Èmancato a Torre Pellice sabato 19
ottobre 2024 Giorgio Rochat, nato a Pavia il 4 aprile 1936. Conservava
sicuramente ricordi personali della seconda guerra mondiale, che aveva
attraversato da bambino. È stato allievo del Ghislieri, l’ho conosciuto al mio
arrivo in collegio nell’autunno del 1958; era ormai laureando. L’anno
successivo si laureò in Lettere (con 110 e lode) con una tesi su “Giovanni
Breganze e la convenzione militare di Parigi (2 maggio 1915)”. Gli erano
compagni d’anno Diego Lanza (grecista), Giuseppe Nava (italianista), Franco
Pesenti (storico dell’arte), Mario Vegetti (filosofo); tutti appartenenti
all’allora Facoltà di Lettere e Filosofia, e tutti studiosi di fama poi. Poco
discosto Marco Vitale, tuttora attivo nel mondo degli studi
giuridico-economici. Insigne studioso di storia militare e politico-coloniale,
era, presumo proprio per questo, animato da un profondo pacifismo. Dal 1978 al
1996 Rochat fece parte del direttivo dell’Istituto nazionale per la storia del
movimento di Liberazione in Italia, e ne divenne presidente per quattro anni.
Dal 1981 al 1989 ricoprì la carica di vicepresidente del Centro
interuniversitario di studi e ricerche storico-militari. Dal 1990 al 1999
fu presidente della Società di studi valdesi a Torre Pellice. A Pavia mi ha da subito colpito il suo modo
singolare, unico anzi, di gestire il cosiddetto tirocinio matricolare (così era
eufemisticamente chiamato dall’allora rettore del collegio, Aurelio Bernardi).
Un modo allegramente umano, del tutto benevolo nei miei confronti; gliene sono
sempre restato grato. Mi è rimasto vivo nella memoria, anche se non l’ho più
rivisto; se non occasionalmente una volta in cui non ci siamo riconosciuti, su
un treno verso Milano. UN PENSIERO PER ROCHAT
di Angelo Gaccione
Avevo ricordato Giorgio Rochat martedì 26 settembre del 2023 nella Sala Conferenze
di Palazzo Reale a Milano, in occasione del Convegno dedicato a don Lorenzo
Milani di cui ricorreva il centenario. Il mio intervento verteva sul don Milani
ferocemente antimilitarista e nemico delle guerre, e poiché avevo sostenuto uno
degli esami del mio corso di laurea all’Università Statale di Milano con il
prof. Rochat, che aveva inserito tra i libri del programma il celebre scritto
del priore di Barbiana L’obbedienza non è più una virtù, che a don
Milani aveva procurato un processo, non potevo non citare il professore. Lo
ricordo magro e altissimo, un vero gigante, con in mano la sua borsa di cuoio e
la falcata bella distesa. Aveva un sorriso simpatico e un eloquio marcato dalla
“erre arrotata” che pronunciava come i parmensi. I capelli corti e un po’
ribelli contrastavano con il clima e le fogge di quel tempo che
contrassegnavano le Università negli anni della contestazione. Aveva sì l’aria
del professore, ma con un che di aristocratico. Purtroppo la mia condizione di
studente lavoratore non mi permetteva che raramente di seguire le sue lezioni. Seppi
molto più tardi che era di fede valdese questo docente, e destino ha voluto che
nel 1985 scrivessi un dramma sul massacro dei Valdesi, La Porta del Sangue,
avvenuto nella Calabria del tardo Cinquecento. Del libretto, introdotto da una
splendida nota del sociologo e urbanista Roberto Guiducci, si occupò più volte
la rivista dei Valdesi “Riforma”, e quando una compagnia teatrale decise di
metterlo in scena, facemmo la conferenza stampa proprio nella libreria dei
Valdesi milanesi di via Francesco Sforza, la Claudiana, che è attaccata al
Tempio della Comunità. Negli anni successivi in quella libreria presentai tanti
miei libri ed organizzai incontri culturali, mentre al Tempio ho continuato ad
andare a sentire concerti di musica sacra di cui sono appassionato. Fu una
sorpresa per me sapere che anche il poeta Franco Fortini era di fede valdese,
ma lo seppi solo alla sua morte.