Rappresentanza e
governabilità Partiamo dal basso della "macelleria politica": la
proposta di Franceschini del "marciare divisi per colpire uniti" (Von
Moltke) ha riavviato, sia pure flebilmente, il dibattito sulla formula
elettorale in Italia, tema abbandonato da tempo in favore di soluzioni come
quella del premierato (del resto ormai in declino).Bisognerebbe comunque affrontare l'intero tema elettorale
non soltanto quello della formula che traduce voti in seggi: una scelta di
riflessione di fondo andrebbe imposta tenendo conto dalla larghezza della
disaffezione al voto che ormai mette in discussione la legittimità dell'esito
delle urne. I primi due partiti usciti dalla tornata europea Fdi e PD
rappresentano sommati circa il 24% dell'intero corpo elettorale e questo fatto
rappresenta un problema democratico.Per di
più la sciagurata riduzione del numero dei parlamentari ha agito - assieme -
sia sulla rappresentanza politica sia su quella territoriale, funzionando da
ulteriore punto di lacerazione tra l'elettorato e le forze politiche.Purtuttavia anche la cosiddetta "proposta
Franceschini" si preoccupa soltanto del lato "governabilità" del
problema trascurando totalmente come avviene da tanto tempo la parte
"rappresentanza".In realtà il tema
del governo andrebbe affrontato per scavare a fondo il significato vero del
termine, chiamando in causa i “fondamentali” della filosofia politica.
Con l’avvento della concezione della divisione dei poteri per
culminare, nell’età classica della dottrina, nella pratica dello Stato di
diritto, il “governo” è stato progressivamente ricondotto al profilo del
semplice potere esecutivo, quale esecutore della volontà popolare sovrana
rappresentata dal potere legislativo.Nasce
qui la distinzione tra legge e decreto (come fa notare Kant, nella “Metafisica
dei Costumi”), tra norma generale e norma particolare, e sarà su questo punto
che partirà un processo di delimitazione e ridefinizione dell’ambito
dell’attività di governo rispetto alla funzione legislativa che, nella nostra
Costituzione, assume la denominazione (non effimera) di “Repubblica
Parlamentare” e si stabilisce la “Centralità del Parlamento” (Il “Parlamento
come specchio del Paese” nella visione togliattiana).La Costituzione disegna con grande chiarezza lo scenario
della centralità del Parlamento e della presenza nelle istituzioni di un largo
spettro di rappresentatività, sia sotto l’aspetto delle idealità che delle
capacità progettuali.In quale punto allora si
è innestato il meccanismo di una vera e propria “inversione di tendenza”
rispetto al dettato costituzionale?
Attorno agli anni’70-’80 del secolo scorso era partito il dibattito
sul cosiddetto “eccesso di domanda”: dalla società saliva ormai verso la
politica la richiesta di un consolidamento e di un allargamento dei meccanismi
universalistici del welfare e salivano di tono le rivendicazioni operaie in tema
di salario e garanzie del lavoro; richieste ormai non più riservate a
determinate e precise aree dell’Occidente capitalistico.La risposta è stata duplice: da un lato la spinta a
recuperare il ruolo prioritario degli “spiriti animali” del capitalismo attraverso
il lancio di una forte controffensiva portata avanti su entrambe le rive
dell’Atlantico attraverso le opzioni di un “liberismo selvaggio”; dall’altro
lato la spinta a ridurre il rapporto tra politica e società attraverso il
taglio del cosiddetto “eccesso di domanda”.Nasce
da questo punto il dibattito sulla “governabilità” e la ricerca di nuove forme -
autoritative - di governo e sorge anche una distinzione tra “governance”,
espressione di un potere articolato sul territorio per rispondere, spezzettando
le diverse problematiche, in maniera sostanzialmente neo-corporativa ai bisogni
espressi dai ceti sociali più forti e “governament” utilizzato per normalizzare
le dinamiche sociali più fortemente conflittuali, attraverso l’espressione di
un potere centrale fortemente concentrato e posto, attraverso opportuni
tecnicismi che dovrebbero includere anche la legge elettorale, al riparo da
dibattiti giudicati inopportuni.Nessuna
risposta, insomma, in termini di allargamento democratico, di ruolo delle
istituzioni rappresentative, di presenza dei soggetti intermedi (partiti,
sindacati), la cui funzione nel frattempo è stata ridotta al solo rango di
selezionatori del personale di governo, provvisti di denaro ed elargitori di
“incentivi selettivi” e non certo di soggetti propositori della rappresentanza
politica e sociale.
Si sono così smarrite le coordinate di fondo dell’appartenenza
sociale e del legame diretto tra questa e l’appartenenza politica, si è perso
il ruolo di sede di confronto dialettico da parte del Parlamento e l’idea di
“governo” come esecutivo è via, via evaporata fino a ricomparire il fantasma
della stabilità: una sorta di “Pax romana” della politica e si sta insistendo
su questa strada sulla quale non si potrà che incontrare ulteriori danni inflitti
alla democrazia. Diventa così decisivo
affrontare il tema della rappresentanza, ponendosi una domanda: attorno a quale
contraddizione si può collocare il confronto a questo livello, come si regola
oggi la relazione tra struttura e sovrastruttura e la relativa ricaduta sulla
presenza istituzionale e la forma di governo (quest’ultima appare, infatti,
decisamente incamminata sul terreno dell’autocrazia tecnocratica)? Tutto questo
in tempi di vero e proprio disfacimento dell’azione politica.Il salto nella capacità di delineare una prospettiva si
gioca, almeno a mio giudizio, nel passaggio da un generico riferimento alla
necessità di soggettività ad una proposta di modello di organizzazione della
rappresentanza nelle condizioni economiche, culturali, sociali (di mutamento
antropologico, come è stato fatto notare) date e futuribili, almeno nel medio
periodo (constata anche la velocità assunta dal procedere dei cicli storici
così come è imposta dal vorticare dell’innovazione).
Vanno in discussione i diversi livelli di organizzazione e
aggregazione nel rapporto tra società, corpi intermedi, sedi di decisionalità
politica: quel circuito che era stato garantito per un lungo periodo dal
sistema dei partiti.Si tratta di reperire
un modello di espressione del consenso sviluppato in sedi adeguate (forse non
sarà più sufficiente la sola sede parlamentare e lo stesso corollario delle
istituzioni locali) per arrivare ad affrontare in maniera sufficientemente
equilibrata la normativa necessaria per regolare (e contenere) l'uso (e lo
sviluppo) dell'intelligenza artificiale rispetto al modificarsi della
molteplicità delle attività umane che dovranno relazionarsi in quella
direzione.L'impressione su ciò che si sta
verificando è quella di un'arretratezza "strutturale" della nostra
discussione, qui alla periferia dell'Impero.Non
basta discutere su di una governabilità appesa tra formula elettorale
proporzionale o maggioritaria. Così restiamo destinati, alla fine, ad esprimere
una rappresentanza mediocremente corporativa fondata su interessi immediati e
non mediati da un'idea (necessaria da ricostruire) di una prospettiva futura.