Sembrano
tutti (o quasi) convinti che il tempo scorra in un eterno presente dove si
cerca di festeggiare per allontanare l’angoscia: quella che stiamo vivendo però
è una crisi diversa dove la connessione tecnocrazia/guerra appare davvero come
l’iceberg su cui l’umanità balla la sua fine. È svanito il rimando
escatologico, la previsione del futuro e il richiamo al passato che potrebbe
ancora formare un ponte. La politica sembra ridotta al problemsolving
e l’improvvisazione si camuffa da pragmatismo. La sinistra ha bisogno di
acquisire coscienza di questo stato di cose e di imporsi fuori dalla pigrizia
per cambiare paradigma. È
richiesto un tale sforzo di rielaborazione cui nessuna generazione è mai stata
chiamata, a partire dalla prima rivoluzione industriale e dal sorgere del
capitalismo e dall’organizzarsi della classe operaia nei sindacati e nei
partiti di massa. È questo, della presa d’atto dell’avvenuto mutamento di
paradigma, il senso di una proposta d’analisi che mi sono permesso di definire
come del “socialismo della finitudine”.
“Socialismo della finitudine” per ripartire dall’idea
dell’impossibilità, rispetto a quello che abbiamo pensato per un lungo periodo
di tempo, di procedere sulla linea dello sviluppo infinito inteso quale motore
della storia inesorabilmente lanciato verso “le magnifiche sorti e progressive”. Il primo punto di programma così teoricamente impostato dovrebbe
allora essere quello rappresentato dalla progettazione e da una programmazione
di un gigantesco spostamento di risorse tale da modificare profondamente il
meccanismo di accumulazione dominante.Oggi il ritorno della guerra come prospettiva globale, il
riferimento a innovazioni tecnologiche in grado di mutare il quadro di
riferimento sociale, l’emergere di tensioni “dittatoriali” sconvolgono
l’assetto consolidato in un momento in cui si stava attraversando una forte
difficoltà per quell’accelerazione nei meccanismi di scambio che abbiamo
definito come “globalizzazione”.
Si è verificato l’ingresso nel novero delle grandi potenze di
nuovi attori politici portatori di diversi sistemi di governo della politica e
dell’economia, a partire dalla Cina e guardando anche alla spuria aggregazione
dei BRICS in tempi in cui nel post-globalizzazione paiono emergere prospettive
di consolidamento in blocchi dell'equilibrio mondiale.
La coscienza della propria appartenenza e la volontà
politica di determinare il cambiamento rimangono fattori insuperabili
e necessari come motore di qualsivoglia iniziativa della trasformazione dello
stato presente delle cose. Attenzione però, lo stato presente delle cose va cambiato sia nel
senso della condizione oggettiva della nostra esistenza, sia in quello dell’assunzione
di una consapevolezza soggettiva del vivere con gli altri. Da questa consapevolezza
tra individuale e collettivo “si realizza
la vita d’insieme che è solo la forza sociale, si crea il blocco storico” (Gramsci Quaderno 11). Come auspicava Lukács “la
coscienza di classe trova il suo superamento nell’universale riconoscimento
della propria appartenenza al genere umano”.La coscienza della propria
appartenenza deve così sfociare nella convinzione di un’umanità che
richiede l’uguaglianza. La volontà politica del “soggetto” va allora impegnata
nella ricerca di un socialismo possibile nella forma di un nuovo umanesimo. Un
umanesimo socialista posto “contro” il modello di quello realizzato e
fallito ma anche oltre forme di socialdemocrazia incapaci di porsi anche
soltanto nella semplice prospettiva del riformismo.
Punto di partenza dell’umanesimo socialista: rimanere fedeli
ad un’etica della trasformazione in quanto opposizione allo sfruttamento dell’uomo
sull’uomo, dell’uomo sulla donna, di un genere umano che ritiene senza limiti l’antropizzazione
della natura.Va
disegnato l’orizzonte di un “Socialismo della finitudine” inteso come
valore universale esprimendo l’intenzione di ripartire dall’idea del
dover ripensare la teoria della linea dello sviluppo infinito inteso quale
motore di una storia inesorabilmente lanciata verso “le magnifiche
sorti e progressive”. Socialismo della finitudine” come idea che, nella
sua dimensione teorica, riesca a comprendere quanto di “senso del limite” sia
necessario acquisire proprio al fine di realizzare quel mutamento sociale posto
nel senso del passaggio dall’individualismo competitivo fin qui egemone
nella post-modernità verso nuove forme di soggettività collettiva ponendosi l’obiettivo
di riuscire a proporre un mutamento di quell’offerta politica che oggi appare
così debole e confusa.