UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

mercoledì 11 dicembre 2024

LO VUOLE L’EUROPA?
di Franco Continolo


 
Lo vuole l’Europa” (dove Europa sta per UE) un tempo era l’espressione usata dai governi per far digerire provvedimenti impopolari, e/o per scaricarsi di responsabilità. Oggi il suo significato è molto più sinistro: l’UE vuole infatti riarmo, guerra e colpi di stato. La distanza dagli ideali del dopoguerra è dunque abissale: allora si era finalmente capito ciò che Von Moltke aveva capito dopo Sedan, ossia che la guerra è risolutiva solo se porta all’annientamento del nemico - Von Moltke aveva a suo modo ragione: non aver annientato la Francia allora ha portato ad altre due guerre ben più sanguinose. Gli europeisti trassero dall’ammonimento del generale prussiano l’insegnamento giusto: occorre trovare le soluzioni politiche che consolidino la pace. Di questo imperativo gli europei si sono però ben presto dimenticati; così, quando Gorbaciov prima, poi Putin, offrirono su un piatto d’argento la proposta di una pace duratura in Europa, essi ci sputarono sopra. È questa idiozia? È rincoglionimento? È viltà - meglio stare sotto il giogo americano? Come diavolo va chiamato questo comportamento irrazionale che rinnega il principio su cui si è costruita l’UE? Sono i pensieri cui porta la lettura del semplice, e perciò meritevole, articolo di Ian Proud, il quale ci informa che Salomé Zourabichvili, la golpista presidente georgiana, non solo è nata in Francia - questa non sarebbe una colpa - ma è una diplomatica francese.
 
*
DOVE STA ANDANDO L’EUROPA?
di Ian Proud


 
È ora di smettere di incolpare la Russia per i mali dell’Europa.
 
In Georgia, gli americani e gli europei stanno sponsorizzando attivamente il tentativo di spodestare il governo democraticamente eletto di Georgia Dream, in circostanze davvero sconcertanti. Dopo aver congelato a tempo indeterminato il processo di adesione della Georgia all’UE nel luglio di quest’anno, gli europei si sono arrabbiati per la decisione del governo georgiano di confermare il congelamento dei colloqui fino al 2028 (che è molto prima che a tempo indeterminato). La presidente al potere della Georgia, in realtà una diplomatica francese, sembra determinata a rimanere in carica per portare avanti il ​​cambio di regime, nonostante il suo mandato costituzionalmente assegnato sia giunto al termine. È ampiamente applaudita nelle capitali dellUE e a Washington come una moderna Giovanna d’Arco. Un’inarrestabile valanga di propaganda di stato presenta il Presidente Putin come il più cattivo di tutti i tempi. Il Ministero degli Esteri britannico ha istituito una propria unità di propaganda nel 2014 appositamente per riempire le onde radio con storie su come Putin avesse torto e noi avessimo ragione. Dopotutto, ogni campagna di propaganda ha bisogno di un nemico chiaramente definito. I cittadini europei in difficoltà devono quindi accettare le difficoltà economiche, l’arretramento democratico (un eufemismo liberale occidentale) e un aumento del rischio di immolazione nucleare sull'altare della sconfitta di Vlad il Terribile.


 
Eppure, l’Europa si sente meno sicura ora rispetto ai tempi della Guerra Fredda, non a causa di ciò che sta accadendo in Russia, ma a causa di ciò che sta accadendo nella stessa Europa. Chiunque pensi che una Germania in declino industriale, minacciata da una crescita del sentimento di estrema destra, e senza una leadership politica chiara vada sostanzialmente bene, dovrebbe riportare la mente agli anni Trenta. Il difetto intellettuale fondamentale  dell’internazionalismo di Macron è che vuole interagire solo con gli stranieri che si comportano come dli artefatti burocrati di Bruxelles. I leader europei hanno perso la capacità di guardare al panorama strategico in modo chiaro e imparziale, mettendo al primo posto gli interessi dell’Europa. Dal 2014, le élite europee si sono inevitabilmente legate all’ossessione del partito democratico americano di sconfiggere la Russia perché non gli piace avere a che fare con Putin. Ciò ha portato a una rottura quasi completa e autodistruttiva dei legami economici tra Europa e Russia. Questa divisione nelle relazioni economiche ha senza dubbio contribuito all’aumento del nazionalismo e della tensione politica in tutta Europa, mentre i cittadini lottano per pagare le bollette e si chiedono perché vengono risucchiati in una guerra inutile. Come ho già detto molte volte, la pace nell’Europa continentale dopo la seconda guerra mondiale è emersa in gran parte quando i paesi precedentemente in guerra cercavano di approfondire i legami economici, per creare ragioni per vivere in armonia. Stiamo progressivamente, e pericolosamente, gettando via quell’eredità di pace duramente conquistata. L’ironia più grande, anche se, forse, non la sorpresa più grande, è che la discordia e la guerra in Europa hanno solo avvantaggiato l’economia degli Stati Uniti.

[Trad. it. di Franco Continolo]

PULZELLE
di Luigi Mazzella


 
 
Sta per uscire in libreria il volume da me scritto, L’Occidente al tempo delle pulzelle (edito da Avagliano). Conseguentemente, nella nota odierna, mi soffermerò sulle protagoniste del mio libro, al fine di aggiornare, per così dire, la loro immagine, per i destinatari delle mie e-mail. Il “girellismo” politico della pulzella italica, icasticamente espresso dal motto “Francia o Spagna, purché se magna”, ha trovato una sua più compiuta e ampia espressione quando Giorgia Meloni, si è dimostrata capace di svenevolezze e teneri abbandoni sulle spalle “a Dio piacenti” e, invece, “spiacenti  agli inimici sui”, (come potremmo dire, parafrasando il Dante Alighieri del III Canto dell’Inferno, facendo subire alla “esse” del nostro alfabeto, nel primo termine del verso, lo stesso destino di caduta del “sigma” intervocalico della lingua greca antica). È divenuto chiaro agli italiani che con una “pulzella” così ben disponibile a deporre l’ascia di guerra, da poco imbracciata per compiacere Biden (quasi un’ultima sigaretta come quella che si offre  ai condannati a morte) e pronta a parlare di pace con Donald Trump, i rischi per l’Italia di essere colpita da un missile a lunga gittata in risposta a quelli “donati” dall’America a Volodymyr Zelensky, diminuiscono e c’è la speranza che perfino l’incontro con Vladimir Putin, con connessi abbracci e ammiccamenti,  possa rientrare tra i prossimi traguardi della Presidente italiana. Tempi meno chiari e limpidi sembrano invece profilarsi per le altre due “pulzelle”. 



La seconda, italiana anch’essa (pur se di gotico nome: Schlein) potrebbe essere tentata anche lei di sfoderare il suo non proprio accattivante sorriso per piacere a Trump… ma la precedente e quasi uguale “chiostra dei denti” mostrata (anche nelle circostanze meno allegre) della Kamala ridens e la vicinanza ideologica (si fa per dire, trattandosi solo di condivise banalità pauperistiche) tra i due partiti (italiano e statunitense) entrambi sedicenti (molto sedicenti) “democratici” non gioca a suo favore. E ciò anche perché quell’intesa ricorrente con un uomo del nostro firmamento politico cui il Presidente americano ha reso plurale in nome di battesimo per fare intendere, al colto e all’inclita, di aver compreso la “doppiezza” del suo gioco politico e capito il suo poco noto ma consequenziale (per le sue simpatie) collegamento con ambienti americani non proprio a lui vicini non è certamente d’aiuto alla “pulzella rosso-sbiadita”. 



Resta da considerare la pulzella teutonica, Ursula Von der Leyen. Orbene, io credo che, a dispetto di una sua eventuale, tendenziale propensione al cambio di casacca, la nostra guerriera in gonnella dovrà starsene alla finestra per un po’ di tempo, con l’ascia di guerra ben nascosta. “America first” potrebbe riservare delle sorprese, alla sua “Europa”, quella che comincia a piacere meno a tutti (eccetto che a CIA, FBI, Pentagono e Lobby bancaria di Wall Street e della City).

 

MAI PIÙ PIAZZA FONTANA



Centro Studi Circolo Caldara via De Amicis n. 17 a Milano

ALLA GALLERIA BAGUTTA
Corso Garibaldi n. 17 a Milano


Cliccare sulla locandina per ingrandire


A TRIESTE CONTRO LA GUERRA




martedì 10 dicembre 2024

IL MONDO MULTIFORME DI BAJ
di Angelo Gaccione


Enrico Baj

Prima di andare a vedere la mostra di Enrico Baj alla Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale qui a Milano, ho voluto andare a rileggermi l’intervista che gli avevo fatto oltre un ventennio fa, confluita poi nel volume pubblicato nel 2001 dalla Viennepierre edizioni sotto il titolo: Milano la città e la memoria. L’ho fatto per almeno due ragioni: perché il rapporto dell’artista Baj con le istituzioni pubbliche della città in cui era nato il 31 ottobre del 1924 (giusto un secolo fa), non era stato dei migliori; e perché volevo rinfrescarmi la memoria a proposito di quella che lui stesso nell’intervista definisce “una grande messa in scena di dodici metri di larghezza per 4 o 5 di altezza, più cinque di sporgenza”. 


Baj in una foto giovanile

Mi sto riferendo alla gigantesca installazione realizzata nel 1972 dal titolo I funerali dell’anarchico Pinelli, perché è proprio con la creazione di quest’opera di denuncia sull’omicidio del ferroviere e partigiano Giuseppe Pinelli, che il rapporto fra Baj e Milano sarà destinato a divenire conflittuale e insanabile. L’opera avrebbe dovuto essere esposta nella Sala delle Cariatidi di quell’anno, in occasione della mostra che il Comune aveva fissato a Palazzo Reale, ma un evento tragico e inaspettato farà saltare tutto. Ecco come Baj lo racconta nella mia intervista: “L’inaugurazione della mostra doveva aprirsi il 17 maggio del 1972, il giorno stesso in cui alle 9 del mattino una mano misteriosa sparò al commissario Calabresi…”. Per i lettori più giovani ricordiamo che era stato il commissario Luigi Calabresi a convocare in questura Pinelli da cui uscirà cadavere. 



“La mostra, preparata con gli auspici e con l’accordo del Comune di Milano, fu censurata e mai più riaperta, per via di quella magnifica coincidenza dell’inaugurazione con la soppressione del commissario Calabresi”. Il Comune “era stato sopraffatto dagli eventi”, continua Baj “la destra indicava in me uno dei principali agenti della sedizione, se non addirittura l’ispiratore di quel gesto delittuoso”. Insomma, niente mostra a Palazzo Reale, e l’installazione non venne più esposta a Milano; in compenso venne, nel corso degli anni, ospitata nelle città principali di mezzo mondo. Non andò meglio con quello che era stato battezzato “Spazio Baj”. Era stato aperto a Palazzo Dugnani in via Manin, “uno dei più bei palazzi di Milano” che contiene anche “un affresco meraviglioso del Tiepolo” mi diceva orgoglioso Baj, nel 1986-1987, con una forte donazione: “Ottocento incisioni, cento multipli, una decina di pezzi unici”, ma ha avuto vita breve, “Ha funzionato un anno o due”. I giudizi negativi che allora esprimeva Baj nei confronti della gestione pubblica dell’arte a Milano, erano molto severi, e ne aveva pienamente ragione. 



Questa mostra compresa sotto il titolo “Baj chez Baj” messa in piedi a distanza di oltre mezzo secolo, suona come un vero e proprio atto di risarcimento. Una tardiva riparazione della città, nei confronti di uno dei suoi artisti più geniali ed inventivi. L’installazione del Pinelli arriva nella Sala delle Cariatidi a ridosso dell’anniversario della strage di piazza Fontana e della morte dell’anarchico. E ci arriva con tutta sua forza dolente e drammatica per ammonirci e farci riflettere, come voleva il suo artefice. Ci arriva accompagnata dall’altra gigantesca installazione dal titolo Apocalisse (1978-1983) affollata di mostri divoratori, di occhi, di mani mozzate, di bisce, di arti monchi, di volti umani grotteschi, di teschi, di visceri, di animali, e da un corpus di circa una cinquantina di opere, se non ho contato male. Tra queste spiccano le figure picassiane, i generali che l’artista prende di mira e mette alla berlina appuntando contro le gerarchie militari e il militarismo la sua critica e il suo sarcasmo; gli otto Meccani costruiti negli anni Sessanta con strutture metalliche di colore verde, posizionati su un basamento a specchio che ne amplifica la presenza attraverso il rimando delle immagini nel fondo, dove anche la splendida volta del Salone è andata a conficcarsi creando una suadente rifrazione visiva. 



Strutture che evocano corpi umani e che nella loro immobilità ci danno anch’esse l’idea di una pattuglia di militari posizionati sull’attenti. Le dame idrauliche, o donne fiume, costruite con gli assemblaggi tipici di Baj che non rinuncia a nessun oggetto o parte di esso, se appena appena la sua forma si presta a diventare un occhio, un naso, un seno, una testa o una parte anatomica purchessia che dia eleganza, decorazione, slancio, alle figure che si appresta a comporre. Bottoni, cordoni, stoffe con ricami, medaglie, rubinetti, prese, tubi di plastica, bulloni, dadi, pomelli, e quant’altro. 



In questa fantasmagoria tutta giocata sull’occhio e sullo stupore, Baj ci dice che l’arte si è emancipata dal classico concetto di bellezza e della anatomia come le abbiamo conosciute; ci si presentano invece come sfida ironica in cui non c’è più posto che per la sorpresa, per come gli oggetti, anche i più comuni e abusati della nostra quotidianità, la genialità visionaria dell’artista, la sua capacità manipolatoria sa comporli su una tavola, una tela, un cartone, un pezzo di compensato, per dar loro nuove forme, nuove figure in grado di sorprenderci. 



Due bottoni collocati ai lati di una spirale di cordoncini che diventa una testa, non sono più dei semplici bottoni, sono due pupille, due occhi; così come due pomelli possono diventare un seno, una ferma tende con nappe diventare un collo, la circonferenza di una testa e così via. Allo stesso modo di come i peperoni, le zucchine e ogni tipo di frutta possono comporre una testa vegetale, come ci ha insegnato Arcimboldo. 



Uno specchio frantumato, e in questo allestimento ce ne sono due, può diventare una scultura geometrica astratta da ammirare, ma anche il riproduttore del volto di colui che vi si avvicina per guardare e rimirarsi. Lo stesso vale per i “mobili” che non poggiano su una superficie solida, né hanno una struttura tridimensionale; occupano il limitato spazio di una tavola, o di una tela, che nessun pennello ha dipinto, assemblati come sono da stoffe, e dal repertorio affollato di oggetti da cui Baj attinge. 



Fedele e consapevole come pochi alle sue concezioni teoriche e alle idee che è andato via via elaborando nel corso degli anni, Baj ha dato corpo a quelle idee e a quelle concezioni incarnandole in manufatti estetici di indubbia originalità, costruendosi una cifra personale fantasiosa, ironica, e insieme  riconoscibilissima.



P.S. Con enorme soddisfazione ho appreso che, finita questa mostra, I funerali di Pinelli saranno collocati in pianta stabile nel Museo del Novecento al Palazzo dell’Arengario di Piazza del Duomo. Baj ne sarebbe stato felice, e anche noi.
 


Scheda tecnica

Titolo: BAJ. BajchezBaj
a cura di: Chiara Gatti e Roberta Cerini Baj 
sede: Palazzo Reale Milano Piazza del Duomo 12 
Mostra: Comune di Milano-Cultura Palazzo Reale Electa 
in collaborazione con: Savona, Museo della Ceramica e Albissola Marina, MuDA Casa Museo Jorn 



progettazione dell’allestimento: Umberto Zanetti, ZDA Zanetti Design Architettura 
sponsor tecnico: UniFor 
lighting: Viabizzuno 
Con il supporto di: Vinavil, COOP
media partner: Lucy sulla cultura, Radio Popolare 
catalogo: Electa 



aperture speciali
Martedì 24 dicembre 2024 (Vigilia di Natale): 10.00 - 14.30
Mercoledì 25 dicembre 2024 (Natale): 14.30 - 18.30
Giovedì 26 dicembre 2024 (Santo Stefano): 10.00 - 22.30
Martedì 31 dicembre 2024 (San Silvestro): 10.00 - 14.30
Mercoledì 1° gennaio 2025 (Capodanno): 14.30 - 19.30
Lunedì 6 gennaio 2025 (Epifania): 10.00 - 19.30

 

                

VILLA SCHEIBLER IN CONCERTO




ALLO SPAZIO MICENE PER PINELLI




LE POESIE DI CURTO
di Mauro Pichiassi

 
Francesco Curto
 
Sono profondamente grato a Francesco Curto per il suo Gravidanze del cuore, di cui gentilmente mi ha fatto omaggio, perché non solo mi ha fatto scoprire in un caro amico di lunghissima data un poeta raffinato e profondo che mi ha fatto provare, attraverso la lettura, sensazioni ed emozioni. Questo piccolo volume è diventato per me uno scrigno di splendidi gioielli che ti catturano per la loro grazia e lucentezza. Sono poesie diverse per tema e spessore l’una dall’altra, ma tutte ti colpiscono per la loro incisività, per il modo in cui mettono a fuoco un momento di gioia o di dolore, di speranza o di paura, o focalizzano un problema generale o un tema sociale, oppure descrivono situazioni, comportamenti e persone. Poesie che finiscono per piacerti così tanto da tornare a rileggerle più volte in momenti e tempi diversi, allo stesso modo in cui in certi momenti torni a riascoltare un disco di canzoni del cantante preferito. Rileggere più volte la stessa poesia di Francesco vuol dire tornare a riprovare e rivivere le emozioni e anche le riflessioni sperimentate alla prima lettura con in più, talora, la scoperta di nuovi sensi e significati non colti al primo incontro.
Nel titolo è riassunto il senso della raccolta: la Poesia, quella con la P maiuscola, nasce dal cuore di chi guarda il mondo intorno a sé con gli occhi del disincanto, dell’empatia e dell’amore. Non importa se molte volte dal travaglio del cuore non nascono delle poesie; la sconfitta ci può stare. Anche se si resta a mani vuote il sogno vero del poeta resta (v. La poesia p. 33). In fondo il poeta è un “sognatore venditore di sogni che non costano nulla”, un “paroliere ambulante senza fissa dimora”; due immagini bellissime che colgono l’essenza della poesia di Curto, che con i suoi versi ti accompagna nei suoi sogni e si serve delle parole per rappresentarli, per costruire arcobaleni e comunicare gioia e amore.



Curto ha piena consapevolezza del suo essere poeta e del ruolo che la poesia può svolgere nella vita e nella storia dei singoli uomini.  Se è vero che “i poeti non cambiano il mondo” è anche vero che senza la poesia il mondo è più vuoto e triste e la vita senza poesia è insipida e vuota come un pane senza lievito.  Ma essere poeta e fare il poeta non è facile. Curto riconosce di avere una cartella dove infila alla rinfusa “foglietti di carta con versi presunti”, versi che vorrebbe dimenticare, che invece rimangono lì, nella coscienza, scottano e rumoreggiano. E la difficoltà dell’essere poeta sta proprio nel mettere ordine in quella cartella che porta sempre con sé.  Quello dei poeti è un destino crudele: è amato dalle persone innamorate che ritrovano nei versi dei poeti le espressioni più complete dei loro sentimenti e delle loro passioni, e allo stesso tempo è odiato dai potenti perché non trovano nelle poesie la celebrazione o l’esaltazione delle loro presunte imprese. I potenti cercano servi e adulatori e il poeta non può esserlo perché i suoi versi nascono dalla sua anima, dal suo cuore, e sono espressione di libertà. Curto poeta si descrive attraverso una serie di immagini vivide e incisive: si sente un vecchio bambino che gioca tra le macerie del mondo, un profeta che parla per chi non può parlare, un costruttore di sogni che raccoglie come fiori nei campi della vita; si sente come uno di quei tanti versi infilati nella cartella, che è la sua coscienza, rimasto confuso e sperduto. Non è interessato a quello che diranno di lui, che era un innamorato della vita, perché la morte mette tutto a tacere, per questo egli sente la morte come la sua unica amica, che non guarda in faccia a nessuno e non fa privilegi a nessuno.



I poeti, si dice, sono i più grandi sognatori, i veri costruttori di ponti sospesi sul nulla che portano a realtà diverse da quelle che ci stanno a fianco. I poeti ci regalano sogni e di sogni abbiamo bisogno tutti e per questo leggiamo poesie, perché vogliamo sognare una realtà diversa, magari presi per mano e guidati da qualcuno che ha una sensibilità maggiore e ci fa provare speranza, amore, felicità ma anche di tristezza e dolore. Con i suoi versi Curto ci regala sogni, che lui raccoglie di notte e “conduce come treni inesistenti”. In una sua poesia confessa che la sua missione è “gonfiarti l’anima di sogni/ per farli sbocciare come rose / all’alba domani senza giorno”. Ma il sogno del poeta non è pura fantasia ma è trasfigurazione della realtà o forse osservazione della realtà da una prospettiva insolita, è l’espressione di un desiderio intimo e profondo che ricorda tanto i sogni che si fanno quando si dorme. Il sogno è quanto di più personale il poeta possiede, e tuttavia lo condivide con gli altri; nel sogno il poeta trova la sua libertà più vera, quella che nessuno mai potrà togliergli.


Un ritratto di Curto

Con i suoi versi Curto non ti accompagna solo tra i suoi sogni, ma ti porta a guardare la realtà in cui viviamo, dove si alternano, in un ciclo continuo, gioie e dolori, allegria e tristezza, amore e odio. Ecco allora il poeta soffermarsi a guardare le immagini drammatiche dei tanti disperati che sbarcano sulle nostre coste per inseguire un sogno, una speranza o per sfuggire a una sciagura certa. Ma troppo spesso quel sogno è quasi sempre tristemente accompagnato dalla morte di quanti non sono riusciti a trovare un approdo amico. Oppure ricorda le donne della sua terra che tornano la sera stanche e sfigurate dopo un’intera giornata passata a raccogliere le olive. Quello che viviamo è un tempo duro, grida in alcuni versi che, pur scritti anni addietro, sembrano descrivere la realtà di oggi sconvolta da focolari guerra accesi in diverse parti del mondo. Eppure, si tratta di una realtà immutabile, è anzi il sempiterno tempo del mondo dove, ieri come oggi, “non hanno più lacrime né pane gli ultimi della terra”. Dolore e disperazione canta nel vento il poeta, un dolore che nessuno può lenire o alleviare, neppure le stelle che tutto osservano.



Quella che viviamo è una realtà complessa e difficile, nella quale ogni tanto ti fermi per capire dove ti trovi e a che punto sei arrivato, per interrogarti se il momento o il luogo in cui sei è quello di arrivo o quello di partenza. Questi interrogativi emergono nei versi di “Allora a che punto siamo?”. Dietro un apparente virtuosismo giocato con le espressioni in cui occorre la parola punto, il poeta descrive il disagio di trovarsi, pur tra i tanti punti fermi, a un punto morto. Per questo, in modo sconsolato conclude che tra tutte le incertezze non ci resta che puntare sulla morte.
Dalla lettura dei versi di questo volumetto emerge il mondo interiore ed esperienziale del poeta, i suoi sentimenti, le sue passioni, i suoi sogni, le sue speranze e i suoi ricordi. I ricordi della terra d’origine con la fatica e le pene delle donne e degli uomini impegnati nel duro lavoro dei campi o dei vecchi che al termine della giornata seduti in fronte al sole rievocano i giorni terribili della fame e delle tribolazioni della loro gioventù. Ora guardano verso i monti dove tramonta il sole immaginando al di là di quelli un mondo diverso. Il ricordo della terra d’origine fa da contraltare alla terra d’elezione dove il poeta oggi vive, in sintonia con il santo umbro di cui condivide il nome e con il poeta perugino Sandro Penna di cui condivide sia le vie della città che le vie della poesia. Amori e ricordi di persone che hanno segnato la vita del poeta; e al primo posto quello della madre, alla quale dedica la tenera e appassionata lirica che apre l’intera raccolta. 



Sono versi di amore di una tenerezza struggente quelli in cui evoca i luoghi e i momenti in cui madre e figlio comunicavano allora e comunicano ora anche senza parlare: tanto intesa era ed è la loro relazione. E altre figure e altri amori che hanno accompagnato e scandito la vita del poeta si intravvedono in tanti versi, che sia la sposa di maggio o la donna sognata per la quale raccogliere ranuncoli per coprirla di festa.
In sintesi, un’antologia di poesie dense di significati e immagini che fanno bene al cuore di chi leggendole prova emozioni e suggestioni forse simili a quelle del poeta ma anche molto distanti.

domenica 8 dicembre 2024

CENSIS 2024: IL NAZIONALISMO SENZA NAZIONE
di Franco Astengo



 
Di seguito si troverà una sintesi giornalistica delle principali proposizioni emerse dal rapporto del Censis 2024 presentato oggi 6 dicembre. In precedenza siano consentite poche righe dettata da un’analisi personale:
1) il Censis ha fotografato un’Italia dove la politica, l’azione pubblica, il senso del collettivo ha ormai raggiunto il minimo storico almeno dal secondo dopoguerra in poi;
2) L’analisi di questa sintesi che presentiamo adesso ci dimostra che la passività sociale viene intesa e sfruttata come varco perché si apra il fianco a qualche avventura pericolosa, considerato anche il vento che spira per il mondo;
3) Dovrebbe essere fondamentale il recupero di alcuni concetti-base che tra l’altro stanno dentro per intero alla Costituzione Repubblicana nell’idea dell’uguaglianza, di una democrazia rappresentativa, di una partecipazione popolare al governo del Paese;
4) Alla frantumazione corrisponde quindi l’acquiescenza di massa nell’omologazione della perdita di valori  che si verifica mentre si sta smarrendo il senso del “pubblico” in settori decisivi come il lavoro (in un Paese privo di struttura e di politica industriale) la scuola e la sanità che dovrebbero essere considerati non semplicemente come elementi del “welfare” ma come fattori  fondamentali della coesione sociale;
5) questo governo punta su di un antistorico nazionalismo senza nazione puntando tutto sulla paura. L’idea di una Europa democratica sembra ormai smarrita dentro a una crisi profonda delle relazioni internazionali;
6) Tutti questi elementi giustificano ampiamente la tanto criticata affermazione sulla “rivolta sociale”. Abbiamo bisogno urgente di una gramsciana “rivoluzione intellettuale e morale” tale da funzionare come presa di coscienza collettiva.


 

Ecco la sintesi come ce la stanno offrendo le principali fonti di stampa in queste ore: “Si galleggia e ci si crogiola in una ‘sindrome italiana’ che ci intrappola perché non si arretra e non si cresce. La fotografia del Rapporto Censis 2024 restituisce una stasi che nasconde anche opportunità, slanci che sarebbero dietro l’angolo. Sempre che si decida di non galleggiare, appunto, nel tradizionale problema solving all’italiana che, scrivono ancora quelli del Censis, non basta più. «Ci flettiamo come legni storti e ci rialziamo dopo ogni inciampo, senza ammutinamenti. Ma la spinta propulsiva verso l’accrescimento del benessere si è smorzata», si legge nel Rapporto 2024 in cui si dice che negli ultimi vent’anni (2003-2023) ci si è impoveriti perché il reddito disponibile lordo pro-capite si è ridotto in termini reali del 7,0%. E nell’ultimo decennio (tra il secondo trimestre del 2014 e il secondo trimestre del 2024) anche la ricchezza netta pro-capite è diminuita del 5,5%.



In un flash: c’è più lavoro ma meno Pil, il settore del turismo è molto vivace mentre l’industria soffre nonostante l’aumento netto della produttività, manca personale in diverse realtà e il welfare è ipotecato.
Tutto questo succede mentre c’è un nuovo scenario mondiale e un nuovo scenario tecnologico «nei quali le barche non salgono e non scendono più tutte con la stessa marea». I dimenticati che scontano la deindustrializzazione, non sono solo nel Midwest, l’ottimismo autentico, dell’era della globalizzazione arrivate ormai al capolinea. L’Italia sta attraversando profonde trasformazioni che, avverte il Censis, rischiamo di non padroneggiare al meglio. Soprattutto se si sceglie il galleggiamento senza meta di «sempre meno famiglie e imprese che competono», e che a mano a mano saranno «sempre meno abili al galleggiamento». Ecco perché la fotografia del Censis assume i contorni di una trappola se si considera che l’85,5% degli italiani è ormai convinto che sia molto difficile salire nella scala sociale”.

COOPERATIVA “LA LIBERAZIONE”
Piazza Fontana. La strage e Pinelli




ALLA BASILICA DI SAN CARLO
“Messa di gloria” di Puccini




 

A ISEO PER PINELLI




ARTE PER LA PACE
A ChiAmaMilano




 

FESTIVAL BAGUTTA LETTERATURA


Annitta Di Mineo

Annitta Di Mineo, poeta e scrittrice, è l’ideatrice del progetto e fondatrice del 1° Festival Bagutta Letteratura - Milano 2024, che prenderà avvio venerdì 13 dicembre alle ore 10. In qualità di referente di Bagutta Letteratura, una costola del “Gruppo Artisti Bagutta”, una realtà presente da 60 anni, e giusto quest’anno ricorre il 60° della sua fondazione con la presidenza dell’artista Guido Poggiani, ha deciso di lanciare questa manifestazione nella città di Milano, la prima in assoluto, che ha ricevuto patrocinio della Regione Lombardia, del Comune, del Municipio 1, della Libreria Bocca, la più antica d’Italia - 1750 - e di altri numerosi sponsor. Tutti gli eventi si svolgeranno nella sede della Galleria Bagutta di Milano, in Corso Garibaldi n. 17, nelle giornate 13 – 14 - 15 dicembre, mattino, pomeriggio e sera. Un festival che vede la partecipazione di 20 scrittori, tanti gli autori qualificati e di spicco, e tante le proposte letterarie, con tematiche trasversali che toccheranno la poesia, la prosa, la saggistica e altre forme espressive.  
 

Guido Poggiani

Programma
 
Venerdì 13 dicembre
Angelo Gaccione, Gabriella Galzio, Antonio Ricci, Roberto Caracci, Luigi Cannillo, Giuseppe Puma.
 
Sabato 14 dicembre
Francesco Piscitello, Adam Vaccaro, Serena Rossi, Alina Rizzi, Alfredo Panetta & Giovanna Sommariva, Marianna Iliut Costiantynivna, Giuseppe Zarfati.
 
Domenica 15 dicembre
Francesco Di Garbo, Claudia Ambrosini, Cataldo Russo, Alberto Mori, Isabella Sandon Tenca, Maria Pia Abbracchio & Marilisa D’Amico, Annitta Di Mineo.
 
Gli autori avranno l’opportunità di presentare le loro opere, e dialogare con il pubblico, leggere i loro versi.
 
Locandina degli eventi
 


FAVOLE AD ANCONA

 



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