Che bel dono Angelo! alla mia Monza!https://libertariam.blogspot.com/2025/01/la-cattedrale-di-monza-di-angelo.html Caro Angelo, che bel regalo che hai
fatto a me e alla “mia Monza” col tuo articolo di ieri! Sono nata a Milano, ma sino ai 9 anni ho vissuto a Monza, nella splendida
piazza Grandi al numero 1, con la statua di San Carlo davanti al portone e
sulla sinistra la magica Chiesa degli Angeli. Luoghi meravigliosi, facendo la
stretta via Paolo Mantegazza arrivi nella superba piazza Trento e Trieste, con
il monumento ai caduti: “E qui verran mostrando le madri ai pargoli le belle
orme del nostro sangue”.
Nel Bellissimo Duomo ho fatto la Cresima, la Comunione e mi sono sposata.
Vorrei anche il mio funerale, accolta tra le braccia di questa cittadina che ha
ancora la capacità di farti sentire umano, nelle sue architetture, nei suoi
materiali di costruzione dove il cotto primeggia. E ancora lo spirito della
Signora vive tra le antiche mura del suo convento. E San Gerardo, il patrono
dei tintori, cammina ancora sulle acque traghettando i malati ove ora c’è il
ponte a lui dedicato. Giravo in bicicletta per andare a trovare la zia,
con la casa sulle acque del Lambro, proprio lì, accanto al ponte. In uno
dei grandi cortili dove ancora trovavi il cappellaio, il materassaio e chi
fischiava. Ecco qua il mio ritratto di Monza, nel mio piccolo libro La mia Italia,
dove racconto le città che amo.
Monza, regale cappellaio di feltro. Primitivi fiordi del Lambro quelli tuoi, improvvisi scoppi di risa di
bambini, baffi di vecchi, anse lussureggianti, spari, un ponte di mattoni, san
Gerardo dei Tintori. Ogni via la verità di un nome: Paolo Mantegazza, Achille Grandi e la grande
piazza Trento e Trieste, col monumento ai Caduti e quell’epitaffio che ti
ribolliva dentro: “E qui verran mostrando le madri ai pargoli le belle
orme del nostro sangue”.
Monza di case basse, osate dai tramonti, dai voli delle rondini, dalle
nevicate. Monza e suor Virginia, quella stretta via dell’Orto, quello sguardo appassionato
e storto che fa precipitare ogni divieto nel retro della vita, ché il diritto è
viverla secondo la nostra di sapienza, dove la libertà è un cammino di
conoscenza. La Villa reale il tuo polmone, nata per farti respirare, dove i re
e le regine soffocano, poveri fantasmi che appaiono e scompaiono ad ogni
temporale. L’autodromo è disegno del fumo della tua sigaretta, l’auto che
sfreccia rossa, la parabolica infernale. Il Duomo, la corona ferrea, la
chioccia e i suoi pulcini, l’orma di Teodolinda, il pulpito intarsiato, l’incenso,
l’odore del tempo che si fa sacro sul sagrato. Monza, quel dialetto duro, poco
sorridente, son diventati presto ricchi i tuoi abitanti, si son dimenticati
presto di quello che son stati.
La scuola Edmondo de Amicis, le maestre Tolusso, Setti e De Santis, i
banchi di legno, le braccia in conserta, il calamaio, il grembiule bianco, il
giovedì più bello della domenica di Festa. Quella casa nella piazza, tre piani
di ringhiera, il triciclo e il carretto, i sorrisi e le sedie sul portone della
sera. Il tram che arrivava da Milano, largo Giuseppe Mazzini ogni volta
risorgeva, l’odore era quello di minestra, riso e prezzemolo, il macinar caffè
con la mano destra.
Monza ti sei perduta diventando grande, senza più la bella sottoveste di provincia,
le tue curve si son fatte aguzze, le tue mani meno da raccoglitrice, meno rosse
le guance, via le trecce. Ma c’è una cosa che solo da te raccolgo, sempre tuo
dono: il ricordo.