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domenica 9 febbraio 2025

RICORDO DI GIORGIO ROCHAT   
di Gabriele Scaramuzza


Giorgio Rochat

È mancato a Torre Pellice sabato 19 ottobre 2024 Giorgio Rochat, nato a Pavia il 4 aprile 1936. Conservava sicuramente ricordi personali della seconda guerra mondiale, che aveva attraversato da bambino. È stato allievo del Ghislieri, l’ho conosciuto al mio arrivo in collegio nell’autunno del 1958; era ormai laureando. L’anno successivo si laureò in Lettere (con 110 e lode) con una tesi su “Giovanni Breganze e la convenzione militare di Parigi (2 maggio 1915)”. Gli erano compagni d’anno Diego Lanza (grecista), Giuseppe Nava (italianista), Franco Pesenti (storico dell’arte), Mario Vegetti (filosofo); tutti appartenenti all’allora Facoltà di Lettere e Filosofia, e tutti studiosi di fama poi. Poco discosto Marco Vitale, tuttora attivo nel mondo degli studi giuridico-economici.
Insigne studioso di storia militare e politico-coloniale, era, presumo proprio per questo, animato da un profondo pacifismo. Dal 1978 al 1996 Rochat fece parte del direttivo dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia, e ne divenne presidente per quattro anni. Dal 1981 al 1989 ricoprì la carica di vicepresidente del Centro interuniversitario di studi e ricerche storico-militari. Dal 1990 al 1999 fu presidente della Società di studi valdesi a Torre Pellice.
A Pavia mi ha da subito colpito il suo modo singolare, unico anzi, di gestire il cosiddetto tirocinio matricolare (così era eufemisticamente chiamato dall’allora rettore del collegio, Aurelio Bernardi). Un modo allegramente umano, del tutto benevolo nei miei confronti; gliene sono sempre restato grato. Mi è rimasto vivo nella memoria, anche se non l’ho più rivisto; se non occasionalmente una volta in cui non ci siamo riconosciuti, su un treno verso Milano.
 
UN PENSIERO PER ROCHAT

di Angelo Gaccione


 
Avevo ricordato Giorgio Rochat martedì 26 settembre del 2023 nella Sala Conferenze di Palazzo Reale a Milano, in occasione del Convegno dedicato a don Lorenzo Milani di cui ricorreva il centenario. Il mio intervento verteva sul don Milani ferocemente antimilitarista e nemico delle guerre, e poiché avevo sostenuto uno degli esami del mio corso di laurea all’Università Statale di Milano con il prof. Rochat, che aveva inserito tra i libri del programma il celebre scritto del priore di Barbiana L’obbedienza non è più una virtù, che a don Milani aveva procurato un processo, non potevo non citare il professore. Lo ricordo magro e altissimo, un vero gigante, con in mano la sua borsa di cuoio e la falcata bella distesa. Aveva un sorriso simpatico e un eloquio marcato dalla “erre arrotata” che pronunciava come i parmensi. I capelli corti e un po’ ribelli contrastavano con il clima e le fogge di quel tempo che contrassegnavano le Università negli anni della contestazione. Aveva sì l’aria del professore, ma con un che di aristocratico. Purtroppo la mia condizione di studente lavoratore non mi permetteva che raramente di seguire le sue lezioni. Seppi molto più tardi che era di fede valdese questo docente, e destino ha voluto che nel 1985 scrivessi un dramma sul massacro dei Valdesi, La Porta del Sangue, avvenuto nella Calabria del tardo Cinquecento. Del libretto, introdotto da una splendida nota del sociologo e urbanista Roberto Guiducci, si occupò più volte la rivista dei Valdesi “Riforma”, e quando una compagnia teatrale decise di metterlo in scena, facemmo la conferenza stampa proprio nella libreria dei Valdesi milanesi di via Francesco Sforza, la Claudiana, che è attaccata al Tempio della Comunità. Negli anni successivi in quella libreria presentai tanti miei libri ed organizzai incontri culturali, mentre al Tempio ho continuato ad andare a sentire concerti di musica sacra di cui sono appassionato. Fu una sorpresa per me sapere che anche il poeta Franco Fortini era di fede valdese, ma lo seppi solo alla sua morte.