Qualche
settimana fa, dopo l’ennesimo omicidio di lavoratori nello stabilimento
petrolifero Enel a Calenzano, comune alle porte di Firenze, il quotidiano ‘laRepubblica’viene in possesso di una lettera, vergata a mano da
uno degli operai (che poi sarà una delle vittime) addetti alle operazioni di
carico/scarico delle autobotti, indirizzata ai responsabili della ditta di
trasporti per cui lavorava, dove vengono denunciate le precarie condizioni
strutturali dell’impianto, le conseguenti (prevedibili) diminuzioni degli
standard di sicurezza del luogo di lavoro e la gravosità di turni massacranti
ben oltre il contratto. Lamentando - perché la colpa deve sempre ricadere su
chi lavora - una lettera disciplinare della ditta di autotrasporti per la
mancata consegna di un carico quale conseguenza di quei problemi. A prescindere
da tutto questo, se si può, resta un’immagine che è la cifra o semmai lo stigma
della condizione di asservimento del lavoro oggi, rappresentato dalla grafia
con cui la lettera viene composta. È una grafia effigiante una mano decisa a
fare i conti con la propria oppressione, trovando la forza interiore di dire
ciò che minaccia il lavoro e la vita. Al netto di qualsiasi enfasi, quella
lettera è uno stilema. E forse anche per questo che suscita un sentimento di
compassione e dolore davanti alla condizione sociale e umana di ogni
lavoratore, di ogni lavoratrice.
La lettera
È una scrittura affine a quella
dei bambini delle elementari, quando, se ce ne ricordiamo, cercavamo di
compiacere gli adulti prestando ossessiva attenzione a non sbagliare la forma
sintattica dei suoi fonemi e morfemi. Ortograficamente corretta usa lettere e
parole tramite un gesto semplice, pulito, innocente analoga alla coscienza
umana di ogni bambino che suole esprimere liberamente sé stesso; il quale non
vorrebbe inconsciamente mai perdere e che verrà soffocata inevitabilmente,
altrimenti il dominio del mondo degli adulti non potrà educarlo - giusto una
nota incidentale -all'accettazione dell'ordine dominante del divenire storico
del regime produttivo del lavoro e della sua fenomenologia.
Possiamo immaginare quell’uomo
con le mani piagate e piegate da turni di lavoro massacranti con un salario da
schiavi e con responsabilità familiari enormi dovute a determinate contingenze
cui necessariamente dover assolvere. Contorte eppure salde da un senso della
propria vita affetto da gravosità e sofferenza ma in cui rifulge il senso della
responsabilità e della ribellione. Ed è bello che fra le righe della lettera
non muoia la coscienza con cui trovare la forza e la dignità di scriverla per
denunciare uno stato di cose circa l'estrema pericolosità strutturale del
lavoro nell'impianto Enel. Eppure quella lettera viene indirizzata a qualcuno.
E rimane invariabilmente inascoltata. Chi ascolta oggi gli operai?
Al massimo qualche “politico”,
nei suoi finimenti istituzionali, potrà concedere l’amabile sforzo di pensare
che quell’impianto lì dove sta in mezzo ad una pianura densamente popolata
certo non dovrebbe esserci, battendosi magari per farlo spostare (importante,
per carità, ma non è certo questo il nucleo del problema); ecco, niente di più.
Forse qualche onesto sindacalista. Come bambini che sanno vedere
troppo bene le conseguenze perniciose di un dato discorso produttivo, del
progresso, della crescita senza sosta, dell’accumulazione fine a sé stessa -
presieduto dagli adulti/padroni che “sanno” - alla mano e alla voce di
quell’operaio nessuno presta attenzione.
Morti sul lavoro
I bambini e la classe operaia
sono le vittime eccellenti, nascoste accuratamente, dell’attuale società di
massa segnata dal connubio tra “capitale e plebe” (Harendt); nel qual sodalizio
i bambini introiettano relazioni oppressive e opprimenti in cui il ricatto del
mercato pone il principio dell’autoaffermazione individualistica,
disumanizzando l’ideale di umanità e dignità dell’uomo e, per converso, i
lavoratori sotto forma di atomi, spesso uni contro gli altri, devono lasciare
su carta il proprio testamento nella giungla di “popoli trasformati in specie
animali” dove produrre e morire. Ecco dove comincia la morte,
nell'invisibilità.