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giovedì 9 gennaio 2025

OLTRE LA PAURA
di Gabriele Scaramuzza


Elio Franzini

È passato un centinaio di anni da quanto è stata pubblicata Casa sul mare, la poesia da cui Elio Franzini ha tratto i versi che suggellano il commiato al personale dell’Università degli Studi di Milano alla fine dei suoi anni di Rettorato. Voglio riprenderli qui questi versi, per il loro perdurare nel tempo con una freschezza che non si estingue, oltre che per il comune amore che ci lega a Eugenio Montale.   
 
Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi
(…)
Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
(…)
Vorrei dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
 
Aggiungo che ci accomuna un’altra netta simpatia: quella per Guido Gozzano, che pure ritorna nel commiato di Franzini.  
 

 
Il titolo di queste mie righe non si riferisce solo agli anni del Rettorato o ai suoi precedenti anni da Preside di Facoltà. Investe l’intero arco dell’impegno universitario di Franzini; nel suo modo di essere ha sempre tenuta viva la dedizione agli studi, certo, come testimonia, accanto all’attività docente, la messe ingente delle sue pubblicazioni. Ma di decisiva rilevanza è che questa dedizione non si è spenta nei suoi anni di impegno pubblico, nonostante essi - cosa non scontata, a quanto mi consta. Comunque poi quegli anni possano, e siano stati, considerati; ma senza dimenticare che il loro bilancio resta positivo, per lui non meno che per coloro ne abbiamo fruito, e per chi come me ne è stato solo spettatore.  
Alla sua attività di studioso Franzini ha unito la sua partecipazione alla vita dell’Università anche nei suoi aspetti istituzionali, amministrativi, burocratici, in senso lato politici. Quasi a voler segnalare che le due cose non posson andar disgiunte, se si vuole svolgere con piena coscienza il proprio “mestiere”. Voglio immaginare che Franzini lo concepisse come una sorta di versione prosastica dell’opera d’arte totale, cui la pratica letteraria, musicale, scenica, attoriale, performativa, sa di non potersi reggere da sola, senza fare i conti con la concretezza in cui e di cui l’opera d’arte vive. 



L’insegnamento è - potremmo dire - un’arte globale, che deve tener conto non solo del sapere che trasmette; ma insieme della realtà poliedrica in cui si esercita. Una situazione in cui gioca un ruolo imprescindibile la coscienza civile, il calcolo della sostenibilità economica, la previsione dell’incidenza sociale, dei risvolti non solo culturali ma anche ideologici del proprio operare. L’attività docente si inserisce per Franzini, con piena cognizione di causa (come sarebbe optabile per tutti) nella concretezza del suon svolgersi; non è poco nella considerazione della sua personalità. 
Non è un caso che, sul finire del suo rettorato, una testimonianza del grado della coscienza civile di Franzini la abbiamo nella sua prefazione al libro di Nicolò Zanon, “Le opinioni dissenzienti in Corte Costituzionale” (Bologna 2024). Recensione giustamente valorizzato da Stefano de Bosio, “La salvezza nell’opinione dissenziente” - in “Un’oasi di libertà e di pensiero”. Gianfranco de Bosio e i suoi maestri (1937-1946), a cura di Federica Marinoni e Gabriele Scaramuzza, Scripta, Verona 2025, pp. 15-19. 



La recensione è ricca e articolata, ricordo solo due passi che mi hanno coinvolto [ovvia la discutibilità dell’estrapolazione]:
interpretare non è andare alla ricerca di un qualsivoglia fondamento, di una norma assoluta, bensì cercare di comprendere, arrivando certo a una soluzione, che tuttavia mantenga viva la complessità e la pluralità, un dialogo capace di integrare i piani discorsivi.
[…]
Per capire si ha bisogno di tempo, e dunque di una stratificazione storica di opinioni, per rigettare le opzioni fideistiche e dogmatiche. La totalità è un orizzonte di senso, non una presa immediata, ed è un orizzonte che va conquistato attraverso uno svolgersi delle “ragioni” nei fenomeni, nel confronto con essi alla ricerca della specificità dei loro principi, in una costante interazione.
Nascondere il dissenso, scambiando la democrazia per unanimismo […], è soltanto il trionfo apparentemente critico di una ragione acritica, quando invece la ragione deve essere consapevolezza della sua propria criticità e dunque liberazione dalla paura (che altro dovrebbe essere lo spirito delle leggi?) che si può provare nel suo libero esercizio, che può condurre a opinioni diverse e contrastanti, senza che ciò altro non sia se non manifestazione evidente della sua libertà.
Il dialogo, la liberazione dalla paura: temi attuali, e decisivi alla luce di una logica della non violenza, che si confronti con un mondo in cui l’istinto di sopraffazione, le “ragioni” della forza tornano esplicitamente a imporsi. La paura riprende i suoi diritti, ora che la sua imminenza sembrava sbiadita. Prende alla gola a questo proposito lo scritto di Anna Beltrametti “La più intelligente e la più stolta delle emozioni: la paura. Paure antiche e nuove paure” (Petite Plaisance, Pistoia 2o21).



Confesso che queste righe si sono innescate nel proposito di recensire i due ultimi libri di Franzini, o quanto meno il primo di essi. Proposito rivelatosi presto velleitario, data l’inarrivabile (per me) densità dei testi.        
In Filosofia per il presente. Simboli e dissidi della modernità, (Morcelliana, Brescia 2022) la filosofia si misura non solo con la propria storia ma anche col destino cui la propria sopravvivenza la consegna. Basterebbe riprendere qui la convincente “Postilla conclusiva” per segnare il tono della proposta (che tale resta, malgrado il problematico iter che il testo percorre) che il pensare di Franzini lancia, e in positivo. Per parte mia aggiungo che in questo libro mi ha da subito colpito, e fatto pensare, il rinvio all’Idiota, ai temi della bellezza e della verità, e soprattutto sul problema della domanda, cui da ultimo Kafka mi ha portato a ripensare.  
Di Logica della verità. La metafisica e le cose (Cortina, Milano 2024) è in un primo tempo il termine “metafisica” che mi ha attratto; termine che non rientra nel lessico cui per solito associo il pensiero di Franzini. Ammetto che sono stato lievemente deluso per quanto riguarda questo tema; ma non certo per la densità e la sottigliezza della scrittura. Il testo per un verso si inserisce in una tradizione di pensier0 - fenomenologica in senso lato - che da sempre (dal mio ristretto sempre) ho fatto mia, ma per altro verso si richiama a figure con cui ho una debole confidenza. 



Due parole infine circa l’ultimo saggio che ho letto di Franzini: L’estetica nella Scuola banfiana, (in “Su Antonio Banfi e la Scuola di Milano”, a cura di Fabio Minazzi, Angeli, Milano 2024, pp. 33-40). Uno studio sostanzialmente volto alle differenti eredità banfiane presenti in Luciano Anceschi e in Dino Formaggio. Il confronto è lontano dal perdersi negli “aneddoti, anche abbastanza gustosi” di cui disponiamo; è molto equilibrato e sottile piuttosto, privo di pregiudizi o partigianerie; volto a ricostruire la trama dialogica di cui la “Scuola d Milano” si intesse: “I due piani della fenomenologia, che Anceschi e Formaggio permettono di far dialogare, non solo sono entrambi necessari, ma costituiscono proprio la ricchezza della fenomenologia”.