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venerdì 3 gennaio 2025

CONDIZIONE OPERAIA E MORTE 
di Pierpaolo Calonaci


 
Vincenzo Martinelli

Qualche settimana fa, dopo l’ennesimo omicidio di lavoratori nello stabilimento petrolifero Enel a Calenzano, comune alle porte di Firenze, il quotidiano ‘la Repubblica viene in possesso di una lettera, vergata a mano da uno degli operai (che poi sarà una delle vittime) addetti alle operazioni di carico/scarico delle autobotti, indirizzata ai responsabili della ditta di trasporti per cui lavorava, dove vengono denunciate le precarie condizioni strutturali dell’impianto, le conseguenti (prevedibili) diminuzioni degli standard di sicurezza del luogo di lavoro e la gravosità di turni massacranti ben oltre il contratto. Lamentando - perché la colpa deve sempre ricadere su chi lavora - una lettera disciplinare della ditta di autotrasporti per la mancata consegna di un carico quale conseguenza di quei problemi. A prescindere da tutto questo, se si può, resta un’immagine che è la cifra o semmai lo stigma della condizione di asservimento del lavoro oggi, rappresentato dalla grafia con cui la lettera viene composta. È una grafia effigiante una mano decisa a fare i conti con la propria oppressione, trovando la forza interiore di dire ciò che minaccia il lavoro e la vita. Al netto di qualsiasi enfasi, quella lettera è uno stilema. E forse anche per questo che suscita un sentimento di compassione e dolore davanti alla condizione sociale e umana di ogni lavoratore, di ogni lavoratrice.


La lettera
 
È una scrittura affine a quella dei bambini delle elementari, quando, se ce ne ricordiamo, cercavamo di compiacere gli adulti prestando ossessiva attenzione a non sbagliare la forma sintattica dei suoi fonemi e morfemi. Ortograficamente corretta usa lettere e parole tramite un gesto semplice, pulito, innocente analoga alla coscienza umana di ogni bambino che suole esprimere liberamente sé stesso; il quale non vorrebbe inconsciamente mai perdere e che verrà soffocata inevitabilmente, altrimenti il dominio del mondo degli adulti non potrà educarlo - giusto una nota incidentale -all'accettazione dell'ordine dominante del divenire storico del regime produttivo del lavoro e della sua fenomenologia.



Possiamo immaginare quell’uomo con le mani piagate e piegate da turni di lavoro massacranti con un salario da schiavi e con responsabilità familiari enormi dovute a determinate contingenze cui necessariamente dover assolvere. Contorte eppure salde da un senso della propria vita affetto da gravosità e sofferenza ma in cui rifulge il senso della responsabilità e della ribellione. Ed è bello che fra le righe della lettera non muoia la coscienza con cui trovare la forza e la dignità di scriverla per denunciare uno stato di cose circa l'estrema pericolosità strutturale del lavoro nell'impianto Enel. Eppure quella lettera viene indirizzata a qualcuno. E rimane invariabilmente inascoltata. Chi ascolta oggi gli operai?

 
Al massimo qualche “politico”, nei suoi finimenti istituzionali, potrà concedere l’amabile sforzo di pensare che quell’impianto lì dove sta in mezzo ad una pianura densamente popolata certo non dovrebbe esserci, battendosi magari per farlo spostare (importante, per carità, ma non è certo questo il nucleo del problema); ecco, niente di più. Forse qualche onesto sindacalista.
Come bambini che sanno vedere troppo bene le conseguenze perniciose di un dato discorso produttivo, del progresso, della crescita senza sosta, dell’accumulazione fine a sé stessa - presieduto dagli adulti/padroni che “sanno” - alla mano e alla voce di quell’operaio nessuno presta attenzione.


Morti sul lavoro

I bambini e la classe operaia sono le vittime eccellenti, nascoste accuratamente, dell’attuale società di massa segnata dal connubio tra “capitale e plebe” (Harendt); nel qual sodalizio i bambini introiettano relazioni oppressive e opprimenti in cui il ricatto del mercato pone il principio dell’autoaffermazione individualistica, disumanizzando l’ideale di umanità e dignità dell’uomo e, per converso, i lavoratori sotto forma di atomi, spesso uni contro gli altri, devono lasciare su carta il proprio testamento nella giungla di “popoli trasformati in specie animali” dove produrre e morire.
Ecco dove comincia la morte, nell'invisibilità.