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domenica 9 febbraio 2025

APPUNTI SU PARTHENOPE DI SORRENTINO  
di Luigi Mazzella
 

Paolo Sorrentino

È comprensibile (e persino ovvio) che non tutti i napoletani sentano oggi l’orgoglio di essere nati nel territorio che fu della Magna Grecia e che solo pochi di essi colgano il degrado che la loro originaria cultura ha subito per effetto di un’immigrazione pacifica, eppure subdola e nociva, di popolazioni del Medio Oriente dalle usanze primitive e barbariche. Tra di essi, sostanzialmente ignari di tale destino avverso, deve annoverarsi Paolo Sorrentino che dopo due film di narrativa cinematografica pura (id est: senza ambizioni “autoriali”) e di buon successo di critica e di pubblico ha voluto farci conoscere il suo “pensiero”, distinguendolo dalle belle immagini visive che la sua fantasia gli consentiva di creare. Non l’avesse mai fatto! Quando il novello Autore ha fatto ricorso alla ragione, pur non rinunciando alla fantasia, i suoi film sono diventati niente altro che un cocktail di bellezze visive e di brutture, per così dire, “intellettive”. È venuto fuori, sotto le spoglie dichiarate e conclamate “napoletane”, l’uomo Occidentale frustrato e impotente dei nostri giorni. Questa “specie” umana è stata da me più volte descritta ma repetita iuvant. Si tratta di un individuo che con la sua infarinatura di nozioni mal digerite da orecchiante della cultura getta fango sulle persone che si dedicano agli studi e tentano di avventurarsi (con intenti più seri dei suoi) nei sentieri del sapere; che con acida invidia sbertuccia personaggi che hanno raggiunto il successo descrivendoli come macchiette da avanspettacolo e che, totalmente incapace di amore e di umana generosità, indisponibile e concentrato unicamente sui suoi problemi e interessi personali, vive con finto dramma la sua condizione di sterilità emotiva che pur gli consente (per l’analoga condizione della maggioranza dei suoi simili) di avere consensi e attestazioni anche se puramente esteriori e superficiali.


 
Nel suo ultimo film “Parthenope” Sorrentino, dopo una “Filippica” violenta e ingenerosa contro i suoi concittadini (Napoletani, vil razza dannata! Parafrasando Rigoletto), rincarata da affermazioni messe in bocca a una marionetta che dovrebbe rappresentare Sofia Loren (da lui, con buona evidenza, visceralmente odiata) rappresenta la città, identificandola nel nome e nella sostanza con la protagonista del suo film, come una ragazza mesta, dal sorriso forzato più melanconico che allegro, che si concede a tutti i suoi numerosi copulanti senza alcuna partecipazione emotiva (richiamo a: Franza o Spagna purché se magna), che compie atti sessuali in Chiesa con il cardinale  addetto alla cerimonia del “miracolo” dello scioglimento del sangue di San Gennaro (da lei definito più truffa che mistero) e così via. In una tale quadro di  squallore umano e di bellezza folgorante della Natura, l’autore  Sorrentino, a riprova della sua modernità, inserisce nei dialoghi parole scurrili e volgari (“Agli esami universitari ci si presenta pisciati e cacati” dice agli studenti Silvio Orlando nella parte di un improbabile docente di antropologia che dà centodieci e lode, bacio accademico e pubblicazione della tesi di laurea a una Partenope che gli confessa di non sapere che cosa sia veramente la materia da lui insegnata). Non mancano nel film le “trovate” alla Sorrentino: in “Parthenope” è la volta di un mostro gigantesco di gommapiuma bianca, figlio del “professore” che pronuncia frasi “definitive” e “sentenziose” del “pensiero” (si fa per dire) del regista-autore. Quo usque tandem, Sorrentino?