Pagine

domenica 26 gennaio 2025

L’IMPORTANZA DELLA MEMORIA
di Vittorio Melandri
 


All’approssimarsi di questo nuovo 27 gennaio, dedicato alla memoria della Shoah, ho ascoltato fra le lacrime, passata su Rai tre per merito di Pif, la testimonianza di Sami Modiano: ho visto al cinema Jolly il film documentario che illustra la figura di Liliana Segre, e la forza della sua testimonianza. Ho riletto, riportate in un articolo di Gad Lerner, queste parole di Primo Levi: “È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire. Può accadere, e dappertutto (…) Non è facile né gradevole scandagliare questo abisso di malvagità, eppure io penso che lo si debba fare, perché ciò che è stato possibile perpetrare ieri potrà essere nuovamente tentato domani, potrà coinvolgere noi stessi o i nostri figli”. Mi convinco una volta di più della gratitudine che dobbiamo a chi dentro di sé ha trovato la forza di raccontarci l’indicibile vissuto, e condivido anche le parole della Senatrice a vita Segre, che riferisce del suo pessimismo, che le fa dire che dopo che loro, testimoni della Shoah, ci avranno lasciato, teme che della Shoah resterà una “riga” nei libri di storia. Intanto, se si cerca su un vocabolario la voce “esternalizzare”, si trova ovviamente che è un verbo transitivo, ma quanto al suo significato ed uso, si legge solo che è “nel linguaggio economico”, e che significa “conferire a una società esterna la produzione di un proprio prodotto”. Forse è il caso di aggiornare il vocabolario, dato che in questi ultimi giorni in particolare, si fa un gran parlare della pratica politica, dell’Europa, di “esternalizzare” a pagamento, il controllo dei propri “sacri” confini, a paesi esterni all’Europa stessa. Ad essere anticipatrice di tale pratica è stata l’Italia governata dal centrosinistra, Primo ministro Gentiloni, che con il ministro dell’interno Minniti stipulò accordi e finanziò governanti della Libia, perché impedissero ai migranti che dalle sue spiagge volevano partire per il nostro paese, porta d’Europa più vicina, di farlo. 



Come fermarli? non importava e non importa. A distanza di sette anni a conferma di tale “disinteresse” è arrivato il caso Najeem Almasri, “generale” libico ricercato per torture sui migranti, che arrestato a Torino su mandato della Corte internazionale di giustizia de l’Aia, poi è stato rilasciato e accompagnato a Tripoli da un aereo di Stato. Perché vien da chiedersi, se non perché dei migranti, non vogliamo saperne niente, e nemmeno ci domandiamo con Primo Levi se “questi sono uomini”. In Germania e in Italia gli ebrei negli anni trenta erano rispettivamente lo 0,8 e lo 0,1 % della popolazione, ma su di loro si scaricava la colpa dei disagi che soffrivano i cittadini tedeschi e italiani, proprio come oggi si scaricano sui migranti, compresi quelli che ancora non sono fra noi, colpe di ogni tipo a danno di noi “padroni di casa”. Oltre che di Auschwitz dobbiamo avere memoria della micidiale miscela di interesse e disinteresse che l’ha preceduto. Un film che racconta la vita normale della famiglia del comandante di Auschwitz, che abitava una bella casa, con vista sui forni crematori, si intitola “Zona d'interesse”. Questa, “Interessengebiet” in tedesco, è l’espressione burocratica con cui l’amministrazione nazista ha chiamato la porzione di territorio polacco occupato riservata al campo di sterminio di Auschwitz e ai suoi dintorni, territorio posto direttamente sotto il controllo delle SS. Oggi la “zona d’interesse” che conta è fuori dai confini d’Europa, e non vogliamo, oggi come allora, saperne niente. Come ci ricorda Primo Levi “ciò che è stato possibile perpetrare ieri potrà essere nuovamente”, e auguriamoci che le forme diverse, non ci traggano in inganno.