte censure patite, dal Governo e dalla Chiesa,
sempre poco inclini a formare uomini e donne capaci di responsabilità e
consapevolezza, capaci di un pensiero critico, capaci di dire No, quando il
troppo è troppo. Imparare dal passato è più che necessario, la storia non si
ripete mai uguale, siamo noi ad essere le mani di quel che ignorantemente chiamiamo
Destino e che non arriva mai a caso. In ogni specie, scrive Jung, i più
intelligenti sanno quando bisogna disobbedire.
E oggi è quel
tempo.
Don Milani |
LIBRI
di
Stefano Marino
Graziella Tonon
(foto di: Leonardo Cendamo)
Testimone
dell’istante.
Commento
a Storia di Margherita di Graziella Tonon edito da La Vita Felice,
Milano 2024.
Testimone
dell’istante, del momento. Un “istante, un momento”, dilatato dall’ anima del
tempo e fissato. Per sempre tenuto al caldo del cuore con fine sensibilità:
questa è Margherita.
L’istante
diventa storia, racconto e commozione. Il ricordo s’esalta e concretizza,
commuove nella bella semplicità del verso, pura d’ogni sfarfallio, d’ogni
retorica. Il momento che diventa particolare e viene fermato per un gesto: gli
occhi nel piatto del padre seguito da un “stai composta!” alla notizia
inaspettata dell’invasione dell’Ungheria. Gesti, parole, che vengono fissati,
conservati nel tempo da una attenta sensibilità. Un pozzo profondo dell’anima
pieno zeppo, filmato da occhi attenti e orecchie che conservano, registrano. E
il tempo che passa, non attenua il momento. Tutto resta lucido con la stessa
commozione dell’ora, del minuto in cui s’è compiuto! Le rime corrono facili e
veloci. Le parole s’innamorano fra di loro nell’armonia di versi asciutti, non
meditati, spontanei, sinceri, vibranti ancora dall’emozione innocente da cui
son nati. Ancora una volta Graziella Tonon ci regala la sua sensibilità con la
pudicizia che la guida e, di questo, le siamo grati. Accompagna l’opera la
pregevole postfazione di Antonio Prete.
Graziella Tonon (foto di: Leonardo Cendamo) |
NON CHIEDETE A RFI!
All’incontro pubblico proposto dalle Ferrovie in viale
Lavagnini Idra contesta, argomenta, documenta, interroga.
Una sorta di ring quello
con cui si sono avviati ieri a Firenze presso l’Istituto Comprensivo “Gaetano
Pieraccini”, nell’ottocentesco viale Spartaco Lavagnini, una delle arterie
critiche del progetto di doppio sotto-attraversamento Tav di Firenze, i magri
50 minuti di dibattito concessi alla popolazione in occasione dell’incontro organizzato dal
proponente l’opera, Rete Ferroviaria Italiana.
Già a partire
dall’illustrazione del programma da parte del referente di progetto ing. Fabrizio
Rocca e dell’assistente del direttore tecnico del Consorzio realizzatore
Florentia ing. Alessandro Zurlo, il pubblico ha manifestato l’esigenza di
chiarimenti sulle cause e le conseguenze del blocco dei lavori di scavo in
corso nelle viscere di Firenze, insieme alla preoccupazione parallela e
crescente di chi abita i luoghi sotto-attraversati dalla fresa, dopo i primi
‘imprevisti’ registrati sul ponte al Pino, in prossimità del fascio ferroviario.
La presenza di frotte di rilevatori che percorrono in su e in giù il viale Don
Minzoni a verificare sui sensori gli effetti dello scavo sui palazzi in
superficie sta incrementando in questi giorni il livello di ansia della
popolazione.
Al termine delle
diapositive, a prendere la parola è stata Idra,
l’associazione di cittadini che segue dai suoi esordi la progettazione e la
cantierizzazione Tav a Firenze.
“Mi scuso prima di tutto coi cittadini di Viale Lavagnini”, ha voluto precisare Girolamo
Dell’Olio. “Ho chiesto in anticipo di
poter intervenire perché negli incontri precedenti, fatti in ambienti magari scolastici
dove a una cert’ora bisogna andar via, non è stato possibile parlare né a noi
né a tanti altri residenti. Ma capisco che con 2 miliardi e 735 milioni di impegno
per quest’opera è un po’ difficile trovare ambienti un po’ più capienti e assicurare
un’informazione un po’ più estesa…”.
Idra,
ha spiegato il portavoce, segue, monitora e denuncia dal 1994 le pecche dei
progetti Tav e le gravi lacune informative che ne accompagnano la
realizzazione. “A luglio 1998 abbiamo presentato ai Ministeri dell’Ambiente e dei Beni
Culturali, e alla Regione Toscana, 30 cartelle di osservazioni sulla penetrazione
urbana e sulla stazione Alta Velocità di Firenze. A febbraio 1999 abbiamo
raccolto 91 atti di significazione e diffida trasmessi per le vie legali da altrettante
famiglie (molte sono di viale Lavagnini, magari sono presenti anche qui in
sala) nei confronti dei decisori che, il 3 marzo 1999, avrebbero approvato il
progetto, del quale paventavano ragionevolmente le possibili conseguenze sugli
edifici che insistono sul tracciato della talpa”.
Istituto Pierracini |
a) il clamoroso mancato collaudo dello ‘Scavalco’ Tav;
b) il degrado ambientale della prima galleria Alta Velocità realizzata a Castello, ammesso ma non risolto da Rfi, con l’aggravante della contaminazione fecale rilevata dall’ARPAT dopo la segnalazione di Idra in audizione presso l’Osservatorio;
c) l’accesso che le Ferrovie negano alla documentazione potenzialmente ‘esplosiva’ contenuta nel Verbale di accertamento redatto dalla Commissione di collaudo;
d) la disapplicazione della legge nel progetto dei quasi 14 km di sottoattraversamento da Campo di Marte a Castello, che il Comando dei Vigili del Fuoco di Firenze attesta essere privo del piano di emergenza, in barba a ben due decreti ministeriali emanati a tutela della sicurezza delle gallerie ferroviarie, oltre che alla logica e al buon senso;
e) le significative lacune dei ‘canali di comunicazione’ vantati da Rfi: neppure un numero di telefono è stato messo a disposizione dei cittadini per ricevere informazioni, o segnalare criticità, nonostante che proprio la responsabile della Direzione Investimenti e della Direzione Area Centro di Rfi ing. Chiara De Gregorio avesse chiesto, ancora a luglio dello scorso anno, un incontro a Idra per ottenere - assieme a questo - altri suggerimenti per il piano di comunicazione delle Ferrovie, tutti apparentemente apprezzati e diligentemente registrati.
Il pubblico, sbigottito! Non sono infatti, queste, notizie che circolano gran che sulla ‘grande stampa’. Circostanze ben note invece agli organizzatori dell’incontro e all’Osservatorio Ambientale, ha voluto sottolineare il rappresentante di Idra, costatando con amarezza come in soccorso alle incertezze e agli imbarazzi provenienti dal tavolo di Rfi sia accorso ripetutamente - quasi difensore d’ufficio - proprio il responsabile del Comune di Firenze. L’ing. Parenti si è peraltro lasciato sfuggire persino un ‘avvertimento’: “Certamente il professore è responsabile di quello che ha detto, e potrà essere perseguito!”. “Certamente! Magari!”, ha replicato Dell’Olio, mentre il pubblico mostrava ad alta voce di non condividere questo tipo di attenzioni nei confronti di chi segnala semplicemente e doverosamente il mancato rispetto delle norme. Si è sentito qualcuno sarcasticamente osservare: “La Meloni ci fa un baffo…!”.
Conclusa la premessa, Idra ha posto due domande di stretta attualità
dopo che l’ing. Rocca aveva ammesso, nel corso dell’esposizione introduttiva,
che dopo i primi 810 metri di scavo la fresa Iris ha dovuto fermarsi sotto
Viale don Minzoni: “Era un fermo
programmato, ma si è protratto indubbiamente di qualche settimana rispetto a
quelle che era l’ipotesi iniziale, perché il ciclo di gestione delle terre ha
una complessità abbastanza particolare…”.
La prima domanda è stata: “Quali criticità specifiche si sono
registrate nel corso dello scavo tali da costringere a un fermo così prolungato
della talpa? Esiste forse - come si vocifera - un problema di terre di scavo
con una forte componente argillosa che tarderebbero a essiccarsi e quindi a
risultare utilizzabili nei tempi previsti nel sito di deposito in Valdarno, a
Cavriglia?”.
“Non esiste un problema di argille che non seccano - ha replicato deciso
l’ing Rocca -, ma un tema legato al
rispetto dei parametri, ai tempi di restituzione delle analisi di laboratorio:
le modalità di campionamento hanno necessità di tempi più lunghi”.
Di più, di questi parametri,
non è stato dato sapere, tranne qualche cenno generico a “biodegradazione dei tensioattivi, caratterizzazioni degli agenti
presenti nel terreno, composizione naturale del terreno…”.
Presto però Idra confida di ricevere dall’ARPAT,
previo consenso dei controinteressati, i risultati delle analisi del Settore Laboratorio di
quell’Agenzia, e tutto sarà più chiaro. Sarebbe stato un bel guaio, infatti, se
si fosse scoperto solo adesso, dopo anni di istruttoria del CNR, piani di
utilizzo scritti e riscritti, campi prova e simulazioni, che quelle terre di
scavo non ‘maturano’ affatto nei giorni programmati per diventare suolo
biologicamente accettabile.
Ma un dato resta, ha osservato
acutamente un esponente del Comitato No Tunnel Tav: i lavori registrano già un
importante ritardo, che non potrà non riflettersi anche sui temi di avvio della
seconda fresa. Citando una lettera aperta inviata la mattina a RFI, ha chiesto
all’ing. Rocca di “fornire una revisione
del Programma lavori con tempi e costi aggiornati rispetto agli 830 milioni già
spesi prima dell’appalto attuale che vede ora un costo a preventivo di 2,735
miliardi”.
Nette e incoraggianti, anche in questo
caso, le parole dell’ing. Rocca: “Il programma ad oggi rimane l’ultimazione di tutti i lavori il
5 maggio 2029. Il costo dell’opera, quello di 2 miliardi e 735 milioni. La
risposta che io do è questa”.
Non ha inteso invece rispondere, il
referente di progetto di Rfi, alla seconda domanda posta da Idra: “E’
possibile sapere chi è il proprietario della talpa? Rfi o il consorzio
Florentia? È interessante per capire il rapporto che si potrà stabilire fra il
proponente e il realizzatore: abbiamo qualche esperienza di contenziosi nella
gestione degli appalti legati a danni e a varianti che si accumulano nel tempo.
Anche a Castello, appunto abbiamo notizia di un documento esplosivo che, appena
sarà pubblico, temiamo, permetterà di apprezzare il tipo di gestione anche
economica dell’opera”.
Domanda ripetuta, nessuna risposta.
Lesa maestà?
Davvero non numerosi, alla
fine, i partecipanti all’appuntamento in Viale Lavagnini, grazie a una
pubblicità opportunamente ‘discreta’ in città.
Non sono mancati però coloro
che hanno chiesto un contatto diretto con l’associazione, ritrovando se stessi
o altri conoscenti nel novero dei 91 firmatari degli atti di significazione e
diffida presentati 25 anni or sono. Ma sempre validi. Oggi più che mai.
Associazione di
volontariato Idra
REPRESSIONE DI STATO
di
Guido Salvini
Sonia Dahmani
Gli
arresti degli avvocati in Tunisia: quando a dover essere difesi sono i
difensori.
Proviamo
a immaginare un dibattito televisivo in cui si parla di giustizia, diritti e
della politica del governo. Una donna avvocato Sonia Dahmani esprime nel
dibattito critiche nei confronti del governo del presidente Kais Saled con
commenti ironici sulla sua politica. Viene quindi arrestata, praticamente in
diretta, per aver diffuso false informazioni che nuocciono alla sicurezza
pubblica, da poliziotti mascherati che con la violenza la trascinano in carcere
e con lei vengono fermati un conduttore televisivo e un giornalista.
L’intera scena è ripresa dalle telecamere di France 24 e il video fa il giro
del mondo. Dopo l’arresto di Sonia Dahmani la repressione è continuata. La
mattina del 14 maggio una squadra di agenti ha fatto irruzione nella sede
dell’Ordine degli avvocati di Tunisi, un luogo simbolico per la giustizia, e ha
arrestato Mahdi Zagrouba, un avvocato impegnato anch’egli nella difesa dei
diritti umani e critico nei confronti del governo. Già nel 2023 era stato
processato, interdetto dall’esercizio della professione e aveva intrapreso uno
sciopero della fame di protesta. Anche in questo caso un video ha ripreso la
scena, un blitz degno di un regime militare.
Sonia Dahmani |
Mahdi Zagrouba
Siamo
in Tunisia un paese ove pur è nata la prima “primavera araba” ma che ora sta
scivolando verso la dittatura, diviso dall’Italia solo da un braccio di mare e
che certo non ci è estraneo perché in Italia vivono centinaia di migliaia di
tunisini. Certamente se accadesse qualcosa di simile in Italia tutti i Tribunali
si fermerebbero immediatamente e ugualmente immediata sarebbe la reazione dei
mass media. Il sistema di democrazia liberale, nonostante i suoi difetti e le
sue incertezze, infatti non dimentica che senza gli avvocati e il diritto di
libertà parola di cui sono intrinsecamente portatori dentro e anche fuori dalle
aule di giustizia, tutti cesserebbero di essere cittadini per diventare solo
sudditi. Per fortuna anche gli avvocati tunisini, pur in una situazione che
diventa sempre più difficile, sono scesi immediatamente in sciopero. Hanno
bisogno di tutta la nostra solidarietà. Purtroppo nei paesi autocratici le
incarcerazioni, i processi, le intimidazioni nei confronti di avvocati che
cercano di difendere gli oppositori, i giornalisti, i blogger, gli artisti o
anche cittadini comuni o che comunque nel
loro ruolo criticano da un punto di vista legale la politica dei regimi, non
sono casi isolati ma ormai una lista lunghissima che spazia da un capo
all’altro del globo.
Alexei Gorinov
Nella Russia di Putin, Alexei Gorinov, avvocato e deputato del distretto di Mosca, è stato condannato nel 2022 a 7 anni di carcere per aver osato esortare la società civile a fare ogni sforzo per fermare la guerra. È stato condannato in base alla famigerata legge che punisce come attentato allo Stato ogni dissenso sulle scelte militari del Governo. È in cattive condizioni di salute, come tutti i detenuti politici è molto vulnerabile e completamente nelle mani delle autorità carcerarie e rischia di fare la fine di Navalny.
Li Yuhan
In
Cina Li Yuhan, avvocata impegnata nella difesa dei diritti umani, è detenuta in
modo arbitrario dal 2017 ed è ancora in attesa di un processo e di una
sentenza. Ha più di 70 anni e anch’ella è in gravi condizioni di salute, in
carcere ha avuto attacchi cardiaci e danni alla deambulazione, alla vista e
all’udito.
Nasrin Sotoudeh
Poi c’è l’Iran in cui il regime teocratico ha forse il triste primato delle impiccagioni e delle torture e della repressione insieme degli oppositori e di coloro che cercano di assisterli sul piano legale. Il simbolo della lotta degli avvocati in quel paese è Nasrin Sotoudeh che ha difeso i manifestanti che sono scesi in piazza contro il regime dopo l’omicidio della giovane Mahsa Amini e che ha la duplice “colpa” di essere avvocato e di essere donna.
Mahsa Amini
Nasrin è stata
condannata a 38 anni di prigione, 38 anni leggete bene, e 148 frustate, per
propaganda contro lo Stato islamico e incitamento alla “corruzione” dei
costumi, è stata detenuta nell’orribile carcere di Evin ed è ora precariamente
in stato di libertà. In suo favore si sono mossi gli avvocati di tutto il
mondo.
Ma
persecuzioni di questo genere non sono appannaggio solo dei regimi autoritari
più noti le cui iniziative aggressive riempiono le pagine dei giornali.
In
molti paesi in cui non esiste ancora una democrazia completa o in cui la
democrazia fa addirittura passi indietro, dalla Turchia del “sultano” Erdogan al
Marocco, dal Messico al Nicaragua, dalla Nigeria alle Filippine si registrano
casi simili: in quest’ultimo paese Maria Samata Liwliva Alzate, avvocata
dedicata alla difesa dei diritti umani, è stata uccisa nel settembre 2023 davanti
alla sua abitazione dopo aver denunciato le torture e gli arresti illegali
operati dalla Polizia filippina.
Riproduciamo questo simbolo
della morte perché sono state eliminate
tutte le foto di Maria Samata da Google
Che
cosa si può fare per difendere la vita degli avvocati che in tutto il mondo
sono un presidio permanente dei diritti e della libertà dei cittadini dei loro
paesi? Innanzitutto tenere alta l’attenzione mediatica e sui mezzi di informazione
affinché essi non siano dimenticati. Per questo è nata nel 2015, anche su
impulso dei Consigli Nazionali Forensi italiani, l’OIAD, l’Osservatorio
internazionale degli avvocati in pericolo che fornisce assistenza materiale e
anche supporto morale agli avvocati che lavorano nei paesi a rischio e richiama
l’attenzione della politica, delle istituzioni e delle società sugli avvocati
la cui libertà di esercitare la loro funzione e la loro stessa libertà è
minacciata. Il 24 gennaio è la giornata internazionale dedicata dall’Osservatorio
agli avvocati in pericolo. La data, ricordiamolo, è stata fissata
nell’anniversario della Matanza di Atocha quando, il 24 gennaio 1977, negli
ultimi sussulti del franchismo, un commando di terroristi di destra fece
irruzione in uno studio legale che si occupava dei diritti dei lavoratori
uccidendo a raffiche di mitra 5 tra avvocati e loro collaboratori. Una strage
che ricordo molto bene dalle mie indagini sull’eversione di destra.
E
nell’immediato cosa si può fare? Gli avvocati milanesi e di altre città si
stanno mobilitando e servirebbe un presidio di protesta in toga, magari insieme
a qualche magistrato, dinanzi ai consolati dalla Tunisia per ricordare a quel
governo, che sta facendo le prove generali di una dittatura, che gli avvocati
di quel paese non sono soli e che i diritti non possono evaporare da una sponda
all’altra del Mediterraneo.
della morte perché sono state eliminate
tutte le foto di Maria Samata da Google
giovedì 16 maggio 2024
UN VOTO CONTRO LA GUERRA
di
Adam Vaccaro
Perché
voterò Pace Terra Dignità.
Il
poeta e critico letterario lo spiega a “Odissea”
Caro
Angelo,
mi
hai invitato a scrivere le mie motivazioni e intenzioni di voto. Potrei dire,
sinteticamente, che sono radicate nel bisogno di non arrendersi alla miseria
umana in cui stiamo precipitando, e puntare più in alto.
Da
40 anni siamo andati avanti a votare il meno peggio, in un esercizio
democratico sempre più solo coperta ideologica. E siamo arrivati a un punto di
degrado e tradimento degli interessi della maggioranza della popolazione, che
spinge quest’ultima a un atteggiamento di comprensibile rigetto, di una cloaca
politica, fatta di chiacchiere retoriche prive di ogni rapporto con i problemi
reali di crescenti dolorose condizioni sociali e, per un numero crescente,
invivibili, privi di minime legalità e protezione. Un clima tendente a forme di
barbarie, cui le varie forze politiche non hanno e non attuano alcun serio
programma di soluzioni. Sappiamo bene che le destre hanno radici autoritarie e
regressive, ricoperte di declamazioni vuote di libertà, sicurezza e difesa di
interessi nazionali. Ma le sinistre parlano di diritti individuali e di difesa delle
minoranze, che non escludono pratiche transumane di un progressismo liberistico
e buonismi favorevoli a una immigrazione senza controllo. Sono versanti
ideologici che favoriscono problemi irrisolti e caos. Un caos che diventa
condizione di coltura ideale per gli interessi dominanti e le forze ad essi
asservite, anche se da versanti ideologici apparentemente contrapposti, ma
sostanzialmente consoni ai dettami ideologici a difesa del saggio di profitto
del neoliberismo, che vuole distruggere lo Stato sociale – dalla sanità alla
scuola pubbliche, a una struttura minimamente degna e funzionale dello Stato. Diceva
Primo Levi, già negli anni ’70, che ogni fase capitalistica genera il suo
fascismo, che “non necessariamente” si manifesta “col terrore dell’intimidazione
poliziesca, ma anche negando e distorcendo l’informazione, inquinando la
giustizia, paralizzando la scuola”.
È
un processo di asservimento delle forze politiche, scientificamente avviato dai
Draghi ai Monti agli altri architetti al lavoro sin dagli anni’80, di un futuro
dominato dal capitale finanziario globalizzato. Privatizzare e rapinare tutto,
ogni bene pubblico, liberi da tutti i lacci e lacciuoli, ripetuto come un
mantra, contro quel rompiscatole dello Stato che pretendeva di imporsi al
Capitale. Un fascismo in loden e senza doppiopetto. Il disegno e la china
comprarono chi doveva opporsi e ormai è il capitale che impone quei lacci e
lacciuoli alle isole di polis che resistono al deserto che avanza. In questo lungo processo di tradimento
pubblico, sono nate resistenze populiste, come i 5Stelle. Le quali hanno
oscillato tra destra e sinistra e a tratti hanno dato speranza di poter
invertire il moto del degrado.
Gli
ultimi anni hanno evidenziato una contraddizione insanabile tra l’ideologia
della globalizzazione, con declamazioni di orizzonti di liberi movimenti di merci,
persone e capitali, e il cuore imperialistico del Capitale, che mira ad
ampliare aree di influenze, con tutti i mezzi, dalla corruzione agli armamenti,
a sbocchi crescenti di guerra. Sono gli orizzonti in cui stiamo vivendo, entro
i quali sono omologate, come detto, sia le destre che le sinistre storicamente
costituite nel secolo scorso.
In
tale contesto, sempre più tragico, la soluzione può venire da una forza
populista? Forze di questo tipo, non si costituiscono con visione e obiettivo
fondante, di invertire strategicamente la rotta, ma di utilizzare i punti
dolorosi al fine primario di salvare la propria esistenza. Posso capire coloro
che, nella situazione disperante attuale, affidano le proprie speranze a chi
almeno dice di non volere le guerre imperialistiche in atto. Ma, dopo decenni
di scelte del meno peggio, non è ora di accettare la sfida storica, almeno per
chi difende la visione dell’utopia umana di immaginare una forma sociale non
più ignobilmente predatoria come quella attuale? La quale pretende di definire civiltà
una struttura in cui l’1% della popolazione mondiale, possa avere il diritto di
acquisire il 90% della ricchezza prodotta. È la crescente povertà dei più che
diventa la madre sempre incinta di violenze e guerre orizzontali tra poveri. E
che è anche condizione che riduce la capacità critica verso il dominio
verticale e le guerre tra le principali teste imperialistiche contemporanee –
che sono tutte uteri antiumani, USA, Russia e Cina, ma ovviamente dipingono l’Altro
come la sola fonte criminale, rispetto alla quale occorre continuare ad
armarsi. Penso che oggi, in questa situazione, occorra guardare più in alto, e
accettare la sfida storica di coltivare il seme di una struttura nata non solo per
protesta contro la cloaca dominante, ma per visione di un’altra realtà. Se Pace
Terra Dignità ha il DNA di tale seme, dipenderà anche da noi, ma se rinunciamo a
priori, sopraffatti dal timore di non raggiungere nemmeno il 4%, allora
accettiamo la nostra povertà umana e accontentiamoci del meno peggio.
[15
maggio 2024]
COMPIACERE BIDEN
di
Luigi Mazzella
Premierato
e separazione delle carriere
Dal
momento in cui le due italiche “pulzelle”, la nera Giorgia Meloni e la rossa Elly Schlein, entrambe imbracciando l’ascia di
guerra per correre in soccorso, secondo il motto di Ennio Flaiano, del presunto
vincitore (Joe Biden) contro l’odiato e sperato perdente Wladimir Putin, e
ambedue indossando una stessa maglia (prevedibilmente con i colori di una
rosso-nera) hanno deciso di fare squadra comune, pur restando in competizione per avere “del cor di Federico ambo le
chiavi”, è diventato particolarmente difficile, per i commentatori politici, soddisfare
le attese degli ultras dell’una e dell’altra “guerriera”, che sono
rimasti, in modo acefalo, “nemici irriducibili”, come dimostrano gli scontri duri
nelle piazze e lo scambio di epiteti feroci sui social.
In
altre parole, per i giornalisti italiani, “Mala tempora currunt”, come
mai sinora era avvenuto.
Negli
anni della cosiddetta “guerra fredda” il gioco era stato per essi piuttosto
facile.
1)
Usando la penna in direzione filo-statunitense si potevano confortare i propri,
oltranzisti lettori con l’immagine rassicurante dell’ombrello protettivo a
stelle e a strisce (nascondendo che esso divenisse sempre di più con il passare
degli anni grondante del sangue di Coreani, Vietnamiti, Afghani, Libici e via
dicendo).
2)
Usando, invece, la scrittura in direzione opposta si poteva dire che in base a
una clausola del Trattato di pace, voluta dagli Americani, all’Italia non era
consentito crescere economicamente e che quindi essa andava tenuta lontana dai
Paesi possibili fornitori di fonti energetiche, come dimostravano chiaramente i
tragici destini di Enrico Mattei (ricercatore autonomo e oppositore della
politica delle “Sette Sorelle” petrolifere), di Aldo Moro e di Bettino Craxi
(palesemente filo-arabi e attenti all’oro nero posseduto da paesi fuori
dell’orbita statunitense come necessario allo sviluppo produttivo
dell’industria italiana).
Un
vero e sconvolgente “colpo di scena” si era avuto con il crollo dell’impero
sovietico dovuto alle mine innescate dalla CIA, dal Vaticano (di Woytila ma soprattutto
di Marcinkus) e secondo voci (incontrollabili) dallo stesso KGB, sensibile
all’intento di ricchi oligarchi della Nomenklatura bolscevica di spendere i
soldi accumulati in lunghi anni di attività svolta (a loro dire) in favore del “comunismo ugualitario”.
I
partiti occidentali, orfani di Stalin e dei suoi successori, guidati dai loro riconosciuti leader,
si erano recati in un’immaginaria processione a Washington per poter chiedere di correre anch’essi in soccorso del
vincitore nordamericano.
I
giornalisti erano divenuti, ormai, consapevoli della mutata realtà e non
s’aspettavano un ulteriore “coup de foudre”.
Ed
invece, come Paolo di Tarso sulla via di Damasco, la voce insolitamente
risoluta dell’incespicante Biden aveva convinto Giorgia Meloni, in procinto di
diventare “Capo del governo” italiano, a non prendersela più con l’Unione
Europea e con la NATO considerandole sue creature predilette, a smetterla con il
pacifismo, lasciandolo all’Angelus di papa Bergoglio e alle “prediche inutili”
di Guterres e a servirsi di un vero esperto di armi per il Dicastero della
Difesa del suo nascente Consiglio dei Ministri.
Tutto
chiaro, allora, per i giornalisti del “Bel Paese”?
No…
solo fino a un certo punto.
Come
nel romanzo di Luciano Zoccoli, un’acuminata “Freccia nel fianco” rende
faticoso il cammino della Meloni: è un’arma micidiale a doppia punta, la prima,
del tutto inutile anche per i suoi fautori, riguarda il “Premierato”, la
seconda, ritenuta necessaria da tantissimi italiani, è “la separazione delle
carriere in Magistratura”. Sotto questo secondo aspetto, la Presidente del
Consiglio Italiana, nell’assecondare il suo Ministro, Carlo Nordio, nel suo pur
nobilissimo intento di separare la carriera dei pubblici Ministeri da quella
dei giudici, incontrerebbe molto verosimilmente il diniego di Biden.
Perché?
Perché se la magistratura italiana, costituzionalmente proclamata indipendente
e autonoma, con le sue sentenze e prima ancora con gli avvisi di garanzia a
gogò dei pubblici ministeri ha potuto,
senza chiedere ai politici di promuovere riforme radicali della Costituzione, far
passare l’Italia, come desiderato molto verosimilmente a Washington, da una
prima repubblica (che si riteneva finita nelle mani poco controllabili di Craxi)
a una seconda repubblica più prona e malleabile
e da quest’ultima a uno Stato governato addirittura dal principio minoritario
in luogo di quello maggioritario, si può veramente credere che Giorgia Meloni,
legata (a filo doppio) alla politica di Washington, voglia seguire Carlo Nordio
e dare un dispiacere al Presidente nord-americano (anche se in più che
probabile uscita) circa l’utilità di rendere sempre praticabile in tutto
l’Occidente l’uso politico della giustizia?
Agli
individui di sufficiente acume politico l’ardua sentenza.
LILIANA SEGRE RICORDA FELICE BESOSTRI
È
un dovere della parte democratico-costituzionale che ancora è presente in
questo paese diffondere a largo raggio quale vero e proprio
"Manifesto" dell'opposizione l'intervento della senatrice Liliana
Segre sul tema del premierato. L'intervento contiene anche un elemento di vera
e propria commozione: il ricordo di Felice Besostri, infaticabile difensore
della democrazia e dei diritti di espressione politica. Nell'intervento della
senatrice Segre finalmente Besostri è collocato nella dimensione che gli spetta
di vero artefice delle vittorie in Corte Costituzionale sul tema della legge
elettorale giustamente definita come l'architrave di un sistema democratico. Nell'intervento
della senatrice Segre si fa anche presente il paradosso delle forze politiche
che, bocciate le leggi elettorali dalla Corte, hanno affidato la stesura di un
nuovo testo nuovamente alla parte politica che aveva elaborato una delle
formule bocciate: errare umanum est sed perseverare…
Non
si può che auspicare che da questo intervento sorga a nuova spinta e una nuova
attenzione per il delicato tema dell'espressione democratica delle cittadine e
dei cittadini.
Franco
Astengo
mercoledì 15 maggio 2024
CONTRO LA GUERRA
Moni Ovadia
Video di Moni Ovadia su guerra, la terra, la
dignità
https://youtu.be/kdK391oJqAQ?feature=shared
LA MIA CITTÀ
di
Dacia Maraini
Difficile
per me raccontare la mia città, perché in realtà sono diverse le mie città:
quella di nascita, Firenze, in cui ho abitato per 5 anni; Kyoto, dove ho
conosciuto le favole raccontate dalla dolce voce di Okachan e l’amore per o
grandi alberi abitati dagli spiriti gentili; Palermo che ho frequentato da
adolescente e in cui ho studiato per otto anni. E infine Roma dove abito ormai
da una vita.
Firenze
mi ricorda il collegio della Santissima Annunziata: la bella villa medicea in
cima al colle, proprio vicino a dove abitava mio nonno. E vicino anche
all’antica casa di Galileo. Era la città
dell’Arno sulle cui rive andavamo in fila noi collegiali con la divisa grigia e
il collettino bianco a respirare l’aria dantesca recitando a memoria alcune sue
rime. È la città del mio momento
religioso. Avevo una madonna dentro il banco e le portavo tutti i giorni dei
fiori freschi. La notte prima di dormire, facevo una chiacchierata con il Gesù
che pendeva dal mio capezzale, un corpo martoriato che cercavo di carezzare per
rappacificarlo con la vita. Gli chiedevo che cos’è il dolore e come possiamo
ingoiarlo e digerirlo. Firenze era la casa di mio nonno, non lontano dal collegio,
dove crescevano i pini e i corbezzoli, le dalie e i limoni. Era la casa degli
scalini di pietra, in cima a cui c’era la camera dove dormivo, accompagnata dal
gocciolio dell’acqua che scorreva nei tubi; dove dalle finestre aperte entravano in primavera certe
farfalline gialle che si rincorrevano agitando, anzi frullando le piccole ali
gialle. Era anche la casa dove
risuonavano le note di Bach e di Mozart e dove a ogni angolo ci si imbatteva
nel ritratto in bianco e nero di mia nonna Yoi, la coraggiosa avventurosa,
ragazza inglese che si metteva lo zaino in spalla e andava in giro per il mondo
da sola negli anni 10 del secolo scorso.
Palermo
è la città della mia adolescenza. Non felice perché l’educazione di Fosco e
Topazia, fatta di libertà e responsabilità personale si scontrava le regole
repressive di una società che ipocritamente nascondeva i suoi appetiti e la sua
sensualità dietro interdizioni e divieti che rendeva pesanti le giornate. Nello
stesso tempo rappresentava la gioia di un mare accogliente e sempre pulito in
cui mi immergevo per pescare i ricci e mangiarli sulle rocce assieme agli
amici. Era la città delle tante bellezze ma anche delle tante nuove bruttezze.
Era la città in cui correvo in bicicletta, scrivevo i primi racconti e li
pubblicavo sul giornale della scuola Garibaldi, mi innamoravo di un ragazzo bello
e cinico, imparavo le prime schermaglie d’amore, e leggevo, leggevo fino a
consumarmi gli occhi. I libri erano i miei compagni preferiti.
E
veniamo a Roma, città che mi è stata ostica e misteriosa finché non l’ho
conosciuta nelle sue radici. Ci vivevo con mio padre, dalle parti di piazza
Bologna. Dalla finestra vedevo il cortile di una caserma, e mi svegliavo al
suono della tromba militare. Roma è la scuola Mamiani, dove i giovani compagni
di classe si preparavano in anticipo a saltare sul cavallo al galoppo della
storia. E la città del Tevere e dei suoi segreti. Mi è sempre piaciuta l’acqua
che scorre. Appena ho potuto mi sono trasferita vicino al fiume. Roma, quando
ci sono arrivata, era stordita dalla guerra, ma i più avidi si stavano
rimboccando le maniche per costruire, in barba a ogni legge protettiva della
comunità, seguendo le sirene dell’abusivismo, enormi periferie senza regole né
giardini. Roma è la città in cui ho fondato il teatro Centocelle, per dare voce
a chi non l’aveva alla fine degli anni 60. Il quartiere era così povero e
arretrato che quando andavo di porta in porta a raccontare della nascita di un
teatro di cantina, la prima cosa che mi chiedevano era: Ma cosa vendete? Roma è
stata la città dell’impegno, del teatro, della bulimia del conoscere, del
desiderio spasmodico di cambiare il mondo e renderlo più giusto e umano.
[Roma
maggio 2024]