Èpassato un centinaio di anni da quanto è stata pubblicata Casa sul mare,
la poesia da cui Elio Franzini ha tratto i versi che suggellano il commiato al
personale dell’Università degli Studi di Milano alla fine dei suoi anni di
Rettorato. Voglio riprenderli qui questi versi, per il loro perdurare nel tempo
con una freschezza che non si estingue, oltre che per il comune amore che ci
lega a Eugenio Montale. Il
viaggio finisce a questa spiaggia che tentano
gli assidui e lenti flussi (…) Tu
chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie; (…) Vorrei
dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io. Aggiungo
che ci accomuna un’altra netta simpatia: quella per Guido Gozzano, che pure
ritorna nel commiato di Franzini.
Il
titolo di queste mie righe non si riferisce solo agli anni del Rettorato o ai suoi
precedenti anni da Preside di Facoltà. Investe l’intero arco dell’impegno
universitario di Franzini; nel suo modo di essere ha sempre tenuta viva la
dedizione agli studi, certo, come testimonia, accanto all’attività docente, la
messe ingente delle sue pubblicazioni. Ma di decisiva rilevanza è che questa
dedizione non si è spenta nei suoi anni di impegno pubblico, nonostante essi
- cosa non scontata, a quanto mi consta. Comunque poi quegli anni possano, e
siano stati, considerati; ma senza dimenticare che il loro bilancio resta
positivo, per lui non meno che per coloro ne abbiamo fruito, e per chi come me
ne è stato solo spettatore. Alla
sua attività di studioso Franzini ha unito la sua partecipazione alla vita dell’Università
anche nei suoi aspetti istituzionali, amministrativi, burocratici, in senso
lato politici. Quasi a voler segnalare che le due cose non posson andar disgiunte,
se si vuole svolgere con piena coscienza il proprio “mestiere”. Voglio immaginare
che Franzini lo concepisse come una sorta di versione prosastica dell’opera
d’arte totale, cui la pratica letteraria, musicale, scenica, attoriale,
performativa, sa di non potersi reggere da sola, senza fare i conti con la
concretezza in cui e di cui l’opera d’arte vive.
L’insegnamento è - potremmo
dire - un’arte globale, che deve tener conto non solo del sapere che trasmette;
ma insieme della realtà poliedrica in cui si esercita. Una situazione in cui
gioca un ruolo imprescindibile la coscienza civile, il calcolo della
sostenibilità economica, la previsione dell’incidenza sociale, dei risvolti non
solo culturali ma anche ideologici del proprio operare. L’attività docente si
inserisce per Franzini, con piena cognizione di causa (come sarebbe optabile
per tutti) nella concretezza del suon svolgersi; non è poco nella
considerazione della sua personalità. Non
è un caso che, sul finire del suo rettorato, una testimonianza del grado della
coscienza civile di Franzini la abbiamo nella sua prefazione al libro di Nicolò
Zanon, “Le opinioni dissenzienti in Corte Costituzionale” (Bologna 2024).
Recensione giustamente valorizzato da Stefano de Bosio, “La salvezza
nell’opinione dissenziente” - in “Un’oasi di libertà e di pensiero”.
Gianfranco de Bosio e i suoi maestri (1937-1946), a cura di Federica Marinoni e
Gabriele Scaramuzza, Scripta, Verona 2025, pp. 15-19.
La recensione è ricca e
articolata, ricordo solo due passi che mi hanno coinvolto [ovvia la discutibilità
dell’estrapolazione]: interpretare
non è andare alla ricerca di un qualsivoglia fondamento, di una norma assoluta,
bensì cercare di comprendere, arrivando certo a una soluzione, che tuttavia
mantenga viva la complessità e la pluralità, un dialogo capace di integrare i
piani discorsivi. […] Per
capire si ha bisogno di tempo, e dunque di una stratificazione storica di
opinioni, per rigettare le opzioni fideistiche e dogmatiche. La totalità è un
orizzonte di senso, non una presa immediata, ed è un orizzonte che va
conquistato attraverso uno svolgersi delle “ragioni” nei fenomeni, nel
confronto con essi alla ricerca della specificità dei loro principi, in una
costante interazione. Nascondere
il dissenso, scambiando la democrazia per unanimismo […], è soltanto il trionfo
apparentemente critico di una ragione acritica, quando invece la ragione deve
essere consapevolezza della sua propria criticità e dunque liberazione dalla
paura (che altro dovrebbe essere lo spirito delle leggi?) che si può provare
nel suo libero esercizio, che può condurre a opinioni diverse e contrastanti,
senza che ciò altro non sia se non manifestazione evidente della sua libertà. Il
dialogo, la liberazione dalla paura: temi attuali, e decisivi alla luce di una logica
della non violenza, che si confronti con un mondo in cui l’istinto di
sopraffazione, le “ragioni” della forza tornano esplicitamente a imporsi. La
paura riprende i suoi diritti, ora che la sua imminenza sembrava sbiadita. Prende
alla gola a questo proposito lo scritto di Anna Beltrametti “La più
intelligente e la più stolta delle emozioni: la paura. Paure antiche
e nuove paure” (Petite Plaisance, Pistoia 2o21).
Confesso
che queste righe si sono innescate nel proposito di recensire i due ultimi
libri di Franzini, o quanto meno il primo di essi. Proposito rivelatosi presto
velleitario, data l’inarrivabile (per me) densità dei testi. In
Filosofia per il presente. Simboli e dissidi della modernità, (Morcelliana,
Brescia 2022) la filosofia si misura non solo con la propria storia ma anche
col destino cui la propria sopravvivenza la consegna. Basterebbe riprendere qui
la convincente “Postilla conclusiva” per segnare il tono della proposta (che
tale resta, malgrado il problematico iter che il testo percorre) che il pensare
di Franzini lancia, e in positivo. Per parte mia aggiungo che in questo libro mi
ha da subito colpito, e fatto pensare, il rinvio all’Idiota, ai temi
della bellezza e della verità, e soprattutto sul problema della domanda, cui da
ultimo Kafka mi ha portato a ripensare. Di
Logica della verità. La metafisica e le cose (Cortina, Milano 2024) è in
un primo tempo il termine “metafisica” che mi ha attratto; termine che non
rientra nel lessico cui per solito associo il pensiero di Franzini. Ammetto che
sono stato lievemente deluso per quanto riguarda questo tema; ma non certo per
la densità e la sottigliezza della scrittura. Il testo per un verso si inserisce
in una tradizione di pensier0 - fenomenologica in senso lato - che da sempre
(dal mio ristretto sempre) ho fatto mia, ma per altro verso si richiama a
figure con cui ho una debole confidenza.
Due
parole infine circa l’ultimo saggio che ho letto di Franzini: L’estetica
nella Scuola banfiana, (in “Su Antonio Banfi e la Scuola di Milano”, a cura
di Fabio Minazzi, Angeli, Milano 2024, pp. 33-40). Uno studio sostanzialmente
volto alle differenti eredità banfiane presenti in Luciano Anceschi e in Dino
Formaggio. Il confronto è lontano dal perdersi negli “aneddoti, anche
abbastanza gustosi” di cui disponiamo; è molto equilibrato e sottile piuttosto,
privo di pregiudizi o partigianerie; volto a ricostruire la trama dialogica di
cui la “Scuola d Milano” si intesse: “I due piani della fenomenologia, che
Anceschi e Formaggio permettono di far dialogare, non solo sono entrambi
necessari, ma costituiscono proprio la ricchezza della fenomenologia”.