All’approssimarsi di
questo nuovo 27 gennaio, dedicato alla memoria della Shoah, ho ascoltato
fra le lacrime, passata su Rai tre per merito di Pif, la testimonianza di Sami
Modiano: ho visto al cinema Jolly il film documentario che illustra la
figura di Liliana Segre, e la forza della sua testimonianza. Ho riletto,
riportate in un articolo di Gad Lerner, queste parole di Primo Levi: “È
avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo
da dire. Può accadere, e dappertutto (…) Non è facile né gradevole scandagliare
questo abisso di malvagità, eppure io penso che lo si debba fare, perché ciò
che è stato possibile perpetrare ieri potrà essere nuovamente tentato domani,
potrà coinvolgere noi stessi o i nostri figli”. Mi convinco una volta di più
della gratitudine che dobbiamo a chi dentro di sé ha trovato la forza di
raccontarci l’indicibile vissuto, e condivido anche le parole della Senatrice a
vita Segre, che riferisce del suo pessimismo, che le fa dire che dopo che loro,
testimoni della Shoah, ci avranno lasciato, teme che della Shoah resterà una
“riga” nei libri di storia. Intanto, se si cerca su un vocabolario la voce “esternalizzare”,
si trova ovviamente che è un verbo transitivo, ma quanto al suo significato ed
uso, si legge solo che è “nel linguaggio economico”, e che significa “conferire
a una società esterna la produzione di un proprio prodotto”. Forse è il caso di
aggiornare il vocabolario, dato che in questi ultimi giorni in particolare, si
fa un gran parlare della pratica politica, dell’Europa, di “esternalizzare” a
pagamento, il controllo dei propri “sacri” confini, a paesi esterni all’Europa
stessa. Ad essere anticipatrice di tale pratica è stata l’Italia governata dal
centrosinistra, Primo ministro Gentiloni, che con il ministro dell’interno
Minniti stipulò accordi e finanziò governanti della Libia, perché impedissero
ai migranti che dalle sue spiagge volevano partire per il nostro paese, porta d’Europa
più vicina, di farlo.
Come fermarli? non importava e non importa. A distanza di
sette anni a conferma di tale “disinteresse” è arrivato il caso Najeem Almasri,
“generale” libico ricercato per torture sui migranti, che arrestato a Torino su
mandato della Corte internazionale di giustizia de l’Aia, poi è stato
rilasciato e accompagnato a Tripoli da un aereo di Stato.Perché vien da
chiedersi, se non perché dei migranti, non vogliamo saperne niente, e nemmeno
ci domandiamo con Primo Levi se “questi sono uomini”. In Germania e in Italia
gli ebrei negli anni trenta erano rispettivamente lo 0,8 e lo 0,1 % della
popolazione, ma su di loro si scaricava la colpa dei disagi che soffrivano i
cittadini tedeschi e italiani, proprio come oggi si scaricano sui migranti,
compresi quelli che ancora non sono fra noi, colpe di ogni tipo a danno di noi
“padroni di casa”. Oltre che di Auschwitz dobbiamo avere memoria della
micidiale miscela di interesse e disinteresse che l’ha preceduto. Un film che
racconta la vita normale della famiglia del comandante di Auschwitz, che
abitava una bella casa, con vista sui forni crematori, si intitola“Zona d'interesse”.
Questa, “Interessengebiet” in tedesco, è l’espressione
burocratica con cui l’amministrazione nazista ha chiamato la porzione di
territorio polacco occupato riservata al campo di sterminio di Auschwitz e ai
suoi dintorni, territorio posto direttamente
sotto il controllo delle SS. Oggi la “zona d’interesse” che conta è fuori dai
confini d’Europa, e non vogliamo, oggi come allora, saperne niente. Come ci
ricorda Primo Levi “ciò che è stato possibile perpetrare
ieri potrà essere nuovamente”, e auguriamoci che le forme diverse, non ci
traggano in inganno.