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mercoledì 8 gennaio 2025

LA MIA MONZA
di Patrizia Gioia


 
Che bel dono Angelo! alla mia Monza! https://libertariam.blogspot.com/2025/01/la-cattedrale-di-monza-di-angelo.html
 
Caro Angelo, che bel regalo che hai fatto a me e alla “mia Monza” col tuo articolo di ieri!
Sono nata a Milano, ma sino ai 9 anni ho vissuto a Monza, nella splendida piazza Grandi al numero 1, con la statua di San Carlo davanti al portone e sulla sinistra la magica Chiesa degli Angeli. Luoghi meravigliosi, facendo la stretta via Paolo Mantegazza arrivi nella superba piazza Trento e Trieste, con il monumento ai caduti: “E qui verran mostrando le madri ai pargoli le belle orme del nostro sangue”.



Nel Bellissimo Duomo ho fatto la Cresima, la Comunione e mi sono sposata. Vorrei anche il mio funerale, accolta tra le braccia di questa cittadina che ha ancora la capacità di farti sentire umano, nelle sue architetture, nei suoi materiali di costruzione dove il cotto primeggia. E ancora lo spirito della Signora vive tra le antiche mura del suo convento. E San Gerardo, il patrono dei tintori, cammina ancora sulle acque traghettando i malati ove ora c’è il ponte a lui dedicato. Giravo in bicicletta per andare a trovare la zia, con la casa sulle acque del Lambro, proprio lì, accanto al ponte. In uno dei grandi cortili dove ancora trovavi il cappellaio, il materassaio e chi fischiava.
Ecco qua il mio ritratto di Monza, nel mio piccolo libro La mia Italia, dove racconto le città che amo.
 


Monza, regale cappellaio di feltro.
Primitivi fiordi del Lambro quelli tuoi, improvvisi scoppi di risa di bambini, baffi di vecchi, anse lussureggianti, spari, un ponte di mattoni, san Gerardo dei Tintori.
Ogni via la verità di un nome: Paolo Mantegazza, Achille Grandi e la grande piazza Trento e Trieste, col monumento ai Caduti e quell’epitaffio che ti ribolliva dentro: “E qui verran mostrando le madri ai pargoli le belle orme del nostro sangue.



Monza di case basse, osate dai tramonti, dai voli delle rondini, dalle nevicate.
Monza e suor Virginia, quella stretta via dell’Orto, quello sguardo appassionato e storto che fa precipitare ogni divieto nel retro della vita, ché il diritto è viverla secondo la nostra di sapienza, dove la libertà è un cammino di conoscenza. La Villa reale il tuo polmone, nata per farti respirare, dove i re e le regine soffocano, poveri fantasmi che appaiono e scompaiono ad ogni temporale. L’autodromo è disegno del fumo della tua sigaretta, l’auto che sfreccia rossa, la parabolica infernale. Il Duomo, la corona ferrea, la chioccia e i suoi pulcini, l’orma di Teodolinda, il pulpito intarsiato, l’incenso, l’odore del tempo che si fa sacro sul sagrato. Monza, quel dialetto duro, poco sorridente, son diventati presto ricchi i tuoi abitanti, si son dimenticati presto di quello che son stati.



La scuola Edmondo de Amicis, le maestre Tolusso, Setti e De Santis, i banchi di legno, le braccia in conserta, il calamaio, il grembiule bianco, il giovedì più bello della domenica di Festa. Quella casa nella piazza, tre piani di ringhiera, il triciclo e il carretto, i sorrisi e le sedie sul portone della sera. Il tram che arrivava da Milano, largo Giuseppe Mazzini ogni volta risorgeva, l’odore era quello di minestra, riso e prezzemolo, il macinar caffè con la mano destra.



Monza ti sei perduta diventando grande, senza più la bella sottoveste di provincia, le tue curve si son fatte aguzze, le tue mani meno da raccoglitrice, meno rosse le guance, via le trecce. Ma c’è una cosa che solo da te raccolgo, sempre tuo dono: il ricordo.