APPUNTI SU
PARTHENOPE DI SORRENTINO di Luigi
Mazzella
Paolo Sorrentino
Ècomprensibile
(e persino ovvio) che non tutti i napoletani sentano oggi l’orgoglio di essere
nati nel territorio che fu della Magna Grecia e che solo pochi di essi colgano
il degrado che la loro originaria cultura ha subito per effetto di
un’immigrazione pacifica, eppure subdola e nociva, di popolazioni del
Medio Oriente dalle usanze primitive e barbariche. Tra di essi, sostanzialmente
ignari di tale destino avverso, deve annoverarsi Paolo Sorrentino che dopo due
film di narrativa cinematografica pura (id est: senza ambizioni “autoriali”)
e di buon successo di critica e di pubblico ha voluto farci conoscere il suo “pensiero”,
distinguendolo dalle belle immagini visive che la sua fantasia gli consentiva
di creare. Non l’avesse mai fatto! Quando il novello Autore ha fatto
ricorso alla ragione, pur non rinunciando alla fantasia, i suoi film sono
diventati niente altro che un cocktail di bellezze visive e di brutture, per
così dire, “intellettive”. È venuto fuori, sotto le spoglie
dichiarate e conclamate “napoletane”, l’uomo Occidentale frustrato e impotente
dei nostri giorni. Questa “specie” umana è stata da me più volte descritta
ma repetita iuvant.Si tratta di un individuo che
con la sua infarinatura di nozioni mal digerite da orecchiante della cultura getta
fango sulle persone che si dedicano agli studi e tentano di avventurarsi (con
intenti più seri dei suoi) nei sentieri del sapere; che con acida invidia
sbertuccia personaggi che hanno raggiunto il successo descrivendoli come
macchiette da avanspettacolo e che, totalmente incapace di amore e di umana
generosità, indisponibile e concentrato unicamente sui suoi problemi e
interessi personali, vive con finto dramma la sua condizione di sterilità
emotiva che pur gli consente (per l’analoga condizione della maggioranza dei
suoi simili) di avere consensi e attestazioni anche se puramente esteriori e
superficiali.
Nel suo ultimo
film “Parthenope” Sorrentino, dopo una “Filippica” violenta e ingenerosa
contro i suoi concittadini (Napoletani, vil razza dannata! Parafrasando
Rigoletto), rincarata da affermazioni messe in bocca a una marionetta che
dovrebbe rappresentare Sofia Loren (da lui, con buona evidenza, visceralmente
odiata) rappresenta la città, identificandola nel nome e nella sostanza con la
protagonista del suo film, come una ragazza mesta, dal sorriso forzato più
melanconico che allegro, che si concede a tutti i suoi numerosi
copulanti senza alcuna partecipazione emotiva (richiamo a: Franza o Spagna
purché se magna), che compie atti sessuali in Chiesa con il cardinale addetto alla cerimonia del “miracolo” dello
scioglimento del sangue di San Gennaro (da lei definito più truffa che mistero)
e così via.In una tale quadro di squallore
umano e di bellezza folgorante della Natura, l’autore Sorrentino, a
riprova della sua modernità, inserisce nei dialoghi parole scurrili e volgari
(“Agli esami universitari ci si presenta pisciati e cacati” dice agli studenti
Silvio Orlando nella parte di un improbabile docente di antropologia che dà
centodieci e lode, bacio accademico e pubblicazione della tesi di laurea a una
Partenope che gli confessa di non sapere che cosa sia veramente la materia da
lui insegnata).Non mancano nel film le “trovate”
alla Sorrentino: in “Parthenope” è la volta di un mostro gigantesco di
gommapiuma bianca, figlio del “professore” che pronuncia frasi “definitive” e
“sentenziose” del “pensiero” (si fa per dire) del regista-autore. Quo
usque tandem, Sorrentino?